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*L'America può essere liberal* il manifesto dei progressisti Us
3.11.2006
Mentre i politici e i soloni della destra ci definiscono fantocci di Osama Bin Laden, Tony Judt, in un saggio di cui si è molto parlato sulla London Review of Books, accusa i liberal americani, senza distinzioni, di aver «avallato la catastrofica politica estera del presidente Bush».

Entrambe le tesi sono colossali fesserie.

Evidentemente è ora che siano i liberal a dare una definizione di se stessi. La verità importante è che la maggior parte dei liberal, inclusi i firmatari di questo manifesto, hanno mantenuta salda la rotta durante questi cinque, difficili anni. Abbiamo ripudiato, coerentemente e pubblicamente, le disastrose politiche dell'amministrazione Bush e la nostra diagnosi, ahimè, ha trovato conferma negli eventi.

La débàcle di Bush è una conseguenza diretta della sua sconfessione dei principi liberali. E se vogliamo che il Paese riparta, dobbiamo cominciare con il riaffermare questi principi.

L'America ha nemici reali. Ma nemici reali esigono una difesa reale, non l'abbandono a follie del genere a cui abbiamo assistito in Iraq.

Ci siamo tutti opposti alla guerra in Iraq, perché illegale, imprudente e devastante per lo status morale dell'America.

Questa guerra ha alimentato e continua ad alimentare, un flusso di jihadisti dediti a una violenza orribile e ingiustificabile, come è stato ampiamente dimostrato dagli attacchi dell'11 settembre e dai massacri in Spagna, Indonesia, Tunisia, Gran Bretagna e altri Paesi.

Invece di renderci più sicuri, la guerra irachena ha peggiorato la situazione della sicurezza, per noi e per i nostri alleati. Noi riteniamo che lo Stato di Israele abbia il fondamentale diritto di esistere, senza subire aggressioni militari, all'interno di confini sicuri prossimi a quelli del 1967, e riteniamo che sul governo degli Stati Uniti ricada una responsabilità particolare per il raggiungimento di una pace duratura in Medio Oriente.

Ma l'amministrazione Bush è stata inadempiente. Non è riuscita a portare avanti una linea ferma e costruttiva. Ha scoraggiato le prospettive di un accordo onorevole tra israeliani e palestinesi. Ha incoraggiato gli attacchi sproporzionati di Israele nel Libano dopo le incursioni di Hezbollah, attacchi che hanno portato a perdite di vite umane e di proprietà di vasta portata.

Non vogliamo essere fraintesi: noi riteniamo che in alcune occasioni l'uso della forza possa essere giustificato. Noi abbiamo sostenuto l'uso della forza da parte degli Stati Uniti, insieme ai nostri alleati, in Bosnia, in Kosovo e in Afghanistan.

Ma la guerra deve rimanere l'ultima risorsa.

Il grande affidamento che fa l'amministrazione Bush sull'intervento militare è illegittimo e controproducente. Crea nemici inutili, avvilisce la difesa nazionale, distoglie l'attenzione dai pericoli effettivi e ignora la necessità imperativa di costruire un ordine internazionale che affronti in modo pacifico le aspirazioni delle potenze emergenti in Asia e in America Latina.

Applicare in modo errato la forza militare mette anche in pericolo la libertà americana in patria.

Il presidente rivendica l'autorità, in quanto comandante in capo, di gettare cittadini americani in carceri militari per anni e anni senza uno straccio di procedura legale che consenta loro di rispondere alle accuse avanzate nei loro confronti. Il presidente rivendica il potere di intercettare senza garanzie le conversazioni degli americani, in diretta violazione delle direttive del Congresso.

Questi abusi preannunciano misure ancora più drastiche se un altro attentato dovesse aver luogo sul suolo americano. (...)

Noi riaffermiamo il grande principio del liberalismo, e cioè che ogni cittadino ha diritto a disporre degli strumenti elementari per una vita degna. Noi crediamo sinceramente che la società dovrebbe garantire ai suoi cittadini un trattamento egualitario di fronte alla legge, a prescindere dalla nascita, dalla razza, dal sesso, dagli averi, dalla religione, dall'identificazione etnica o dall'inclinazione sessuale.

(...) La negazione della realtà da parte del governo raggiunge livelli deliranti quando sconfessano le affermazioni più banali della comunità scientifica, che descrive imponenti cambiamenti climatici ormai già in corso. (...)

Il disprezzo di questa amministrazione per la scienza fa tutt'uno con il suo generale disprezzo per la ragione, un pregiudizio che qualsiasi società moderna dovrebbe essersi lasciato alle spalle. Sia che si trattasse di ricerca scientifica, evoluzione, controllo delle nascite, politica estera, prezzo dei medicinali o del modo di prendere le decisioni, l'amministrazione Bush ha sfidato l'evidenza e la logica, sabotando l'operato dei suoi stessi funzionari pubblici di professione.

Questo governo rifiutata di consultarsi seriamente con esperti e critici. Agisce in segreto, sfidando i poteri del Congresso. Rifiuta di identificare le persone a cui chiede consiglio, arrivando addirittura a tenere segreti i nomi dei collaboratori del vicepresidente. Soffoca i funzionari pubblici cercando di fare quello che sarebbe loro compito. Nomina a cariche pubbliche amici la cui fedeltà politica non può essere compensazione sufficiente per la loro incompetenza. Quando viene contestato, risponde con bugie e distorsioni.

La ragione è indispensabile per un autogoverno democratico. Questa verità lapalissiana era un impegno fondamentale assunto dai nostri Padri Fondatori, che la ritenevano assolutamente compatibile con il diritto, riconosciuto a ogni americano dal Primo Emendamento, di professare liberamente la propria religione.

Quando discute pubblicamente la linea politica, il nostro governo dovrebbe fondare i suoi provvedimenti di legge su basi accettabili da tutti, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose.

L'impegno pubblico ad assumere la ragione e la chiarezza come linee guida è il fondamento di una democrazia pluralista. Un fondamento che è stato eroso dall'attuale amministrazione, in una campagna per assecondare la sua ala estremista.

L'incapacità di questo governo di rispettare il processo di dibattito pubblico ha dato vita a conseguenze prevedibili, nessuna delle quali positiva.

L'amministrazione Bush non è stata capace di proteggere i suoi cittadini dal disastro, quello prodotto da nemici stranieri l'11 settembre e quello prodotto dall'uragano e dalle alluvioni che hanno colpito la costa del Golfo del Messico nel 2005.

Questa amministrazione ha infilato la guerra in Iraq in un vicolo cieco.

Questa amministrazione non è capace di presentare una strategia plausibile per condurre il nostro intervento militare a una conclusione sostenibile.

Noi insistiamo sul fatto che l'America deve difendersi energicamente dai suoi nemici reali, i radicali islamisti che si organizzano per attaccarci. Ma la sicurezza non esige la tortura o il rifiuto di fornire le garanzie elementari di un giusto processo. Al contrario, la condotta illegale di questa amministrazione e le sue violazioni delle Convenzioni di Ginevra non fanno altro che intaccare il nostro status morale e la nostra capacità di contrastare gli appelli di ideologi violenti.

Difendendo la tortura, l'amministrazione Bush si impegna proprio in quel tipo di relativismo etico che dichiara di condannare. Contestualmente, rifiuta di confrontarsi con le sue responsabilità per le violazioni dei diritti umani ad Abu Ghraib, a Guantanamo e altrove.

Non essendo riusciti a prevedere possibilità ovvie, utilizzano come capri espiatori militari di grado minore invece di individuare e punire fallimenti di più ampia portata nella direzione della guerra.

Noi rifiutiamo di limitare le nostre critiche alle singole personalità.

Noi riteniamo che la responsabilità degli abusi di potere, che sono stati moneta corrente sotto il governo Bush, non ricada solo sul presidente e sul vicepresidente, ma anche su un movimento conservatore che da decenni compromette la capacità del governo di agire in modo ragionevole ed efficace per il bene comune.

Noi amiamo questo Paese. Ma il vero patriottismo non è fatto di spacconerie e calunnie.

Il vero patriottismo sta nella fedeltà ai nostri grandi ideali costituzionali. Siamo una repubblica, non una monarchia. Crediamo nello Stato di diritto, non nelle prigioni segrete. Ci battiamo per la giustizia per tutti, non per i privilegi per pochi. Ripudiando questi ideali americani, l'amministrazione Bush disonora l'America e lede la nostra immagine di guida democratica del mondo intero.

Sarà necessario un lavoro difficile per porre rimedio a questi danni. Non sarà sufficiente sconfiggere la destra radicale alle urne. Dobbiamo impegnarci in grandi atti di immaginazione politica e indurre una nuova generazione a raccogliere la bandiera dei principi liberali, adattandoli con inventiva al nuovo secolo.

Al manifesto di Bruce Ackerman e Todd Gitlin hanno aderito: George Akerlof, Jeffrey Alexander, Eric Alterman, Kenneth Arrow, Ian Ayres, Benjamin Barber, Yochai Benkler, Joshua Cohen, Lizabeth Cohen, Robert A. Dahl, Norman Daniels, Michael Doyle, Cynthia Fuchs Epstein, James K. Galbraith, Robert W. Gordon, Jorie Graham, Adam Hochschild, Arlie Hochschild, G. John Ikenberry, Christopher Jencks, Pamela S. Karlan, Michael Kazin, Chang-Rae Lee, Margaret Levi, Sanford Levinson, Doug McAdam, Jane Mansbridge, Katherine S. Newman, Robert Post, Robert Reich, Susan Rose-Ackerman, Ruth Rosen, Elaine Scarry, Arthur Schlesinger, Jr, Richard Sennett, Kim Lane Scheppele, Jane Smiley, Christine Stansell, Charles Tilly, Michael Tomasky, C. K. Williams, William Julius Wilson, Alan Wolfe, George M. Woodwell

(Traduzione di Fabio Galimberti)

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