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Parisi: Il Partito democratico, un lascito per gli eredi
22.10.2006

Le primarie? Evitano che si possa governare il Paese con l'uno per cento «Non amo né il Pcus né Forza Italia» di Dario Di Vico da Il Corriere della Sera

«È passato solo un anno ma sembra un secolo. Eppure l'onda sollevata dai 4 milioni di votanti del 16 ottobre 2005 è ancora oggi superiore a quella prodotta da un transatlantico che attraversa una laguna stagnante. Chi provasse a prenderla di petto con una barca rischierebbe di trovarsi in acqua». Arturo Parisi ricorda la clamorosa sorpresa delle primarie e ammette, però, che il clima «di oggi è assai cambiato». Le polemiche e i sospetti hanno avuto ancora una volta il sopravvento.

Si stupisce delle polemiche? Avete detto che il nuovo partito deve nascere «scardinando» gli attuali gruppi dirigenti.

« Non ha senso contrapporre strutture di partito e partecipazione dei cittadini. Sono come lo scheletro e il corpo. Un corpo ridotto al solo scheletro, ovvero solo strutture, è la rappresentazione della morte, così come un corpo senza ossatura non sta in piedi».

Una formula che tenga insieme scheletro e corpo la conosciamo, i partiti di massa.

«Quei partiti si pensavano come una contro-società. Nati per contrastare l'esclusione sociale avevano costruito attorno a sé un mondo a parte: organizzando tutte le dimensioni della vita, dalle economiche alle ricreative. Oggi la società è cambiata e la domanda di partecipazione non può dividersi più secondo vecchie categorie e vecchie forme. Su 100 voti validi dell'Ulivo gli iscritti negli elenchi delle tessere sono 6, solo 3 hanno partecipato in un anno ad almeno un'iniziativa e appena uno può essere definito un militante. Alle primarie invece ha partecipato un quarto dei votanti dell'Ulivo: 25 su 100. Questi dati ci bastano per dire che se noi pensassimo a una governance del Paese basata su quell'1% trasferiremmo in politica lo schema delle scatole cinesi tipico di certa finanza».

Ma i Ds accusano i parisiani di aver proposto al seminario di Orvieto un modello di partito plebiscitario, leader assoluto e zero filtri.

«È l'opposto. È proprio per evitare il rischio della democrazia plebiscitaria, che abbiamo bisogno di un partito forte, che non sia solo scheletro e serva a riequilibrare il potere del leader. Altro che Pcus e Forza Italia! Il partito Democratico (Pd) viene prima e oltre il suo primo leader. È pensato per durare nel tempo. Non un partito per Prodi, semmai un partito per il dopo Prodi. E aggiungo: per il dopo Berlusconi. Un partito che aiuti l'affermarsi di leadership nuove che succedano a tutti noi. Non un'Opa sui partiti esistenti, ma semmai un lascito in eredità».

Nuova struttura di partito ma anche nuova cultura politica?

«La cultura politica del Pd è prima di tutto una cultura di governo che si riconosce nella soluzione dei problemi e non nella loro rappresentazione identitaria. Il riformismo italiano, del resto, dai tempi di Turati è andato avanti per le lezioni apprese nella prassi di governo. Anche in questi 12 anni la nostra cultura è cresciuta grazie all'azione di governo più che nei centri studi, nelle fondazioni o nei convegni chiamati a rielaborare vecchie culture politiche».

In questo dibattito i due poli sembrano essere D'Alema e lei.

«Non voglio annullare tutte le differenze ma sento raccontare una storia che non esiste. Guardi al capitolo Libano. Come non riconoscere una coincidenza di vedute totale? Un'identica definizione dei tre pilastri della nostra politica estera: multilateralismo, europeismo e atlantismo. Tre punti comuni tra noi, comuni oggi e non ieri. Non dico 12 anni fa, ma anche solo sei, su ognuno di quei punti c'erano sfasature. In qualche passaggio addirittura D'Alema è apparso più atlantista di me. Oggi invece so che lanciando la palla troverò D'Alema nel punto esatto in cui penso di trovarlo. Così lui con me. E questa cos'altro è se non una comune cultura politica?».

Intanto che sta succedendo nella Margherita? Rispuntano le correnti?

«Correnti? Rischiano di tornare i vecchi partiti, travestiti da culture. Anche io sono preoccupato. E dire che, quando all'indomani delle primarie fu rilanciata da qualcuno un po' alla leggera l'idea del Pd, li avevo avvertiti. Annunciare un nuovo partito, significa dichiarare a scadenza quelli attuali che così diventano in poco tempo scadenti e presto scaduti. Da quel momento ognuno pensa a posizionarsi. È così successo che i Popolari di Marini hanno preferito cercare sicurezza nel proprio passato, affidando a Castagnetti il compito di dichiarare la propria delusione per quel presente che chiamiamo Margherita. Come se da questo deludente presente fosse possibile prendere le distanze da parte di chi sostiene di rappresentare la stragrande maggioranza del partito. Almeno in termini di tessere e di preferenze, non altrettanto in termini di tesserati e di voti. Ci si lamenta della storia appena passata per tornare alla storia trapassata».

Si parla di tesseramento fantasma.

«Anche a questo proposito il mio allarme non è certo di oggi, così come la mia determinazione a sostenere ogni azione che ci protegga da questa gravissima patologia, la stessa che ha accompagnato alla fossa la Prima Repubblica. Anche per questo motivo la possibilità di coinvolgere il popolo delle primarie rappresenta un'occasione unica. In quegli elenchi non ci sono anime morte ma cittadini che hanno fatto la fila davanti ai seggi, senza altro motivo che la passione politica, iscrivendo il loro nome in un elenco, pagando di tasca propria liberamente un contributo. E quegli elenchi sono un patrimonio di tutta l'Unione, rappresentano un bacino che può servire a rigenerare tutti i partiti, non uno solo».

Torniamo alle correnti. Una volta varato il nuovo partito si perpetueranno, magari saranno diluite e diventeranno delle piccole tribù.

«È una certezza: nel Pd le tribù saranno molte. Quello che mi auguro è però che non siano la perpetuazione di nomi passati, ma nascano e mutino a partire dalle risposte che riguardano il futuro. La necessità di semplificazione dei partiti non deriva dalla semplificazione della società, semmai all'opposto dalla consapevolezza della sua crescente complessità. L'alternativa a pochi partiti di governo sono mille partiti di identità: dai cattolico-democratici agli islamo-democratici passando per i teo-dem».

Ci sarà anche la tribù dell'Iri. La destra sostiene che il prodismo è proprio «gazebo più Partecipazioni Statali».

«Perché no? Anche il confronto tra chi pensa che la formula Iri possa avere, magari a livello locale, ancora un presente, e chi, come me, pensa che quella tradizione, pur gloriosa, appartenga al passato. L'importante è che si arrivi a una posizione comune e che la soluzione venga trovata in base a una domanda di governo e non alla riproposizione di una identità o, ancor peggio, ad un interesse travestito da identità. Questo vale per le scelte di politica economica ed industriale ma anche per la bioetica. L'importante è il metodo, poi sono dispostissimo sui singoli temi ad andare in minoranza».

Ieri proprio sul «Corriere» Giovanni Bazoli ha sostenuto che le fusioni bancarie devono servire allo sviluppo del Paese.

«Anche in questo caso la scelta viene dal futuro. Dalla scelta di affrontare il mondo sostenendo la nascita di soggetti di rilievo continentale, o dalla preoccupazione di difendere il radicamento locale in nome del particolarismo e del passato, magari con l'aiuto dello Stato. Quale sia la mia preferenza è noto. Pur sviluppati tra loro in totale autonomia, la costruzione di nuovi grandi soggetti politici e quella di nuovi grandi soggetti economici, siano essi banche o industrie, è inscritta allo stesso processo storico».

Forza Italia vi accusa di voler colpire Berlusconi con il ddl Gentiloni.

«Questa favola la sento dal 1994. Mi limito a ricordare che Berlusconi, durante il governo dell'Ulivo, ha prima sanato i conti di Mediaset e ha poi realizzato utili da capogiro. Il ddl Gentiloni introduce una proposta antitrust in un sistema da anni ostaggio di due blocchi (Rai e Mediaset) governati dalla stessa cultura che per anni ha privato gli italiani di una offerta di pluralismo culturale ed informativo. Mi auguro che il prossimo passo del centrosinistra sia quello di introdurre elementi di liberalizzazione della Rai togliendo ai partiti la nomina del CdA della Rai. Continuo a ritenere inaccettabili queste nomine dipendenti dagli equilibri di partito con il CdA costretto a fare da notaio. Sono sicuro che Gentiloni la pensa come me».

E i rapporti con i sindacati? Come si comporterà il Pd? Oggi il governo Prodi è assai vicino alla Cgil.

«L'autonomia deve valere in tutti i processi sociali. Proprio perché sono un sostenitore del maggioritario e della democrazia bipolare competitiva, avverto il pericolo per il Paese qualora ai due poli corrispondessero due società contrapposte, ognuna con le proprie banche, i propri sindacati, le proprie tv. Altro che sciiti e sunniti. L'esito iracheno sarebbe inevitabile».

Fonte: www.ulivo.it

 

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