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Ma non è Napoli il centro del dibattito
6.11.2006
Ma non è Napoli il centro del dibattito di Norberto Gallo Attenzione a scambiare la quantità di notizie, analisi e denunce mass mediatiche su Napoli di questa settimana per la presa d’atto dell’esistenza dei mille problemi che conosciamo bene e magari per una qualche conseguente volontà di dare una sterzata alla situazione. Certo, 'si è scoperchiato un pentolone' avrebbe detto il Bassolino dei tempi andati, ed è lecito pensare che quello che è venuto fuori sia soltanto una parte, magari piccola, di un quadro di desolazione ancora più grande. Dobbiamo dolerci infinitamente di come anche il nostro amato centrosinistra sia caduto nel fango, e sopportare che chi ritenevamo fino ad oggi che avesse il copyright del malgoverno cittadino se la rida, sospettando, oltretutto, che tutti i torti non li ha.

Ma quello che i giornali descrivono come la crisi della città serve solo a tracciare lo sfondo di un quadro di cui il protagonista è Antonio Bassolino e la sua caduta, colpito a quanto pare soprattutto ‘dal fuoco amico’.

In fondo, per chi come il sottoscritto denuncia da più di un decennio il progressivo peggiorare della situazione abbinato ad un silenzio colpevole sul merito delle questioni della città, la cosa assomiglia tanto ad una specie di redde rationem. E tuttavia, forse proprio perché non mi sono lasciato abbagliare al momento dai fasti, mi pare che le cose non stiano esattamente come sembra. Sembra, piuttosto, il riproporsi della crisi che ciclicamente attraversa la storia della città: quella di chi ha scelto di governarla senza risolverne i problemi.

Perché il punto è questo: gli anni di governo di Bassolino sono alla fine senza che nessuno dei nodi che stringono la città da decenni sia stato sciolto. E quegli stessi nodi c’erano anche sei mesi fa o cinque o dieci o venti e più anni fa: camorra, disoccupazione, incuria e illegalità diffusa. Solo che nessuno era disposto a parlarne, forse a crederci. Allora hanno gioco facile i bassoliniani irredenti a parlare di congiura, complotto ai danni del governatore.

Fassino, D’Alema o forse Napolitano hanno deciso di troncarne la fulgida carriera? Può darsi, ma in fondo a noi importa? Non che la rimozione di Bassolino non abbia un peso. Anzi! Si tratta del garante di un sistema che ha dirottato e dirotta l’azione delle istituzioni su di un terreno lontano dalla città, tutto spostato sul piano della gestione pura del potere. Ma ci insegna il passato che non è che basti mandar via l’ennesimo vicerè per risolvere i problemi. Tredici anni fa l’ordalia giudiziaria di tangentopoli spazzò via un’intera classe dirigente, eppure non è ingeneroso dire che siamo praticamente allo stesso punto. Cosa è mancato? Invece di affrontare i problemi strutturali, i tanti nodi irrisolti, l’allora Sindaco scelse di praticare la strada della conservazione degli equilibri che aveva trovato già confezionati, magari pericolosamente scossi dalle vicende giudiziarie. Un po’ per caso, un po’ per scelta, un po’, ancora, per incapacità, i problemi storici di Napoli vennero ricategorizzati in funzione della costruzione di un sistema di potere in grado di durare oltre la fiammata del momento. Quello che accade oggi è che vengono a galla tutti i limiti ideologici e di visione del governatore e dei suoi uomini. Oggi un Bassolino sul banco degli imputati manda letteralmente 'a fare in culo' Antonio Gava che quel sistema lo aveva inventato e che oggi lo critica e si meraviglia degli addebiti che gli vengono mossi: Napoli non è solo camorra, abbiamo fatto tante cose, qui si stravince. Risposte adeguate al tono del dibattito, forse addirittura convincenti. Perché i problemi continuano ad essere altrove.

E i salvatori romani? A parte le grida di dolore del Presidente Napolitano e le sortite di Romano Prodi, buone per far notizia, la discussione si avvita su un assolutamente marginale ‘esercito si, esercito no’. La dimostrazione che neanche stavolta c’è qualcuno che abbia idee e progetti chiari per risolvere i problemi che producono anche la camorra, ma non sono il suo effetto.

Amato si impegna per inviare più uomini? Va benissimo, ma per fare cosa? Per combattere come se fossimo in zona di guerra, o per supportare un progetto di rinascita di una parte del Paese? Segno dei tempi, le parole più sensate sono venute forse dal cardinale Sepe: “a Napoli corre l’obbligo di liberare più in fretta possibile la linea del proprio orizzonte” e ancora “la politica - a tutti i livelli, nazionale e locale - non ha potuto dare ciò che non aveva: la capacità di guardare avanti e lontano. E quando Napoli non vede davanti a sé orizzonti larghi è una città a cui viene a mancare il respiro e, talvolta, la ragione. Napoli ha bisogno di ritrovare i suoi orizzonti. Ecco il punto d’arrivo, ecco il progetto, ecco anche la strategia”. Appunto.

http://www.napolionline.org/la-cruna-dell-ago/la-cruna-dell-ago/ma-non-e-napoli-il-centro-del-dibattito.html
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