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Tre proposte per crescere
31.10.2006

Di Enrico Morando. Per aiutare il Paese a tornare su di un sentiero di crescita significativa e duratura (più 2% all'anno per molti anni) il governo ha «promesso», con il Dpef, una politica economica fondata su tre «mosse» essenziali:

a) riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul lavoro (cinque punti in meno, tutti in una volta: tre a favore delle imprese e due a favore dei lavoratori);

b) nel breve lasso di tempo (12-18 mesi) in cui l'intervento sul cuneo fa «respirare» le imprese (proprio come accadeva con le svalutazioni competitive della moneta), liberalizzazione/apertura di tutti i mercati chiusi e stabilizzazione della finanza pubblica.

Infine, utilizzando le risorse crescenti messe a disposizione dalle due «mosse» precedenti, investimenti pubblici per la infrastrutturazione materiale e immateriale del Paese. Un obiettivo (la crescita) e una politica (l'aumento della produttività totale dei fattori) per conseguirlo. Non ha senso - secondo me - mettere a carico della sola Legge Finanziaria 2007-2010 l'onere di realizzare compiutamente questa politica. Ha invece senso pretendere che essa non contenga scelte contraddittorie con l'obiettivo e proporci di mettere immediatamente in agenda quegli interventi che affrontano temi che la Finanziaria o non può (liberalizzazioni) o non ha saputo/potuto affrontare. Cominciamo da quello che si può fare immediatamente, in sede di decisione parlamentare sulla Finanziaria.

La norma sull'apprendistato (dieci punti di contribuzione a partire dal giorno di ingresso del giovane in azienda) è nemica dello sviluppo e va eliminata/corretta. Ci sono, nell'apprendistato, abusi e storture (durata fino sei anni; mancanza di effettiva attività di formazione)? Ci sono eccome. E vanno rimossi attraverso riforme dell'ordinamento e attraverso una migliore attività di verifica. La Finanziaria, però, finisce per assimilare apprendistato e precariato, da contrastare con l'aumento della contribuzione. Mentre per i cosiddetti lavori «ultraflessibili» è sacrosanto cancellare l'eccessivo vantaggio contributivo per l'impresa che vi ricorre (il lavoro flessibile non deve costare meno; deve essere diverso da quello «normale» per la tipologia, non per il costo della prestazione), il rapporto tra il giovane apprendista e l'artigiano o il commerciante che «lo prende a bottega» ha un forte contenuto formativo e, per questo, è una componente essenziale di una politica di sviluppo. Quindi: la norma della Finanziaria va riscritta, ritornando all'aliquota zero per il primo anno, per poi farla gradualmente salire (al terzo anno) all'aliquota prevista dalla Legge Finanziaria stessa. Dopo il terzo anno, il ricorso all'istituto dell'apprendistato va semplicemente superato, salvo eccezioni specificatamente previste (dalla legge, non dagli accordi tra le parti): la formazione dell'apprendista non può durare più di un corso di laurea in ingegneria.

In secondo luogo - e ricordando che la Finanziaria non può, per Regolamento delle Camere e esplicito divieto della Legge di contabilità, contenere deleghe al governo - potrebbe essere inserita direttamente in Finanziaria una norma che dispone l'unificazione di Inps e Inpdap. Non mi sembra ci siano ragioni sensate per conservare in vita (con tutti i costi, le duplicazioni e le inefficienze indotti) due diversi enti previdenziali pubblici che gestiscono sistemi e prestazioni previdenziali assolutamente identici.

Nell'immediato, non ci sarebbero risparmi significativi? Può essere.

Ma potrebbero diventarlo a partire dal 2008. E, soprattutto, nel giro di breve tempo potrebbe determinarsi un salto nei livelli di produttività di questo decisivo comparto della Pubblica Amministrazione. Le misure di liberalizzazione e apertura dei mercati chiusi, invece, non possono entrare in Finanziaria. Ma il governo ha già provveduto a dichiarare «collegati» alla Finanziaria stessa due disegni di legge che ha già presentato e sono già all'esame del Parlamento: riforma dei servizi pubblici locali e del settore energia. Se entro la prossima estate questi due disegni di legge non saranno stati approvati, avranno ragione i nostri critici. Ma, se lo saranno, bisognerà riconoscere che in un anno l'attuale Governo avrà avuto successo là dove tutti i governi degli ultimi dieci anni hanno fallito. Segnalo, en passant, che alla Camera Forza Italia e An - critici del centro-sinistra per «scarso coraggio» in tema di liberalizzazioni - hanno presentato emendamenti per impedire l'apertura al mercato del sistema Snam-retegas. Vengo al tema della previdenza e della riforma della Pubblica Amministrazione.

I lettori ricorderanno la accesa discussione estiva tra Tommaso Padoa Schioppa e Giavazzi. Il secondo, perentorio: dite dove tagliate. E il primo, di rimando: no, vogliamo risparmi crescenti nel tempo da riforme strutturali in quattro comparti di spesa decisivi (enti locali, sanità, previdenza, pubblica amministrazione centrale). Ora, a Finanziaria presentata, si può trarre un bilancio: in due comparti (enti locali e sanità) il governo fa riforme strutturali (il Patto di stabilità interno fondato sui saldi e non sui tetti di spesa; il nuovo accordo con le Regioni, sostitutivo di quello del 2001). Negli altri due comparti, il governo ha rinviato gli interventi. Per la previdenza, si è giunti ad un impegnativo protocollo d'intesa con i sindacati, che prevede un intervento «concertato» entro il 31 marzo.

Non c'è ragione di strapparsi le vesti; né di parlare, già oggi, di «fallimento» dell'iniziativa riformista. Ad una condizione: che il governo apra tempestivamente il confronto e si presenti con una sua proposta di individuazione dei lavori usuranti. Da undici anni (la legge Dini è del 1995) i governi sono inadempienti su questo punto cruciale. Risultato: non avendo stabilito chi fa un lavoro tale per cui deve andare in pensione prima - spesso, molto prima - degli altri, non si provvede ad un «equo» aggiustamento del sistema neppure per quanti - e sono, per fortuna, i più - non fanno un lavoro usurante. A spingere tutti - governo e parti sociali - all'immediato avvio del confronto, dovrebbe essere anche la consapevolezza che - in caso di «inerzia riformatrice» - le condizioni per il pensionamento si aggraveranno di ben tre anni (lo «scalone» di Berlusconi è legge) nella notte tra il 31 dicembre 2007 e il primo gennaio 2008. A giugno 2007, infatti, sarebbe del tutto impossibile trovare i miliardi necessari per «coprire» finanziariamente l'eliminazione dello «scalone».

Quanto alla riforma/ristrutturazione della Pubblica Amministrazione - al fine di elevarne l'efficienza e risparmiare - il governo ha fatto bene a prevedere, in Finanziaria, le risorse necessarie al rinnovo dei contratti dei pubblici dipendenti e a dichiarare «collegato» alla Finanziaria il disegno di legge per la riorganizzazione e razionalizzazione degli apparati amministrativi (verrà presentato alle Camere entro il 15 novembre). Dunque, anche in questo campo, è prematuro parlare di inerzia. C'è da chiedersi, semmai, se non sarebbe opportuna - prima dell'apertura del confronto per i rinnovi contrattuali - l'elaborazione e discussione di un atto di indirizzo parlamentare che impegni il governo ad operare per un rinvigorimento della componente retributiva derivante da risultati di produttività.

In ultimo, un'osservazione sul tema della pressione fiscale: non è vero che questa è una Finanziaria «tutta tasse». Come ha documentato l'Isae, la spesa corrente primaria, nel 2007, smette di crescere, in rapporto al Pil, dopo l'impennata degli ultimi cinque anni (+3% del Pil). È vero però che la pressione fiscale 2007, dalla Finanziaria, viene innalzata di più di mezzo punto di Pil, dopo che nel 2006 (a regole fiscali di Tremonti) è cresciuta di più di un punto. È quindi indispensabile che il foverno «metta per iscritto» - nell'articolo 1 della Legge Finanziaria? - che le maggiori entrate fiscali derivanti da lotta all'evasione saranno sistematicamente usate, nel 2008 e successivi, per finanziare riduzioni di prelievo sui contribuenti leali. Tutti i contribuenti leali. Compresi i più ricchi. Un impegno cui sarà possibile tener fede, ovviamente, se - e solo se - risulteranno davvero crescenti quei «risparmi da riforme strutturali della spesa» che il Dpef ha promesso e la Finanziaria ha solo in parte mantenuto.

da www.unita.it

 

 

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