4.11.2006
Il 4 novembre 1966, dopo alcuni giorni di piogge ininterrotte, l’Arno ruppe gli argini a Firenze: l’acqua inondò le strade e raggiunse i primi piani delle case. Le targhe in città dicono 4 metri e 92 centimetri. Il fango invase musei, chiese, e luoghi d’arte: l’acqua entrò in Palazzo Vecchio, nel Duomo, nel Battistero, mentre la furia del fiume sventrò le storiche botteghe degli orafi sul Ponte Vecchio. Il Crocifisso di Cimabue della Basilica di Santa Croce, danneggiato gravemente dall’inondazione, diventò il simbolo di una tragedia che colpì non solo la popolazione, ma anche l’arte e la storia. Le acque si ritirarono solo dopo due giorni, lasciando Firenze sepolta e imbrattata da fango, nafta e montagne di detriti. A quarant’anni da un disastro che divenne un simbolo nell’immaginario collettivo, la messa in sicurezza del territorio italiano sembra ancora una chimera. «Gli investimenti per la difesa del suolo, negli ultimi 20 anni, sono sempre diminuiti in ogni Finanziaria», ha ammesso Guido Bertolaso, capo della protezione civile italiana, a margine di un convegno per il quarantennale dell'alluvione di Firenze. «Con la prevenzione - ha chiarito Bertolaso - non si vincono le elezioni: con la prevenzione si mette in sicurezza il territorio ma questo non si vede. Con la prevenzione non ci sarà mai un'alluvione, e se non c'é un'alluvione non ci sono neanche quelle attenzioni dei mass media che fanno notizia». Sull’Arno, in particolare, Bertolaso ha aggiunto: «Resta ancora da completare un'opera che se rimanesse realizzata in modo parziale potrebbe mitigare i possibili danni, ma certamente non evitarli».
Fonte con ulteriori informazioni: http://www.lanuovaecologia.it/ecosviluppo/politiche/6501.php
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