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APD Roma, un bilancio e un progetto per domani
21.11.2006
La relazione del presidente dell’APD di Roma, Claudio Lodici, all’assemblea generale del 18 novembre 2006

Per oltre due anni e mezzo ho lavorato – per quanto le mie capacità consentissero, naturalmente – intorno al progetto di un nuovo soggetto progressista e riformatore. Il partito democratico appunto. E’ venuto il momento di fare un inventario. L’assemblea di oggi è un punto di svolta per la nostra associazione. Vi esporrò le mie idee e un progetto. Poi ascolterò le vostre osservazioni e trarrò le conclusioni. Ci vorrà un po’ di pazienza, ma alla fine sapremo se vale ancora la pena continuare in questa azione di cittadinanza militante, se occorrerà cambiare qualcosa, oppure se converrà lasciare perdere e tornare al nostro lavoro, alla famiglia, a un po’ di tempo libero in più.

Nel 1796, Napoleone, con il suo esercito, era a Ventimiglia. Era l’inizio della prima campagna d’Italia. Intanto, a Genova, nel Consiglio Grande della Repubblica, si discuteva dell’opportunità di indossare la parrucca incipriata durante le sedute. Poco dopo, i francesi entrarono in città e la decrepita Repubblica oligarchica morì per sempre.

Adesso ci tocca decidere se vogliamo interpretare il ruolo dell’armata francese, portatrice di ideali semplici e irresistibili – repubblica, libertà, fraternità, eguaglianza, ragione, modernità – oppure se vestire i panni degli oligarchi genovesi, talmente miopi da non capire che il loro vecchio mondo era agonizzante, ma intenti a discutere di parrucche e di conservazione di miserabili privilegi.

Il nuovo scenario

La politica impone di analizzare con freddezza e lucidità i fattori che determinano uno scenario. Per questo, dobbiamo constatare che le condizioni generali sono mutate. A un anno di distanza dalle primarie, quello slancio è perduto. Le elezioni – vinte per un soffio e grazie a una norma costituzionale, priva di senso comune, che istituisce una circoscrizione estero per le Camere – sono andate molto peggio del previsto. Il governo ha esaurito la sua spinta propulsiva.

Visto che siamo fra amici, abbiamo il dovere di dirci tutto con la massima sincerità. Il sogno di un partito democratico – così come lo avevamo coltivato negli ultimi trenta mesi – è più difficile da realizzare: perché, come dicono i sondaggi, non scalda i cuori, perché non ha più il vento nelle vele, perché manca un potente catalizzatore del processo di trasformazione di un sistema politico e di partiti ossificati e inerti.

Il governo - che teoricamente ha un forte timone riformatore – avrebbe potuto essere il catalizzatore di cui abbiamo bisogno. Ma non serve l’intelligenza di uno scienziato della NASA per capire che l’esecutivo ha proiettato sul paese un messaggio assolutamente poco riformista e decisamente massimalista.

La finanziaria, purtroppo, ha corrisposto alla peggiore caricatura che faceva dell’Unione la destra in campagna elettorale: si è ricchi a 70 mila euro l’anno e, essendo ricchi, bisogna piangere.

Fare l’Associazione per il Partito Democratico in queste condizioni non è facile. Dobbiamo vendere un prodotto il cui segmento di mercato si è ristretto: un po’ come i frigoriferi agli esquimesi. Tanto più se esistono problemi seri di identità della nostra associazione su cui occorre egualmente fare chiarezza. E poi esistono anche problemi futili, che comunque esigono risposte precise e definitive

L’APD nazionale al bivio

La situazione a livello nazionale dell’APD è la seguente. Siamo fermi. Sia chiaro: a differenza di altri amici che ritengono che comunque e sempre bisogna stare in movimento, penso che una delle regole della politica imponga, in certi momenti, di stare fermi per evitare di fare danni.

Siamo fermi perché cerchiamo di conseguire un migliore livello di collegialità rispetto a una concezione un po’ individualistica, da superare con l’istituzione di un piccolissimo ufficio di presidenza di tre o quattro persone.

Siamo fermi perché vogliamo fissare regole che ci consentano di arrivare a un vero congresso, la cui convocazione è per il momento sospesa, in cui non ci si preoccupi unicamente di delineare organigrammi ma soprattutto di definire una forte piattaforma politica. Siamo fermi perché si tratta di trovare un punto di equilibrio fra coloro che vogliono “disarticolare i partiti” e coloro che vedono per l’APD una funzione servente e ancillare dei partiti.

Come potete capire non sono problemi di poco conto. Occorre pazienza per accertare la volontà di superare questo passaggio. Se, come auspico, verrà superato, si potrà puntare alla fase successiva. Niente come le fughe in avanti, in assenza di chiarezza, può essere dannoso.

Voglio che sappiate che su questa linea stanno le regioni più forti e rappresentative: il Piemonte, la Liguria, il Veneto (almeno la maggioranza dei veneti), la Toscana, l’Umbria, la Basilicata e finalmente la Lombardia, che si è finalmente costituita grazie all’impegno del presidente e coordinatore dell’Unione in Consiglio regionale, Riccardo Sarfatti. Di questo movimento il Lazio è stato il capofila, riconosciuto, soprattutto per avere offerto agli altri coordinate nuove e diverse.

Noi siamo stati i primi a dire che l’unica legittimazione poteva venire dal voto e non dalla cooptazione. Noi siamo stati i primi a sottolineare l’importanza di un forte ancoraggio al territorio in cui si vive (e infatti abbiamo cinque forti associazioni, una per provincia, di cui la nostra, a Roma, è la più consistente). Noi siamo stati gli unici a costituire un coordinamento regionale in cui fossero presenti solo rappresentanti eletti: un organismo snello, operativo, formato da 24 persone, di cui 12 provenienti da Roma e il resto dalle province laziali.

La linea che abbiamo tenuto, il sottoscritto e gli altri due delegati eletti al coordimento nazionale (Domenico Cocucci di Viterbo e Alessio Gentile di Frosinone) è stata la promozione di un forte decentramento e di un’altrettanto forte autonomia dei capitoli regionali e provinciali, con poche regole unificanti e condivise per quella che sarà l’Associazione nazionale.

La formale costituzione dell’APD del Lazio Tuttavia per completezza di informazione, devo anche dirvi che ci sono alcuni amici i quali, legittimamente, ritengono che io abbia travalicato il mio mandato nel momento in cui ho negoziato la costituzione dell’APD del Lazio, disciplinata da un regolamento del coordinamento condiviso da ciascuna delle associazioni provinciali.

Come ho già detto all’atto di insediamento del direttivo regionale – io mi assumo la piena responsabilità politica della costituzione del coordinamento, che è per me motivo di orgoglio avere conseguito. E mi assumo la responsabilità giuridica di un atto che è, oltre tutto, squisitamente politico. Può, o deve, un presidente favorire la nascita di un’Associazione democratica laziale forte, coesa, pienamente legittimata a rappresentare i propri iscritti? Penso che fosse e sia nelle mie prerogative e per questo lo rivendico.

Naturalmente, poiché in tutti questi anni ho sviluppato una certa dimestichezza con le regole della democrazia, l’assemblea – cioè voi – è sovrana di ratificare il mio operato o esprimere sfiducia verso l’operato del presidente. Sono stato allievo e collaboratore di un ex presidente del Consiglio e presidente del Senato che diceva sempre che si devono ricoprire le cariche, le più importanti e le più modeste, sempre con le valige pronte. Certo, al posto di questi amici avrei proposto una censura o una mozione di sfiducia se non avessi promosso il completamento dell’APD laziale. Sollevare obiezioni in questo modo mi ricorda in modo curioso le obiezioni di coloro che obiettavano alla presenza in Consiglio Grande di consiglieri privi di parrucca incipriata.

Fra l’altro, ricordo due particolari che occorrerà tenere presente nella discussione: fino al 20 settembre ho dovuto reggere l’associazione sulla base di un mandato fiduciario che non volevo (come ricorderete, preferivo passare il prima possibile attraverso un’elezione, seppure provvisoria, di un minidirettivo). Con cinque amici, che chiamai ad affiancarmi e che ora ringrazio – Giuseppina Bonaviri, Raffaele Cuccurullo, Diana De Thomasis, Bruno Drioli e Massimiliano Falcucci – abbiamo governato l’APD in condizioni obiettivamente precarie. Ciò nonostante è stata organizzata una manifestazione come il forum del 4 luglio e l’assemblea elettiva del 20 settembre. Per questo, c’è un gruppo di volontari che ha lavorato giorno e notte, in entrambe le circostanze. Anche a loro un grazie affettuoso: Claudia Costa, Anna Mocavini, Rossella Salari, Piero Filotico e tanti altri. Un pensiero particolare a Paolo Mazzotta, che ha svolto, fra tante funzioni delicate di interpretazione legale, il compito più delicato: quello di presidente della commissione verifica poteri all’assemblea elettiva. Gli dobbiamo ore di lavoro come stimato professionista e ore di sonno come uomo.

Sono loro che hanno fatto l’APD a Roma, lavorando, sacrificando tempo e talora – anzi spesso – mancando alle proprie famiglie. Naturalmente ho dovuto muovermi e prendere decisioni solitarie, ho anche dovuto badare più alla sostanza che alla forma. Ma chiunque si intenda di economia aziendale – vero Angela? – sa che lo start up è una fase molto particolare. Poi si deve favorire la transizione alla normalità, come stiamo provando a fare adesso.

Posto che durante lo start up io abbia dovuto fare in fretta perché ci sono fatti politici sovrastanti, l’esigenza di dare vita, primo in Italia, a un forte coordinamento regionale disciplinato da norme condivise dalle cinque province, la mia domanda, adesso è: intendete confortare l’iniziativa del presidente col vostro consenso e, magari, col vostro pieno sostegno o intendete negare la ratifica di questo importante accordo che ha avuto un significato politico fortissimo per molte altre regioni italiane?

Il progetto per i prossimi mesi

In sei mesi, partendo dallo scantinato della libreria Arion abbiamo fatto un bel po’ di strada. L’APD Roma, con 530 iscritti al 20 settembre, ha gemmato analoghe organizzazioni in tutto il Lazio. Si sono tenute elezioni ovunque, è stato creato un coordinamento regionale che a sua volta ha eletto un presidente, due delegati al coordinamento nazionale, un esecutivo composto da sei persone, due romani e quattro rappresentanti delle province laziali.

Abbiamo organizzato il 4 luglio. Abbiamo prodotto, insieme ai migliori cervelli del settore radiotelevisivo e della politica industriale applicata alle telecomunicazioni, una proposta di ridefinizione del servizio pubblico presentata al ministro Gentiloni e al sottosegretario Levi. Abbiamo un sito molto frequentato su cui cerchiamo di elaborare proposte concrete e analisi. Abbiamo, infine, un programma di attività per i prossimi mesi definito dall’esecutivo. Il che mi ricorda di dovere il mio ringraziamento a Stefano Aterno, a Francesco Ascioti, a Piero Filotico, a Massimiliano Falcucci, a Carlo Rosati per la lealtà, il galantomismo, la limpida generosità con cui mi assistono e danno un contributo sempre fattivo alla vita di questa associazione. Ecco di cosa si compone il programma: Allestimento di eventi pubblici fra cui:

1. l’efficienza nella pubblica amministrazione (mi sono assicurato l’intervento di Cesare Saccani e, dopo un colloquio, giovedì scorso, di Franco Bassanini);

2. il costo eccessivo della politica;

3. le nuove politiche per l’energia (ho già parlato con Davide Ciciliato, che ringrazio, il quale ci sta già lavorando su);

4. la sicurezza nelle città;

5. la mobilità nelle città;

6. la solitudine nelle città.

Per ciascuno di questi appuntamenti, vale l’avvertenza che ho ripetutamente lanciato in passato. Così come abbiamo fatto per Rai-servizio pubblico (Cheli, Rognoni, Bogi, Ovi, Preta, Sassano, eccetera), o si radunano esperti in grado di elevare il grado della proposta e si apporta un valore aggiunto, o è meglio lasciare perdere. L’APD è portatore di eccellenza o non è. Significa che non raduniamo quattro amici al bar a parlare di temi impegnativi, ma offriamo un foro per assemblare potenziali proposte di governo.

La creazione di gruppi di lavoro il cui coordinamento sia affidato a membri del direttivo affiancati da associati che abbiano specifiche, individuale competenze e professionalità: Angela Magistro, Donatella Angeletti, Emanuele Ceglie, Giovanni Peliti, Davide Ciciliato.

La creazione di un comitato ristretto – dalle 3 alle 5 persone - per la revisione dello Statuto della nostra Associazione.

Dobbiamo renderlo più snello. Il precedente direttivo provvisorio aveva avanzato alcune proposte circa il quorum per le modifiche, il voto per delega, e altro. Bisogna affinare quelle proposte, tenendo conto che l’APD romana potrebbe a breve accogliere decine o forse centinaia di nuovi iscritti.

Il sito www.apdroma.it sta compiendo prove tecniche, per cui la sezione forum sarà presto disponibile. Il sito è aperto alla collaborazione di tutti fin dalla sua nascita: c’è un solo amico, simpatizzante, iscritto che abbia inviato il suo contributo scritto e non l’abbia visto pubblicato? Ad ogni modo, l’unica cosa certa rispetto al sito è la gratitudine che dobbiamo a Filippo Pompili il quale, con ammirevole generosità e con autentico spirito volontaristico, fa insieme da webmaster, da tecnico informatico e segretario di redazione. Il tutto, gratuitamente (anzi spesso pagando di tasca sua i conti). Grazie di cuore, Filippo.

Una campagna di adesioni che punti nell’arco di alcuni mesi a raggiungere un obiettivo statisticamente rilevante. Come è stato osservato nel recente consiglio direttivo del Lazio, è necessario raccogliere l’adesione di un numero di persone pari ad almeno l’1 per mille della popolazione residente. Nel Lazio ci sono 5.700.000 abitanti, per cui l’APD regionale dovrà raggiungere entro il primo anno quota 6 mila, di cui 3.500 nella sola provincia di Roma.

Lo sviluppo di un sistema di progressivo decentramento fondato sulla creazione di gruppi della dimensione di un quadrante fino alla circoscrizione o al quartiere.

La promozione di iniziative che sostengano realtà già nate e consolidate – grazie a Carlo Rosati e Claudio Renzi per la bellissima e affollatissima assemblea della Sabina Romana, piena di tantissimi ragazzi e ragazze in gamba -, per accentuare il carattere territoriale della nostra organizzazione.

Generazione e genere

A questo punto, vorrei chiarire il mio pensiero rispetto alla questione della generazione e del genere, che mi è stata sottoposta in numerose occasioni.

Sono e sono sempre stato contrario all’idea della riserva indiana, del parco giochi con alcuni balocchi da dare a donne e giovani perché non diano troppo fastidio. Dalla metà degli anni ottanta fino alla fine degli anni novanta ho avuto abbastanza esperienze politiche in America per attribuire alla parola “quota” un significato assai diverso e drammatico. Quindi, per favore, non invochiamo quella parola a sproposito: l’affermative action è una cosa troppo seria per essere svilita in questa maniera.

Nel merito della questione: fin dall’inizio dissi che credevo nella pratica dell’impegno femminile (e quando ebbi la facoltà di cooptare donne lo feci) ma mi pronunciai contro l’idea delle quote. Le donne sono forti e intelligenti e non hanno bisogno dell’inclusione fra le specie protette. Certo, mi domando – e non capisco – perché le donne abbiano raccolto così pochi voti all’assemblea elettiva del 20 settembre, visto che le candidature femminili erano state numerose. In ogni caso, parlando di donne in gamba, conosco Nancy Pelosi e vi assicuro che non è diventata prima leader della minoranza alla Camera e presto presidente della Camera in quanto donna.

Veniamo ai giovani. C’è stata una situazione de facto su cui occorre adesso fare un po’ d’ordine. Poiché l’assemblea è sovrana, l’assemblea può decidere di procedere sulla via della costituzione di una sezione giovanile. Ma ci vogliono regole. Ecco le mie proposte. Primo, si iscrive solo chi lo desidera e non si da per incluso chiunque abbia meno di una certa età. Secondo, evitiamo il fatto ridicolo che si è giovani fino a 40 o 50 anni., come accadeva nella Komsomol, l’organizzazione giovanile del Partito Comunista dell'Unione Sovietica. Direi che già 30 anni sono troppi (una volta nelle nostre federazioni giovanili, a meno di ricoprire incarichi esecutivi, si usciva a 24 anni per entrare nel mondo dei grandi). Terzo, non diventi un’altra riserva indiana in base alla quale reclamare posti in direttivo o altrove. Quarto, soprattutto, ci sia una produzione di idee per i giovani (ammesso che ci siano idee per i giovani e idee per i vecchi). Se è un’occasione per stare insieme va benissimo, ma non è un fatto politicamente rilevante. Quinto, la sezione giovani non è un organo dell’APD.

Il PD a un bivio: confederazione o partito nuovo?

Passiamo alle questioni politiche generali. Anche qui c’è da riflettere e prendere decisioni. Le condizioni politiche sono mutate, come ho detto poco fa.

Io non sono stato fra i cantori del seminario di Orvieto. L’ho giudicato molto deludente, poiché ha segnato il trinceramento di Ds e Dl dietro un’ipotesi solo apparentemente costituente. E’ stato un seminario noioso e scontato e ha dato come risultato l’avvio di un processo che – dietro il paravento del partito democratico – disegna una struttura semplicemente confederale. Sia chiaro: non esprimo giudizi di valore su questa ipotesi confederale, ovvero un incontro di classi dirigenti, ovvero la notoria “fusione fredda”. Può anche darsi che la società civile non sia così avanzata come il dogma dell’infallibilità dei non professionisti della politica pretende che sia. Può anche essere che l’Italia non sia pronta, né il sistema politico maturo per la creazione di un nuovo soggetto. Io non la penso così. Ma sta di fatto che il progetto democratico è in frigorifero. Vogliamo provare a scongelarlo? Oppure lo lasciamo lì in attesa di tempi migliori? E a quali condizioni?

Personalmente, ritengo che in questo momento la legislatura sia bloccata. In queste condizioni non mi faccio troppe illusioni sulla possibilità di segnare una frattura politica e storica col passato (a proposito, l’unica autentica frattura, che ha valso la pena spendere i soldi di viaggio e soggiorno a Orvieto è stata la relazione di Salvatore Vassallo: se non l’avete ancora fatto, vi prego di leggerla. È anche nel nostro sito. È lì che viene ribadito il principio “una testa, un voto” ed è lì che si esaltano le primarie come strumento di selezione delle candidature e delle leadership).

Al Senato il governo è in bilico ogni giorno della settimana. Alla Camera si deve comunque ricorrere spesso alla fiducia per compensare la disomogeneità dell’Unione. Credere che il governo o la maggioranza, in queste condizioni, intendano procedere con speditezza sul terreno della legge elettorale è illusorio. La legge elettorale col ritorno all’uninominale non ha autosufficienza all’interno del recinto del centrosinistra: i massimalisti sono contrari, anche la minoranza Ds, e giurerei un po’ di centristi.

Petizione e referendum

Noi abbiamo proposto la petizione. Diciamo la verità: nemmeno la petizione ha incontrato l’entusiasmo della gente. Adesso c’è il referendum. A proposito: Giovanni Guzzetta, il presidente del comitato promotore, mi ha chiesto a titolo di personale di aderire ed io ho accettato. Non l’ho fatto solo per l’amicizia per Giovanni, ma perché credo che occorra forzare il blocco navale che protegge questa legge proporzionale illiberale e negazionista. Perché – per i tanti anni in cui ho lavorato al Senato – conosco la sorte delle petizioni. Perché spero che la minaccia referendaria induca le forze politiche di maggioranza e opposizione a sedersi intorno a un tavolo e scrivere una nuova legge.

In presenza di un referendum, la mia è una valutazione politica su cui vorrei sentire il vostro parere, la petizione è morta. Scorrete l’elenco dei promotori, da Segni in avanti, e dei gruppi che si stanno orientando a sostenere il referendum. Vi renderete conto che la petizione non regge. La politica, in queste condizioni, impone di dire la verità e avere il coraggio di voltare pagina. Sarà difficile tornare dalle stesse persone a cui avevamo chiesto di firmare la petizione. Ma se siete d’accordo, correremo il rischio di essere presi a male parole e torneremo a chiedere loro di sostenere, adesso o quando sarà, il referendum.

L’assemblea, in ogni caso, è sovrana e la mia inclusione fra i promotori del referendum, fino a questo momento, è solo a titolo personale e non impegna l’APD.

“Stare insieme”, non basta più. Le ragioni del partito nuovo Le prossime settimane e i prossimi mesi dovranno portare decisioni importanti. Il nostro congresso dovrà portare decisioni importanti. Dire che occorre stare insieme, che Ds, Margherita, Sdi e chi vorrà debbano unirsi, non è più sufficiente. “Mai più divisi”, come recita lo slogan dell’associazione di Roberto Gualtieri, non basta più. La gente ci chiede per quale motivo occorre continuare su questa strada e, se non glielo diremo, volterà le spalle al progetto di partito democratico.

Io non credo alle carte dei valori, perché i valori sono divisivi. Io posso pensare che una donna abbia il diritto di scegliere se avere o no un figlio e Piero Welby abbia il diritto di morire, altri possono avere opinioni diverse. Questo - la vita e la morte - è un terreno minato, l’estrema frontiera, anche se un partito democratico non può limitarsi a lasciare libertà di coscienza. Anzi, un partito democratico ha il dovere di garantire la libertà di coscienza non solo dei rappresentanti, ma anche dei rappresentati. In ogni caso, il discorso ci porterebbe troppo lontano. Ma ne riparleremo con l’attenzione e il rispetto che questi temi impongono. Quindi, niente carte dei valori. Un manifesto, invece. Che spieghi bene perché vogliamo fare questo benedetto partito. Io ci sto lavorando su. E uso le assemblee in cui mi invitano (le ultime, in Sabina, nella Pontina, a Viterbo) per saggiare la reazione ad alcuni concetti che esprimo. Ovvio, il manifesto non lo devo fare io da solo, ma se rimetteremo in marcia la carovana dell’APD nazionale, sarà una delle prime cose cui provvedere. Di certo, occorre prendere atto che c’è una crisi profonda della politica, che investe anche il centrosinistra. Ecco quello che penso in merito. Non spetta a noi disarticolare i partiti né comportarci da ciambellani o – talora – camerieri dei partiti. O siamo un catalizzatore o non siamo niente. Il catalizzatore è una sostanza che, indipendentemente dalla quantità, provoca catalisi, ovvero una reazione chimica accelerata. E saremo catalizzatori se, per poche decine di migliaia di iscritti che riusciremo a raccogliere nei prossimi mesi, provocheremo una reazione accelerata verso un PD vero, non una confederazione mascherata.

In termini pratici, significherà riflettere sull’opportunità di promuovere un salto di qualità, cioè passare dalla forma associazione alla forma movimento. Attenzione: movimento e non movimentismo, che spesso rischia di tracimare in uno spontaneismo disordinato e sconnesso. Un movimento politico post-ideologico, invece, è un comportamento collettivo organizzato, che contempla la crescita quantitativa e si fonda sulla comune adesione all’idea del partito democratico ed ha per scopo di affermarlo, modificando preesistenti realtà e organizzazioni, cioè il settarismo, le spinte identitarie, i dogmi dei partiti otto e novecenteschi.

Occorre assumere – lasciatemi usare questa metafora che andava di moda nel partito democratico ai tempi di Clinton – il ruolo di una freccia che procede velocemente obbligando i segmenti laterali – rispettivamente, gli anti-partito e i ciambellani – a inseguire, disegnando una traiettoria che detti agenda politica, tempi e modalità alle forze politiche medesime.

Ci sono molti altri temi su cui dovrei di esprimere un commento politico e un indirizzo. Ma c’è soprattutto il dovere di ascoltare voi. Come vi ho detto all’inizio, alla fine degli interventi, farò alcune valutazioni. Una cosa – per cortesia – tenete presente. Non ho fatto stampare biglietti da visita con sopra scritto “Presidente dell’APD di Roma e del Lazio”. Quando ho iniziato questo cammino, volevo dare un contributo, mettere a disposizione un po’ di esperienza accumulata in 25 anni di lavoro e di impegno civile. Adesso devo capire che siete ancora d’accordo a che io guidi questa associazione, senza retropensieri, con la voglia autentica di collaborare a un progetto. Per questo vi chiedo un mandato pieno, che io possa condurre in porto insieme agli altri 11 membri del comitato direttivo romano, in seno al direttivo regionale e al coordinamento nazionale.

18 novembre 2006

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