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Impronte laiche per una democrazia moderna
2.11.2006
Congresso nazionale Movimento repubblicani Europei: relazione del Segretario Nazionale on. Luciana Sbarbati

Mentre celebriamo il nostro congresso, il pensiero non può non andare con affetto e orgoglio ai nostri militari impegnati in Libano in una missione di pace per ricostruire il paese devastato a seguito di una guerra tragica con Israele costretta a difendersi dalla sequenza di attacchi terroristici ad opera degli estremisti islamici. La popolazione civile libanese, israeliana, palestinese ha pagato e paga con il sangue e la sofferenza il fallimento dell'azione diplomatica a seguito della guerra in Irak, che ha distolto gli Stati Uniti dall'impegno per la Road Map. Gradualmente abbiamo visto chiudersi i residui spiragli di un percorso negoziale di pace, in cui avevamo sperato, e ridursi gli spazi per un'azione politica di Abu Mazen e dei dirigenti palestinesi. Gli attacchi degli Hezbollah e la dura risposta israeliana hanno messo il Libano a ferro e fuoco, ridato voce al terrorismo, rinfocolato fondamentalismi e odio. A undici anni dallo storico incontro tra Rabin e Arafat, alla presenza dell'allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che aveva dato ali alla speranza, la pace in Medio Oriente è sempre più lontana. Odio atavico, intolleranza e chiusura reciproca, diffidenza, manipolati cinicamente per enormi interessi economici, hanno avuto ragione sulla diplomazia, sotto gli occhi annebbiati di una Europa colpevolmente latitante rispetto all'interesse strategico che oggi ha il Mediterraneo, con l'apertura di Suez e la crisi petrolifera, incapace di una iniziativa politica di respiro e identità europea. Il diritto di due popoli, palestinese e israeliano, ad avere un proprio stato indipendente ed autonomo, deve però trovare riconoscimento e legittimità in negoziati diretti, favoriti e supportati dall'azione diplomatica europea ed internazionale.

Per questo il ministro D'Alema ha chiesto a Israele e Palestina di rispettare gli impegni assunti negli anni, in sintonia con una ridestata attenzione dell'Unione Europea alla politica mediorientale, a cui non è estraneo l'impegno del nuovo governo italiano.

Il conflitto israelo-palestinese va inquadrato in uno scenario più ampio che coinvolge la vicenda irachena, la guerra in Afganistan, la rinuclearizzazione dell'Iran e la sua feroce politica contro Israele, quella della Corea del Nord, il proliferare dell'estremismo islamico. Questa guerra è di per sé debordante dai suoi confini fisici, poiché è l'espressione materiale di conflitti immateriali, complessi e antichi tra occidente e oriente, tra governi laici e teocratici, tra oligarchie tiranniche e democrazia, tra potere e possesso delle risorse energetiche. In questa grave emergenza internazionale il nostro governo ha dato prova di responsabilità e grande capacità negoziale. Si è di nuovo reso protagonista nello spazio difficile della politica estera, dove, con il governo Berlusconi, ci eravamo appiattiti su posizioni subalterne. Con grande capacità di iniziativa l'Italia è riemersa nella scena politica internazionale e ha condotto, tramite il ministero degli esteri, brillanti azioni diplomatiche, di intesa con gli alleati europei, impostando in modo giusto il problema. Oggi il nostro Paese ha un ruolo di primo piano nella missione Unifil e lo svolge su pieno mandato dell'ONU, assumendosi le responsabilità necessarie a garanzia della pace e della ripresa dei negoziati. Un compito non facile, ma doveroso, che ci è stato affidato, nel quale giochiamo la nostra credibilità. Con questa azione tempestiva e chiara a favore di una politica in medioriente più responsabile, l'Italia ha ritrovato l'energia e la strada maestra per rientrare nella locomotiva di testa dei paesi dell'Unione Europea.

Il recente voto plebiscitario dato all'Italia, (186 su 192) dopo 10 anni di assenza per rientrare nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU, è la dimostrazione di un'ampia fiducia accordata al nostro Paese per l'impegno di ben 10.000 soldati nelle missioni di pace nel mondo e per la sua politica multilateralista, come ha affermato Marcello Spatafora ambasciatore italiano all'ONU. Ora la sfida vera è nelle mani del nostro Ministro degli Esteri che dovrà impegnarsi, come ha dichiarato, per riscrivere pagine nuove di diritto internazionale, per l'uso controllato della forza, per la difesa e la tutela dei diritti umani, ma soprattutto per mantenere con l'Europa una consultazione stretta e costante. La recente visita in Libano di Romano Prodi e Arturo Parisi sono a conferma della nostra leadership in questa missione di pace.

Sta ora alla maggioranza supportare il governo con una coerente posizione di tutto il centro sinistra, che non deve aver bisogno dell'aiuto della Cdl, per convergere sulla politica estera del governo che prevederà certamente altre decisioni ancora più impegnative. Berlusconi, più che avere visioni strategiche lungimiranti, ha dimostrato di possedere semplicemente il tiro tattico e corto di chi si limita ai tentativi di scompaginare il campo avverso, piuttosto che privilegiare l'interesse nazionale, dando prova di scarsa statura politica. Ce lo aspettavamo. L'impegno italiano va riconfermato anche in Afganistan, dove siamo presenti su mandato ONU e in Iraq, a sostegno del processo di pace e democratizzazione. Più cautela invece va tenuta nei rapporti con l'Iran, di cui l'Italia è il primo partner economico. La politica di rinuclearizzazione dell'Iran, la sua resistenza sorda agli inviti internazionali a sospendere l'impegno nucleare, devono mantenerci vigili su posizioni poco compiacenti e chiare, nella consapevolezza della gravità della situazione che l'atteggiamento del governo iraniano provoca. Non parliamo poi della grave situazione della Corea del Nord. Di fatto questo comportamento favorisce il terrorismo islamico, poiché rimarca un esasperato antagonismo ideologico-religioso, che è il fondamento vero del terrorismo nella sua dimensione internazionale. Un terrorismo che è sempre di attacco e non di risposta. E' oramai del tutto evidente che il suo obiettivo vero è quello di condizionare la civiltà occidentale, mediante il controllo del volano della sua economia, vale a dire l'energia, e questo prima che l'Occidente sia in grado di sostituire, con proprie fonti energetiche, petrolio e metano. La sua guerra è ideologica, non sociale e muove contro l'espansione della civiltà occidentale per condizionarne i caratteri e negarne i principi e i diritti fondamentali, contro il sistema di valori universali che contrassegna la civiltà moderna, quali la distinzione tra politica e religione, la pluralità delle fedi, l'uguaglianza giuridica delle persone, la libertà di opinione e di espressione che l'Europa ha conquistato alla sua civiltà con costi umani altissimi e lunghe lotte politiche, intellettuali e religiose e con l'illuminismo.

Il terrorismo islamico non si può battere perciò solo con le armi o con l'intelligence, sebbene siano indispensabili, o con politiche internazionali di aiuto allo sviluppo economico. Appare sempre più necessario sostenere e incoraggiare all'interno dell'Islam, le posizioni modernizzanti che sono decisive per bloccare e isolare il fondamentalismo nel cuore stesso della sua irradiazione. L'impegno contro il sottosviluppo e la povertà, va quindi accompagnato da un'adeguata azione di informazione e da una apertura vera di dialogo tra i rappresentanti delle grandi fedi monoteiste, come sostiene Friedman in "Silence of the Sunnis". Solo con una maturazione politica e culturale robusta, l'Occidente riuscirà a ridurre gli attentati terroristici, aiutando il mondo islamico moderato con un'azione di concerto con gli Stati Uniti e non separatamente da essi.

Solo con una diversa politica economica che chiude coraggiosamente il capitolo dei protezionismi, di cui sono campioni Francia e Germania che affamano interi popoli, potremo essere all'altezza della più grande sfida politica per l'occidente: la lotta contro la povertà. L'Europa con la sua debolezza politica e gli Stati Uniti con il loro unilateralismo, separati, non saranno mai credibili agli occhi della componente musulmana moderata. Un Occidente unito e un'Europa che gioca in questa partita un ruolo unitario possono essere valutati in modo serio dal mondo islamico. Se infatti l'Occidente è diviso la sua forza viene meno, come pure la sua capacità d'influenza e, per contro, corriamo il rischio che l'Islam si riunisca tutto su posizioni estremiste.

Due rapide ma profonde riflessioni si impongono oggi: agli Stati Uniti sui guai provocati dal loro unilateralismo, e agli stati europei, soprattutto a quelli che hanno bloccato la Costituzione, sulla mancanza di una politica estera unitaria dell'Europa che ci consenta di essere credibili e autorevoli sulla scena internazionale, in grado di fronteggiare gli USA con una nostra visione politica dei problemi del Medio Oriente. Altrettanto fragile è la politica economica europea, le cui prerogative restano nelle mani degli stati nazionali che finiscono per far prevalere la loro sovranità sull'esigenza di unificare le politiche e rafforzare così l'economia europea. O ci si decide, come ha detto anche Romano Prodi, "ad avere un'autorità europea che prende le decisioni sulla politica economica, oppure progressi non ne facciamo." In questo quadro il vero pericolo è il nazionalismo in chiave antieuropea, ampiamente utilizzato dalla Cdl per sottrarsi ad impegni comuni, ritenuti gravosi, o per tornare a regimi sostanzialmente protezionistici. Ciò che serve è un vigoroso colpo d'ala da parte di una nuova classe dirigente, che ritrovi una comune prospettiva politica strategica, senza la quale il declino sarà inevitabile.

L'urgenza di riaprire la partita della Costituzione europea va perciò assunta dal governo italiano in modo deciso come priorità, che dovrà essere il cuore politico del prossimo semestre europeo a guida della Germania.

Nel nostro Paese si è da poco conclusa una stagione elettorale difficile e lunga. Al governo c'è la coalizione di centro sinistra guidata da Romano Prodi, ed è la prima volta nella storia della Repubblica che il centro sinistra ottiene la maggioranza nel Paese. Non è vero però quanto ha sostenuto Piero Fassino nel consiglio nazionale dei DS, che, per la prima volta tutte le forze di sinistra partecipano direttamente all'Esecutivo: i Repubblicani Europei ne sono fuori e non per loro scelta, ma di questo parleremo più avanti. Oggi il centro sinistra guida sedici regioni su venti, ottanta province su cento otto, cinquemila comuni su ottomila. In Italia c'è un nuovo quadro politico e istituzionale, la cui visione plastica è in Fausto Bertinotti presidente della Camera, Franco Marini presidente del Senato e Giorgio Napolitano presidente della Repubblica. A Lui, come ai presidenti di Camera e Senato, inviamo da questo congresso i più affettuosi auguri di buon lavoro da parte di tutti i Repubblicani Europei. Insieme vogliamo rivolgere sentimenti di profonda gratitudine e affetto a Carlo Azeglio Ciampi, che è stato per tutto il Paese un punto di riferimento per l'equilibrio democratico, il recupero della storia patria nella memoria e nei valori, la saggezza e la fermezza morale con cui ha svolto il suo mandato. Alla vittoria però siamo arrivati forse più per demeriti della Cdl che per i meriti del centro sinistra e dell'azione delle forze politiche che lo compongono. Se non fosse stato per l'impegno di tanti giovani, donne e uomini, che hanno creduto nell'unità del centro sinistra e nella sua possibilità di vincere su Berlusconi, se non fosse stato per gli Ulivisti convinti, per la società civile confluita nell'entusiasta popolo delle primarie, che ha deciso di essere protagonista del proprio futuro, pagando un obolo, scegliendo direttamente la leadership decretandone la vittoria, se non fosse stato per quelli come noi, che hanno amato più il cammino comune che la meta personale o di parte, forse avremmo ancora Berlusconi al governo.

Abbiamo vinto sì, ma solo per quei 24.000 voti tutti utili: ricordiamocelo. Perché se una parte decisiva l'hanno certamente avuta i grandi partiti, dai DS alla Margherita, che sono stati capaci di mettersi in gioco per dare alla coalizione un baricentro solido, omogeneo, determinante per vincere e governare poi il Paese, una parte non proprio secondaria l'hanno avuta anche i Repubblicani Europei e lo SDI che hanno assicurato all'alleanza ulivista il pluralismo democratico necessario ad attrarre un più vasto elettorato. Queste forze "minori" hanno contribuito a creare un Ulivo plurale ed inclusivo, a dargli credibilità. Esso non è nato come somma di DS più DL, ma come incontro tra la società civile e le grandi culture democratiche di questo Paese, che hanno lottato per la libertà, fatto la Resistenza, scritto la Costituzione italiana. Esso è nato per tramandare le grandi culture democratiche del 900 oramai stanche e autoreferenziali in un nuovo soggetto capace di comprenderle, valorizzandone la diversità orientandola alla costituzione di un modo nuovo di fare politica di intendere la partecipazione democratica per superare assetti oligarchici che riconoscono solo se stessi e coinvolgere il popolo in un fermento di responsabilità e in un nuovo protagonismo.

Per questo l'Ulivo non può oggi proporsi nel Partito Democratico come alleanza a due e rischiare di essere percepito come un patto di potere cattocomunista, che soffoca, o meglio, decide di ignorare, le altre identità culturali e la società civile, i movimenti che l'hanno costruito e fatto vincere. Esso ha di fatto mutato il suo DNA, preso a pretesto che lo SDI ad un certo punto ha abbandonato, preferendo una nuova alleanza al continuo conflitto sulle liste unitarie, per decidere di estromettere i Repubblicani Europei che mai hanno avuto tentennamenti. La spiegazione, banale più che mai, è stata che non si voleva rifare il triciclo, che però probabilmente è più stabile di una bicicletta. Sia lo SDI che il MRE sono sempre stati partiti ulivisti convinti, hanno lottato per la lista unitaria alle Europee, alle Regionali, alle Politiche e per la costruzione della Federazione dell'Ulivo, che è stata abortita per la scarsa convinzione di parte della Margherita e dei DS, e per i problemi interni dei grandi partiti. Ed è stato un grave errore non presentare la lista unitaria anche al Senato e perdere i compagni socialisti, perché avremmo vinto non di misura e governato il Paese senza ricatti e con maggiore incisività. Oggi la minaccia di implosione, sia nella Cdl che nel centro sinistra, tiene in costante fibrillazione il fragile sistema bipolare, che non ha radici culturali nel Paese e va rafforzato con una riforma elettorale seria. Noi Repubblicani Europei riteniamo che o si porta a compimento fino in fondo il maggioritario o si torna al collegio uninominale dando ai cittadini la possibilità di scegliere o il Parlamento sarà sempre più espressione degli apparati di partito e dei giochi di potere e quindi lontano e avulso dal popolo e che difficilmente troverà risposte ai suoi bisogni. Prova ne è l'attuale Parlamento disegnato a tavolino da poche persone frutto di giochi di potere non di seria valutazione di capacità e onestà. Non parliamo poi di quanto è emerso dalla indagine di Marco Travaglio che prova che 1 su10 ha precedenti penali.

I Repubblicani Europei hanno da sempre individuato nel centro sinistra un deficit strutturale di coesione. Basti pensare alla politica estera. Il progetto dell'Ulivo e il suo leader naturale avevano dato una speranza che si potesse andare oltre le antiche divisioni per costruire un modo diverso di fare politica al servizio dei cittadini. Oggi constatiamo che il deficit permane anzi si è aggravato, che l'Ulivo è agonizzante quanto meno nella sua forma originaria e che la sua leadership non riesce a governare né le diversità né i processi.

Pietro Ostellino sostiene che il Paese è "totalmente privo di cultura politica, incapace di produrre un centro sinistra e un centro destra, ciascuno espressione di una diversa, ma definibile, idea dell'Italia". E probabilmente dice una scomoda verità che mette a fuoco anche l'immaturità democratica dei nostri media, che invece di svolgere una funzione di cambiamento e di stimolo politico culturale, a volte, riflettono le logiche del potere più forte del momento.

L'assetto del sistema politico italiano non può non essere basato sulla presenza di partiti distinti sulla base di effettive diversità culturali e sul confronto di queste con la realtà in continuo divenire. Se però non si fa un passo oltre la tradizione comunista e democristiana il partito democratico non ha senso poiché non può essere la pura sommatoria di ceti politici. Il processo è lungo e l'iter elettorale che abbiamo avuto aveva reso chiaro quanto fosse difficile. La lista unitaria anche al Senato aveva un senso come prodotto effettivo del percorso verso una formazione unitaria e non come accorgimento elettorale, in chiave ragionieristica e solo per la Camera, specie con i Socialisti fuori e con i Repubblicani Europei accettati in sole quattro regioni, ultimi nelle liste, là dove nessuno voleva attestarsi. Ce n'è voluta di fede a fare campagna elettorale per l'Ulivo! Solo la consapevolezza che era necessario e doveroso lottare contro la Cdl e il suo malgoverno, contro i disvalori che aveva propagato nel Paese, contro il berlusconismo come stile di vita, per costruire una nuova stagione politica in cui fosse possibile determinare occasioni di confronto profondo su grandi indirizzi politici, per produrre una piattaforma che potesse pilotare in senso giusto l'evoluzione del sistema politico italiano, ci ha dato coraggio e forza di lottare. Lo abbiamo fatto non per la nostra bandiera, che pure su richiesta abbiamo messo a disposizione al Senato in ben otto regioni. Pur sapendo di non avere alcuna possibilità come partito, abbiamo lavorato per sottrarre voti al centro destra, ma soprattutto per l'Ulivo e il centro sinistra alla Camera, e ne siamo fieri. Forse nessun altro partito del centro sinistra può dire altrettanto.

Oggi il nostro compito è continuare a lavorare per una unità che non significhi annullamento sotto le bandiere dei più forti, per difendere la nostra cultura da chi vorrebbe cancellarla, per aprire un nuovo inquadramento moderno, proiettato nel futuro delle politiche riformiste di tutti i partiti che rappresentano l'Ulivo e del popolo delle Primarie. Noi crediamo che serva una grande operazione democratica per allargare il consenso e mettere insieme partiti e popolo delle primarie. Occorre un dibattito programmatico chiaro su contenuti e obiettivi, va mobilitata una grande partecipazione che si ritrovi in una sintesi moderna sui grandi temi e le sfide del nostro tempo per dare risposte all'altezza della drammaticità delle domande. La gente comune non si appassiona affatto ad una fusione tra due partiti e due apparati che decidono tutto e si riconoscono tra loro. Il nuovo soggetto politico deve essere cosa diversa dalle sue stesse componenti, e la partecipazione democratica dovrà spazzar via la vecchia rappresentanza di interessi. Le divisioni in campo progressista e liberale non hanno fatto altro che aiutare le destre e i conservatori pertanto lo stesso problema dell'affiliazione internazionale può essere posto decisamente in secondo piano rispetto all'obbligo morale che abbiamo ereditato dal XX secolo: quello di trovare una nuova organizzazione politica per passare dal pensiero globale all'azione globale. Un progetto ben diverso da una mediazione o da un collage di strutture di partiti, che tra mille contrasti e contraddizioni, si sta chiudendo in un braccio di ferro a due che esclude i Repubblicani Europei, senza alcuna motivazione politica. Oggi, come nel primo governo dell'Ulivo, sempre a guida di Romano Prodi, i Repubblicani non sono presenti nell'Esecutivo. La spiegazione di ciò è nel mutamento graduale del DNA dell'Ulivo, di cui portano tutti la responsabilità seppure in grado diverso, nella tattica e strategia di chi, altalenando comportamenti unitari a rigurgiti identitari e di parte, per nobili ragioni di potere e difesa di identità valoriali, culturali e politiche, ha piegato l'Ulivo agli interessi elettorali di partito, sfuggendo anche alla responsabilità doverosa di fornire una spiegazione. Non siamo però qui per recriminare ma certamente per riflettere assieme su tanto cinismo politico, sui nostri errori e sulla fiducia data immeritatamente, sul pragmatismo miope, che dà la sicurezza del potere, sul progetto, sul suo futuro.

Ancora una volta i nostri alleati non hanno capito l'importanza dei Repubblicani, di un partito che pur piccolo nella dimensione numerica, riesce a penetrare in vari strati sociali, con il suo bagaglio storico di valori e cultura democratica, di cui la Repubblica ha oggi più che mai bisogno.

Siamo qui per decidere insieme del nostro futuro, per scegliere senza condizionamenti il cammino da percorrere, anche con nuove alleanze e anche tentando la riunificazione di tutti i Repubblicani nel centro sinistra, per collaborare al successo del Governo, per dare un contributo di idee e contenuti laici e riformisti, ad una stagione difficile della politica italiana, troppo inquinata dalla commistione di interessi diversi. La questione morale è tutt'altro che risolta!

Ci siamo e ci saremo per difendere la Costituzione repubblicana da attacchi e revisioni non necessarie, che possono lacerare il Paese. Abbiamo vinto il referendum anche grazie all'impostazione data dalla campagna referendaria: un NO per poter fare le riforme costituzionali e istituzionali necessarie, per rendere più efficienti le istituzioni stesse e dare ai cittadini più diritti e opportunità. Ieri abbiamo difeso il federalismo solidale e non secessionista. Oggi dovremo lavorare per un federalismo fiscale che sarà il vero pilastro che reggerà le autonomie locali e potrà mantenere la coesione sociale e salvaguardare l'unità nazionale. Cattaneo per noi è sempre un grande maestro, e i Repubblicani Europei continueranno ad impegnarsi in tale direzione, Il voto referendario ha inoltre messo a fuoco il persistere di quella che, da tempo è definita "questione settentrionale". I Repubblicani la conoscono bene. Essa si manifesta in un atteggiamento negativo verso la burocrazia, lo Stato, la politica, a cui si imputa lentezza, corruzione e incapacità a tenere il passo con una società dinamica, moderna, che vuole crescere ed è preoccupata per il deficit competitivo del Paese e per la tenuta sui mercati del "made in Italy". Di qui la necessità di rivitalizzare ed approfondire il confronto su questo tema e su quello del Mezzogiorno, da non concepire più come sacca di voti disponibile per politiche assistenziali, ma come vera risorsa del Paese, con la sua posizione strategica nel Mediterraneo e le sue potenzialità. Un Mezzogiorno in cui va ripristinata al più presto la legalità e di cui va incentivato l'autoriscatto. Gli interventi proposti nella legge finanziaria invertono la rotta della totale disattenzione del governo Berlusconi. Il Mezzogiorno è diventato una priorità: la restituzione dei crediti d'imposta minori oneri sociali per le imprese, l'aumento degli investimenti, l'uso delle risorse destinate al ponte sullo stretto per un grande piano per le infrastrutture ne sono testimonianza.

Altro tema sul quale non è possibile tergiversare è la riforma elettorale, sempre più urgente e da fare non a ridosso delle elezioni, cercando soluzioni condivise. Forse è il caso di ricordare, anche a noi stessi, le meravigliose parole pronunciate da Giovanni Spadolini nell'ultimo discorso fatto al Senato, il 17 maggio 1994: "Non è con i colpi di teatro che si affronta una materia delicata ed essenziale come questa. Ricordiamoci che una cosa è la forma di governo, tutt'altra cosa è la forma di Stato" ... " I polveroni sollevati dal movimentismo istituzionale, allontanano le riforme possibili, certo non le avvicinano. Riformismo non è movimentismo. Essere partito riformatore non vuol dire in nessun caso essere partito ginnastico. Guai a contrapporre la piazza al Parlamento. Guai a contrapporre i fondamenti della Costituzione sugli inviolabili diritti umani, ad una presunta radice plebiscitaria, contestatrice degli ordinamenti dello Stato." ... "Qualunque schema di modifica dei lineamenti costituzionali del Paese, entro quei limiti insuperabili che ho tracciato, dovrà necessariamente essere il frutto di un dibattito da non confinare all'interno dell'angusto perimetro di una maggioranza. La Costituzione rappresenta un bene comune dell'intero Paese, della maggioranza non meno che dell'opposizione." ... "Il terreno ideale sul quale far maturare le riforme istituzionali è uno solo, il terreno parlamentare." Ed è questo anche il nostro pensiero, poiché esiste l'art. 138 della Costituzione ed è alle procedure e alle regole che sono indicate in quell'articolo che dobbiamo restare fedeli. I principi supremi, fissati dalla Costituzione, come l'indipendenza della Magistratura e il mantenimento della suprema garanzia costituita dalla Corte Costituzionale, non devono cedere di fronte a nessun altra fonte di diritto, plebiscitaria o di altra natura. Come pure non dobbiamo dimenticare, ma difendere l'unità nazionale, che si è realizzata nel post-Risorgimento e con la Repubblica, attraverso forme dirette e indirette di solidarietà delle regioni più ricche a favore di quelle più povere, aliena da sentimenti antimeridionali, e delle categorie più forti a vantaggio di quelle più deboli.

L'esito del referendum ha sancito la crisi irreversibile della Cdl, ancor più del voto politico, sul quale ha pesato una legge elettorale contorta, voluta dalla destra a suo vantaggio. Berlusconi, che si era presentato agli Italiani con un messaggio molto suggestivo che tutti potevano comprendere, ha perso la sua scommessa, perché ha privilegiato interessi di parte e non si è misurato con le grandi sfide che lo attendevano. L'atteggiamento antieuropeo, per la prima volta manifestato da un governo italiano, gli interventi contro i lavoratori, con il tentativo di modifica dell'art. 18 e i provvedimenti per precarizzare il lavoro, l'assenza di una credibile politica industriale, economica e fiscale a sostegno del sistema produttivo, i reiterati condoni, la riforma Moratti, il silenzio sul Mezzogiorno, il cinico ricorso allo spoil system, la lotta contro l'autonomia e l'indipendenza della Magistratura, l'abbassamento dei livelli di legalità e certezza del diritto, l'irrisolto conflitto di interessi, l'emarginazione dell'Italia dall'Europa e la politica piatta e personalistica verso gli Stati Uniti, ci hanno consegnato un Paese a crescita zero, con scarsa competitività, insicuro, con un debito pubblico al 106%, che chiede al nuovo Governo un forte cambiamento non solo nella classe dirigente, una progettualità condivisa e concertata per una nuova Italia, per rilanciare il sistema produttivo senza danni allo stato sociale.

Il Governo deve puntare su poche, essenziali cose, su valori comuni, restituire al Paese un ruolo in Europa e nel mondo, offrendo ai giovani opportunità concrete per il loro futuro, sostenendo la scuola, l'università e la ricerca scientifica, senza condizionamenti. Per questo i Repubblicani Europei ritengono necessario un momento di riflessione e di verifica rispetto al programma dell'Unione su Scuola, università e ricerca scientifica. Esse erano la priorità per lo sviluppo del Paese e per l'adeguamento agli ambiziosi obiettivi di Lisbona. Noi riteniamo che nella finanziaria si sia attuato un cambiamento di Governance per quanto riguarda l'Università e la ricerca pubblica di base e che in essa non possono trovare spazio riforme ordinamentali che hanno bisogno di ben altro dibattito politico. Vogliamo un'Italia dove il merito, e non la raccomandazione, faccia la differenza per il futuro dei nostri figli, e quindi una scuola e un'Università di migliore qualità e con una capacità vera di promuovere ciascuno culturalmente, ma di selezionare rigorosamente i capaci e i meritevoli, a cui va garantito il percorso degli studi, un'Italia dove le pari opportunità non siamo moda estemporanea e di comodo preelettorale, ma si concretizzino in un ministero con il portafoglio, capace di politiche di promozione e di controllo, supportato da una commissione parlamentare ad hoc, che vigili contro ogni discriminazione, sia essa legata al sesso, alla salute, alla razza, alla religione, alla ideologia, al censo. Vogliamo tornare ad essere orgogliosi del nostro Paese, per una restituita dignità alla cultura e al patrimonio culturale e paesaggistico, troppo a lungo trascurato, mercificato e sacrificato ad ogni sorta di interesse. Dobbiamo produrre una legislazione moderna e semplificata, che punti sia alla valorizzazione e alla tutela, come ad una più vasta fruizione, che nella dimensione partecipativa ha una grande funzione pedagogica e di recupero di una memoria storica fatta non solo da eventi bellici, ma anche dal progresso dell'umanità che l'arte e il bello hanno da sempre incentivato.

In ogni campo, capacità, eccellenza, competenza, dovranno essere al servizio della crescita personale, come di quella collettiva. Queste sono le risposte che gli Italiani si attendono: certezza dei diritti e dei doveri, dinamicità, concertazione, apertura di orizzonti più vasti in ogni settore della vita democratica, rigore e politica come servizio. Questa è la sfida di una scelta riformista, che deve ispirare in profondità l'azione di governo, non solo nelle apparenze di interventi eclatanti, quanto scarsi di risultato reale. Il governo Prodi, come promesso, dovrà dialogare con le forze sociali e utilizzare preventivamente la concertazione per scelte che non possono essere che il frutto di obiettivi e finalità chiari e condivisi, a partire dalle politiche del lavoro e del welfare, fino alla politica estera. La ripresa di un dialogo forte con i maggiori stati europei per il rilancio dell'integrazione e dell'allargamento, da parte del Presidente del Consiglio, e l'iniziativa del Ministro D'Alema nello scacchiere mediorientale, portata avanti con coraggio e determinazione, con una posizione condivisibile anche riguardo alla Siria, hanno trovato il nostro plauso. Dopo il fragoroso silenzio di Londra, Parigi e Berlino, l'Europa non solo si è rimessa in gioco, ma il nostro Paese è uscito da una situazione di forte declassamento internazionale, frutto degli anni di governo della Cdl. E' in atto un nuovo interessante impegno per restituire all'Italia un ruolo ed una funzione all'altezza della sua storia e ciò che più conta è che tutto ciò è dentro lo spazio europeo, dove tutti vogliamo che si giochi il nostro futuro. La stessa Europa deve fare un salto di qualità e diventare un gigante politico, necessario al multipolarismo, innescato dal crollo del muro di Berlino.

Oggi un potere troppo grande è nelle mani degli USA, ma domani il quadro potrebbe cambiare. I grandi interessi economici e i nuovi enormi mercati che si aprono nell'Est, ci dicono che gli interessi politici si sono spostati dall'Atlantico al Pacifico e che domani le superpotenze asiatiche, Cina e India, potrebbero rivendicare lo stesso ruolo che oggi hanno gli USA, e giocare una partita nazionalistica e unilateralistica dagli esiti imprevedibili. Tutto questo può essere evitato con una nuova Europa, più forte con la Costituzione, che abbia un'unica politica estera e un'unica politica di difesa, con un'economia più solida e un'autorevolezza maggiore per dialogare con parità con gli Stati Uniti e contribuire all'affermazione della democrazia e della pace nel mondo.

I Repubblicani Europei si impegnano nell'ELDR perché si rilanci il processo costituzionale e per affrontare il tema dell'Europa politica e dell'ampliamento senza chiusure o posizioni oscurantiste. Un impegno laico attraverso una sintesi efficace di cultura liberale e repubblicana che vogliamo mantenere e rendere più visibile.

Le scelte riformiste non potranno non comprendere iniziative strutturali per la riduzione del debito pubblico e il rilancio del sistema produttivo in una cornice di equità sociale e di equilibrio tra risanamento e sviluppo. Per questo avremmo apprezzato più coraggio e precisione nel DPF, sul quale ci siamo astenuti perché mancava di selettività negli interventi e lasciava alla Finanziaria compiti ardui e difficoltà insolubili. La pesante manovra di circa 40 miliardi forse non é sufficiente se non è accompagnata da precise scelte e interventi strutturali sul sistema fiscale, assistenziale, pensionistico e della spesa pubblica. Per dare respiro al Paese e cominciare sul serio un'opera di risanamento dei conti pubblici, necessari per restare in Europa e salvare il Paese dal declino, bisogna lavorare sulle priorità. Molte iniziative sulle liberalizzazioni, sul fisco, la scuola, il sociale, la giustizia, sono state messe in campo in questi pochi mesi dai vari ministri e fanno ben sperare, purché siano tessere che compongano il puzzle disegnato da chi ha la responsabilità dell'Esecutivo, nel rispetto del programma condiviso, senza entrare in rotta di collisione. Il vero banco di prova della tenuta del Governo sarà però lo strutturarsi di quel "baricentro riformista" di cui tanto abbiamo parlato, non solo del Gruppo dell'Ulivo in Parlamento, dove peraltro DS e DL dovrebbero avere più riguardo al pluralismo e alla pari dignità. Perché nasca un soggetto politico, che traduca il progetto ulivista nel Partito Democratico e trasformi definitivamente l'Ulivo da alleanza politico elettorale in un partito, serve un'azione forte e convinta, non solo esternazioni a cui seguono spesso comportamenti divaricanti. Tale Partito dovrà essere capace di portare a sintesi le migliori culture democratiche per una moderna politica riformista.

Il Partito Democratico non deve essere un'operazione di marketing politico o una manovra dei vertici dei partiti. Per farlo fallire basta poco: basta ridurre tutto a personalismi, anteporre la cultura dell'egoismo a quella dell'interesse collettivo del Paese, trasformare ogni decisione in regolamento dei conti, infarcire la discussione di disastrose polemiche formali. Costruire il partito democratico per noi Repubblicani Europei significa accettare l'incontro e il confronto di tutte le culture democratiche, partendo dalla comune accettazione di un metodo, riconoscendo gli altri come pari a te nella dignità politica e umana.

Il Partito Democratico deve nascere come incontro politico dei filoni del socialismo, del cattolicesimo riformista, del liberalismo e del repubblicanesimo, nonché dell'ambientalismo con il popolo. Queste culture hanno affrontato sempre insieme compiti come l'unità nazionale, la democrazia e la repubblica e unitariamente e con pari dignità politica dovranno affrontare le nuove grandi sfide. Il Partito Democratico sia nella leadership che nell'organizzazione, dovrà essere un partito moderno. Per questo abbiamo l'ardire di credere che la nostra peculiarità, che è la ragione profonda dei Repubblicani, cioè la Repubblica, sia un ingrediente indispensabile. Noi Repubblicani non abbiamo timore di perdere la nostra identità. Per essa abbiamo accettato senza paura di essere minoranza, per essere liberi di sviluppare idee e programmi che oggi sono diventati patrimonio comune. Solo chi ha paura delle differenze non riesce a governarle e vuole cancellarle; mentre le differenze, pur raccolte nei filoni di fondo delle espressioni delle culture democratiche italiane, saranno il codice genetico del nuovo Partito Democratico e non impediranno di giungere ad un'efficace sintesi politica, se saggiamente governate.

Il Partito Democratico è per noi non solo un progetto riformista per il futuro. E' anche la ricchezza del nostro passato che trova sostanza nell'art. 3 della Costituzione repubblicana. In esso si chiama in causa una società aperta, in cui la libertà non è statica: "La Repubblica si impegna ad individuare strategie per rimuovere ostacoli e condizionamenti che impediscono la piena realizzazione umana e civile di ciascuno, senza distinzione alcuna". Nell'art. 3 c'è una tensione morale straordinaria che spinge il legislatore ad un riformismo moderno, interprete nel contempo di bisogni e capace di rispondere a vecchi e nuovi diritti di cittadinanza che si impongono in una società multietnica e multirazziale, che vuole risposte all'altezza dei tempi. I cittadini chiedono oggi di essere responsabilizzati e non trattati da meri consumatori, da partiti incapaci di dare risposte alle profonde domande di senso che la società pone alla politica.

La discussione che oggi si è aperta nel centro sinistra sulla sua organizzazione: Unione, Ulivo, Partito Democratico impegna tutti. Noi saremo protagonisti in questo dibattito per garantire uno stato laico le cui leggi mai dovranno obbligare qualcuno ad agire contro la propria coscienza. Riteniamo necessario un dialogo nuovo e profondo con le religioni e la religione cattolica, che ha occupato lo spazio del grande vuoto lasciato dalla politica, per un recupero forte della responsabilità istituzionale. Il senso dell'impegno e le premesse culturali del Partito Democratico sono tutte qui.

Le Primarie avrebbero dovuto far comprendere a tutti cosa vuole la società italiana: unità non di facciata, non meramente elettorale, ma di valori, contenuti e progetto. Per il Partito Democratico troppo poco si parla di contenuti. Se l'unità del centro sinistra è stata la condizione per vincere la sfida delle elezioni, la sfida del governo potrà essere vinta solo se i vari riformismi si uniranno e noi Repubblicani Europei, su questo, abbiamo una coerenza politica senza tentennamenti o sbavature. A cinque anni di distanza dalla nascita del Movimento, a tre anni dal primo Congresso e a nove mesi dal Congresso straordinario a cui siamo stati costretti per riaffermare la nostra presenza nell'Ulivo, è di fronte a noi un compito delicato e decisivo. Non è il nostro un appuntamento rituale per cimentarci in un'analisi più o meno severa del passato, né smania o ricerca di visibilità. E' il momento della volontà tenace, arrogante, coraggiosa, repubblicana, di decidere il nostro futuro, di dare senso alla nostra vita politica; è convinzione di decidere il futuro del Movimento o di trasformarlo in partito. Qualcuno potrebbe anche sorridere, con ironia, al pensiero dei numeri che non ci rappresentano per una serie di problemi. Ma il fatto è che, nonostante abbiano provato a cancellarci dalla storia politica del Paese e non solo gli avversari, ma anche quelli che abbiamo ritenuto amici, alleati, che più o meno si sono serviti della nostra storia, e della nostra bandiera, dell'unica leader donna la cui immagine andava bene nel momento in cui la moda delle "quote rosa" tirava e il quadro un po' scontato e grigio dei signori dell'Ulivo diventava più umano e gradevole. Non ci sono riusciti e non ci riusciranno. L'Ulivo non poteva nascere solo come incontro tra socialisti e democristiani. Era necessaria una forza moderna, laica e democratica come quella repubblicana, per renderlo più credibile, per attrarre anche quel ceto medio borghese, un po' calvinista, laico, che non si schiera a prescindere, ma è abituato a scegliere con il ragionamento ed ha sempre visto con simpatia i Repubblicani e li ha considerati una garanzia ed una riserva democratica per il nostro Paese. Erano necessari quei Repubblicani Europei che a Bari avevano avuto il coraggio di dire no a Berlusconi, per restare nel centro sinistra e non si erano tirati indietro, undici anni fa, di fronte alla battaglia per l'Ulivo conclusasi nel 2001 con una dolorosa scissione dal PRI, consapevoli che il loro dovere era lavorare per quel progetto, che fu per primo di Giovanni Spadolini, di un grande Partito Democratico. Non ci tireremo indietro oggi dopo aver contribuito alla vittoria dell'Ulivo. A cosa dobbiamo un comportamento simile che, a dire la verità, non è comune a tutti gli alleati ulivisti, ma è certamente di chi conta forse troppo, più dei suoi stessi numeri, poiché riesce a condizionare le scelte degli altri. Nessun difetto nella nostra lealtà, collaborazione ininterrotta, contributo di idee, donne e uomini senza contropartite, nessun ricatto per avere, ma lavoro in squadra e produzione spontanea di idee e progetti. Questo è stato il nostro stile politico. Ovunque, nelle competizioni elettorali locali, abbiamo sostenuto i candidati dell'Ulivo o del centro sinistra e abbiamo propagandato l'Ulivo, suscitando entusiasmo e simpatia. Dov'è l'errore? Forse la testarda difesa della nostra autonomia, il rifiuto di omologarci al pensiero unico, la capacità di confronto, il diniego ad intrupparci nei più grandi partiti onnivori, la fede entusiasta nell'Ulivo. Paghiamo per il rigore, per la coerenza sofferta ai principi e alle scelte repubblicane, per la lealtà alle persone e al progetto, per la concezione della politica in chiave etica, e per la leadership femminile, tenace, orgogliosa, che ha osato esprimere opinioni, dissentire, indicare alcune scelte; per una leader donna che pensa e decide e non è nata per la concessione di un segretario benevolo, ma per la fiducia democratica di tutti voi, che non concede nulla alla aggressiva politica maschile e difende tenacemente i valori in cui tutti noi crediamo. Paghiamo per la nostra diversità. Paghiamo perché vogliamo esistere con le nostre convinzioni, vogliamo manifestarle additando ai giovani i valori mazziniani e un modello di società moderna, aperta in cui la giustizia sociale si costruisce con lo sviluppo e l'equità.

All'inizio, quando eravamo pochi, vi dicevo "resistere per esistere", quando siamo cresciuti ho sottolineato con forza "definirsi o sparire". Oggi vi dico "non rinunciamo mai alla nostra diversità repubblicana". Essa farà la differenza, sia nel futuro partito democratico, che dovrà nascere, ma anche nelle possibili nuove strade che i Repubblicani Europei vorranno percorrere. E' la differenza dell'onestà, del rifiuto dell'ambiguità e del calcolo, è la capacità di credere e soprattutto di dare. Perciò non lamentiamoci. Grazie ugualmente per essere stati insieme e per continuare insieme, grazie per averci reso più consapevoli di quanto ci sia bisogno di noi, non dei nostri numeri, che pure certamente ci sono e sono stati utili. Grazie all'impegno di molti amici dell'AMI che continua a svolgere una grande funzione di stimolo culturale e a quelli che lavorano nella cooperazione e nell'ENDAS. Grazie soprattutto agli amici del sindacato con i quali c'è sempre stato un utile confronto sulle tematiche sociali ed economiche più complesse. Non intendiamo affatto abbandonare l'impegno politico solo perché qualcuno, a giochi fatti, si è dimenticato di noi, o perché altri, con ostentata arroganza, ci considerano superflui. Noi ci sentiamo, al pari e più degli altri, orgogliosamente necessari, come sempre siamo stati nella storia politica del nostro Paese. Necessari alla democrazia, alla libertà, alla giustizia sociale, al rigore, all'apertura alla scienza e alla ricerca, alla tolleranza e alla libertà religiosa contro i fondamentalismi, alla dimensione europea e internazionale del pensiero politico, ad una nuova concezione etica dell'economia, alla rivitalizzazione in termini morali della stessa politica. Non abbiamo necessità alcuna di cercare alleanze di potere, dobbiamo semplicemente difendere la nostra casa ed essere più capaci di organizzarla funzionalmente. I risultati arriveranno. La cultura repubblicana però viene disdegnata dagli stessi alleati e la comunicazione politica e il sistema di creazione del consenso sembrano sempre più dominati da uno scarso contatto diretto tra candidati ed elettori e per contro da un crescente ruolo della televisione che incide nella creazione del consenso. L'accesso a tali circuiti televisivi è diventato parte integrante della struttura sempre più oligarchica non solo della politica ma della società italiana. Anche in settori collaterali alla politica come il calcio, la finanza, il grande capitalismo, le derive oligarchiche che accentrano vaste fette di potere in poche mani, spesso autoreferenti, che crescono per cooptazione, con commistioni continue tra controllori e controllati sono sempre più frequenti. E' la storia di tutti i recenti scandali dell'Italia. Rispetto a questo metodo oligarchico nella politica che in qualche modo sembra intaccare fin dalla nascita il Partito Democratico i Repubblicani Europei mostrano un DNA di incompatibilità e lotteranno per spezzarlo.

L'impegno è per noi passione, cuore e cervello insieme, dovere che supera gli egoismi umani e l'interesse personale, è continua crescita civile e maturazione di libertà. Potrei definire l'impegno politico di un Repubblicano come la traduzione laica della Caritas cattolica: amore, amore per l'umanità che il mio prossimo esprime come me, con le sue incertezze, le paure, i bisogni, la fantasia, il dolore, la gioia, l'intelligenza, la creatività, il bene e il male; la fragilità dell'essere. Siamo nati per difendere la dignità della storia repubblicana e lo stato laico, con le sue istituzioni, per mantenere nello spazio politico del centro sinistra il più antico partito della sinistra storica italiana non marxista, per ricordare che non c'è libertà senza conoscenza e che la peggiore delle povertà è l'ignoranza, che ogni donna e ogni uomo non hanno solo un destino, ma hanno un compito di umanità che possono e debbono assolvere con amore laico verso se stessi e il prossimo. Questo significa diritto alla crescita personale, culturale e civile di ciascuno, ma anche dovere all'azione sociale e politica, rispetto di tutti anche di chi pensa diversamente da noi. Siamo nati non per un riflesso nostalgico, ma per la consapevolezza che le nostre idee e i valori mazziniani possano ancora dare un forte contributo per raggiungere quei traguardi essenziali alla costruzione di una democrazia compiuta in cui "le impronte laiche", forti, ma non velleitarie, robuste e intransigenti, rigorose nella difesa dei diritti e nell'esigenza dei doveri, vigili contro interferenze partigiane o confessionali, rispettose della scienza nelle sue determinazioni per il progresso della vita in tutte le sue forme al servizio dell'umanità, connotino sempre più l'azione politica del legislatore, libero da condizionamenti e da pregiudizi. Impronte laiche che nessuno potrà cancellare. Fin quando ci sarà un Repubblicano, egli potrà ripercorrerle, sicuro di seguire la strada di un nuovo umanesimo, necessario in tanta barbarie del mondo globale, nel solco di quella dottrina mazziniana che oggi è un faro di civiltà per le più grandi democrazie del nostro tempo.

Dopo i fatti accaduti e alla luce di quanto sta avvenendo sul palcoscenico della politica, partendo da questa analisi e da questa autocritica nel nostro congresso dovremo rispondere a due interrogativi:
1) i Repubblicani devono restare nell'Ulivo e costruire e aderire a un nuovo grande soggetto politico?
2) i Repubblicani devono collocarsi fuori dall'Ulivo e cercare altre possibili aggregazioni?

Tutti affermano, a parole, che la nascita di un partito unitario, dalla tradizione ulivista e riformista, dovrà essere basata sulla contaminazione di varie componenti culturali e sociali oggi addirittura dei partiti. Se questo però non appare fin da subito, si determina un fatto contrario alle intenzioni, troppo spesso solo dichiarate, che ci rende liberi di percorrere altre strade che accolgano il contributo di un partito laico, non laicista, con profonde radici nella cultura della scuola democratica italiana: il partito dei Repubblicani Europei. Io ritengo che valga la pena di tentare di costruire un grande nuovo soggetto politico, di rialimentare con la nostra passione e la nostra cultura il coraggio della speranza. Sono però convinta che i partiti laici e liberali debbono aprirsi a un dialogo franco e costruttivo e fare un grande sforzo di aggregazione per riscattare il pensiero riformatore delle loro componenti culturali che sono quelle più aperte e moderne nel panorama politico italiano, indispensabili alla vita democratica come al rafforzamento delle basi giuridiche e culturali di uno Stato laico, che tutti i giorni vede incursioni di ogni tipo e abusi per un malinteso senso di laicità. Nulla ci vieta di lavorare anche per questo, perché non soltanto il riformismo dei DS e quello cattolico diano le coordinate e decidano struttura e organizzazione del partito democratico, magari trascurando i contenuti che sono il vero terreno di ogni possibile unità. Lavoreremo perché la cultura repubblicana, quella socialiste, liberaldemocratica e liberale possano entrare in un dibattito più democratico che va aperto anche nel Paese per coinvolgere coloro che non possono essere dimenticati ovvero i cittadini delle primarie. O sarà così e quindi qualcosa dovrà cambiare da subito oppure ciò che nasce con l'esclusione non potrà mai crescere perché non ci può essere un Partito democratico a due velocità, né partiti di testa e partiti di coda ma ciascuno nel rispetto della dignità politica dell'altro e anche nel rispetto dei numeri dovrà accettare la sfida dell'incontro con il popolo per una nuova stagione politica. Una sfida a cui la stessa Europa sta guardando con interesse. Sta a tutti noi non deluderla.

on. Luciana Sbarbati

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