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Il carro
4.11.2006
di Tiziana Verde.

Discariche spuntavano a cielo aperto e da lontano venivano a venderci i loro rifiuti. Qualcuno li versava a concime nei campi, dimenticando che è materna la terra che dà frutto.
Stavamo sopra macerie di alluvioni e terremoti mai del tutto spalate, tra muri sventrati e schianto di bombe, le case spaccate come frutti, per amnesia che è mestiere della terra sostenere.

Stavamo lì più come passanti, allucinato pensiero erano i progetti mai avviati, le strade mai cominciate, e vera soltanto la ressa dei quartieri sorti all’improvviso. Potevamo fingerli dei precari accampamenti, ma duravano una vita, ci cambiavano, perché da nessun sotterraneo si esce illesi.
Contro luce e spazio alzavamo barriere, quasi rispondessimo, contrapponendo all’apertura di panorami e mare, l’ordine mostruoso di brutti palazzi, da cancellare la possibilità stessa d’avere riparo.
Senza dolore si ordinavano demolizioni, ma franava insieme ai vicoli, il ricordo di chi in quei luoghi era invecchiato, la geografia sottile e perduta, che nessun atlante scriverà mai e, scomparso l’antico, i paesi parevano muti, se sono gli alberi, le pietre il saluto quando si torna da lontano.
Inquinati i pensieri, gli scambi, le regole, ci inventavamo nicchie da rinviare almeno la disperazione più immediata. Intere generazioni partivano, fino a svuotarsi le strade, tranne dei vecchi, più vecchi ancora senza radice di figli, ma ‘terra’ diventava deserto, ai lontani rimpianto, e mai casa, mai giusto spazio.
In ginocchio cadevamo soltanto sotto il tiro di illegalità tollerate, persa d’occhio a furia di inchini ogni vastità, chi impazziva poteva vantare la sua tana e cancellarci giorni e fede andata persa, se ricchezza d’un suolo è poter essere seminato a sogni oltre che a semi.
I dispersi mai spalati, finivano mischiati al fango e noi napoletani dimenticavamo persino quest’ultimo dialogo che ci aveva fatto profondi e finivamo davvero inutilmente, per dimenticanza, che è materia della terra ricoprire i morti.
Nel mio paese non sapevo dove fossi. Mi chiedo se esista ancora per noi dimora, una qualsiasi eredità o solo condanna a vagare. Perché se la terra non fa tutto questo, se non dà frutto, né spazio, né sogno, né riparo, allora non è più terra, né noi di sud vi abbiamo suolo, piedi, significato… […]

Per leggere il testo completo: http://www.nazioneindiana.com/2006/11/03/il-carro/#more-2618

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