(di Massimo Gramellini su la Stampa) Fra tanti revisionismi alla moda, siamo felici di riferirne uno di segno inverso, protagonista Letizia Moratti (Forza Italia, corrente Margaret Thatcher).
Recatasi al cimitero per il rituale omaggio ai caduti della Resistenza, il sindaco di Milano si è rifiutata di proseguire l'ambigua tradizione del predecessore Albertini, che dopo la visita ai partigiani si spostava dai repubblichini, non prima però di essersi tolto la fascia tricolore, e riuscendo così nell'impresa di far arrabbiare gli uni e gli altri. Per la Moratti, dirigente politica di centrodestra figlia di un partigiano, il problema della memoria condivisa si risolve come in ogni altra nazione democratica: omaggiando solo chi ha combattuto per la libertà di tutti: anche di coloro che, talvolta in buona fede, alla libertà spararono addosso. Non è obbligatorio essere di sinistra per pensarla così. Chissà se adesso l'avrà capito anche quel soviet di cretini che lo scorso 25 aprile impedì alla signora di sfilare insieme al padre per le vie di Milano.
I due nodi politici irrisolti dell'Italia contemporanea risalgono entrambi alla seconda guerra mondiale, e se uno è l'egemonia del pensiero comunista sulla sinistra, l'altro è la mancanza di una forte destra antifascista, presente invece nel pedigree di tutte le democrazie occidentali. Fra i moderati in armi contro Hitler, noi non abbiamo avuto un Churchill o un De Gaulle, ma al massimo un Sogno.
Questa grave anomalia ha contribuito a rafforzarne un'altra, consentendo ai comunisti di mettere il bollino rosso sulla Resistenza: un sequestro ideologico che l'ha resa indigesta a moltissimi italiani. L'atto simbolico della Moratti avvicina la fine del dopoguerra e il compimento della democrazia. In fondo ci abbiamo messo solo sessant'anni. E poi qualcuno ha il coraggio di dire che in Iraq vanno piano.
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