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Il giornalista Deaglio: editoriale de L\'Unità di Giovedì 30-11
30.11.2006
Il fatto: Enrico Deaglio, giornalista noto e direttore del settimanale Diario, è autore, insieme a Beppe Cremagnani di un film distribuito in dvd e di un piccolo libro intitolato Uccidete la democrazia. Affronta la domanda che da mesi gira per la testa di molti italiani: che cosa è accaduto nella lunga notte tra il 10 e l´11 aprile, quando i risultati delle elezioni politiche italiane più importanti del dopoguerra non arrivavano mai; quando, per la prima volta nella storia della statistica applicata alla misura del voto, i dati dei sondaggi, uguali a quelli degli exit poll, risultavano poi vastamente diversi dai risultati proclamati, che lentamente, molto lentamente, apparivano sul video?

Che cosa è accaduto nella notte dal 10 all´11 aprile, quando il ministro dell´Interno ha lasciato il suo ministero insieme a tutti i suoi sottosegretari e in quelle stanze chi cercava risposta, poteva incontrare solo funzionari senza risposta?

Che cosa è accaduto nella notte dal 10 all´11 aprile, mentre il ministro dell´Interno stava non al Viminale, non a Palazzo Chigi, ma a casa del leader di uno dei due schieramenti contrapposti, Silvio Berlusconi?

Che cosa è accaduto nella notte dal 10 all´11 aprile se l´altro leader, Romano Prodi, e il segretario del maggior partito della opposizione, Piero Fassino, hanno deciso di presentarsi alla folla del centrosinistra in attesa per annunciare la vittoria che fino a quel momento il ministero dell´Interno non aveva dichiarato, pur essendo in possesso di tutti i dati per farlo?

Le domande sono legittime.

Che cosa rende legittima una domanda? Non una legge che la permetta (non in democrazia). Ma che sia generata da un fatto vero e che a quel fatto continui a mancare una risposta.

Il fatto è vero. Tutti sappiamo che il ministro dell´Interno non era al Viminale, tutti sappiamo che nelle ore decisive di quella elezione era nell´abitazione privata di uno dei candidati (in quel momento, presidente del Consiglio). Tutti sono disposti a credere che vi possano essere buone ragioni. Ma quelle ragioni non sono mai state comunicate. Tutti sappiamo che la vittoria del centrosinistra è stata dichiarata dai leader stessi del centrosinistra, anche per supplire al prolungato e inspiegato silenzio dell´organo competente, il ministro dell´Interno.

Dunque le domande stanno in piedi. Nel dvd intitolato Uccidete la democrazia, Enrico Deaglio e Beppe Cremagnani prendono dalla realtà e dalla memoria degli italiani quelle domande. Risposte? Non ne hanno. Però hanno messo in ordine e presentato con intelligenza, con cura e con prudenza le ipotesi a ciascuna domanda cieca. Ipotesi vuol dire risposta possibile in base a ciò che è noto. Non vuol dire conferma o dichiarazione di ciò che è ignoto.

Nel diritto penale di tutti i Paesi esiste il processo indiziario. È tale un processo motivato dalla forza clamorosa di fatti che tuttavia finiscono nel vuoto di risposte. E allora si prova a riempire quel vuoto di ipotesi. E la decisione finale consiste nello stabilire con ricostruzioni plausibili e dati verosimili se quelle ipotesi consentono di costruire la parte mancante del disegno.

Deaglio e Cremagnani, nel dvd di cui stiamo parlando, si comportano esattamente così. Che vuol dire proporre scenari ragionevoli e verosimili. La pretesa non è di concludere «adesso vi diciamo noi come è andata». Ma invece è quella di bravi e affidabili professionisti che non abbandonano una questione importante solo perché è rimasta finora inspiegata.

Il senso del dvd è insistere nella domanda, non nel far circolare una risposta.

È esattamente la definizione del mestiere di giornalista, così come è stata esemplarmente condotta dai grandi colleghi americani che ammiriamo. Molti, a questo punto, ricorderebbero il celebre Watergate così poco gradito a Nixon da indurlo alle dimissioni della presidenza degli Stati Uniti.

Vorrei ricordare la vicenda nota con il nome «Iran-Contras», scambio di armi per droga ad opera di servizi segreti, ai margini delle ultime ore di guerra fredda sotto la presidenza di Ronald Reagan. Quando vaste inchieste giornalistiche (che iniziano sempre con il tornare a proporre certe domande antipatiche, non lo sventolare di risposte che ancora non ci sono) hanno cominciato a prendere corpo, la magistratura ordinaria ha dovuto occuparsi del presidente Reagan. L´inchiesta era in corso, niente affatto promettente per il grande statista, quando è scaduto il termine presidenziale. Quella inchiesta è stata fermata dal successore di Reagan, George Bush padre, con l´espediente del «perdono presidenziale» che è concesso una sola volta alla prima inaugurazione di un nuovo presidente.

Tutto ciò per dire la nostra meraviglia di cittadini italiani e di giornalisti italiani. In una vicenda condotta con molta più cautela che nel Watergate (in cui a lungo le accuse al presidente degli Stati Uniti sono state basate sulle rivelazioni anonime di «gola profonda») e con molta più prudenza che nella vicenda Iran-Contras (Deaglio e Cremagnani non propongono in proprio alcuna verità) la magistratura è intervenuta come in America. Ma non per sviluppare con mezzi più adeguati l´inchiesta. Piuttosto per imputare i giornalisti di diffondere notizie false.

La gravità dell´evento si ripete tre volte.

La prima perché nel dvd non ci sono notizie false. Ci sono solo le notizie vere trasmesse da tutti i telegiornali di quei giorni e quelle notti.

La seconda perché non solo la funzione di immaginare in che modo continua la parte ignota della realtà è tipica del mestiere giornalistico, ma è tipica di tutte le posizioni di responsabilità. Esempio: perché non investigare per diffusione di notizie false gli immunologi che hanno così a lungo pubblicamente discusso di una infezione aviaria che, per fortuna, non è ancora esplosa? Eppure, proprio come i giornalisti, essi hanno visto gli uccelli morti (che erano veri) e hanno dedotto (non dimostrato) l´eventualità di un rapido contagio, che era e che è, purtroppo, possibile, ma che però non è accaduto. Può ciò che che si chiama previsione - nel caso degli scienziati - essere dichiarato «notizia falsa» nel caso di un giornalista che teme che esistano, in certi comportamenti e in certi fatti realmente avvenuti, pericoli gravi per la democrazia? Può qualcuno rimuovere quel giornalista da quel giudizio e privarlo del diritto, anzi del dovere, di quella valutazione degli eventi?

Diverso sarebbe stato se una conferenza stampa tempestiva e chiara dell´ex ministro degli Interni avesse fatto sapere ai cittadini dov´era e perché nelle lunghe ore dei risultati elettorali che stranamente, lentamente cambiavano, restando sempre in sospeso.

Non siano tra coloro che hanno sempre affermato di avere fiducia in quel ministro dell´Interno. Ipotesi per ipotesi, siamo tra coloro che hanno pensato a un suo intervento estremo per impedire svolte o eventi illegali.

Non abbiamo ragione di rivedere quel giudizio oggi. Ma, allo stesso modo, non possiamo, parlando da cittadini, immaginare di vivere in un Paese in cui non si possono proporre domande essenziali che finora non hanno trovato risposta.

Parlando da giornalisti, proviamo un senso di smarrimento e paura. Dov´è l´equivoco che ha consentito di rendere imputato un reporter che espone molte ragioni di temere per la vita democratica del suo Paese? Manca un senso logico a ciò che è accaduto perché le domande di questo dvd sono le domande di milioni di italiani. Manca, in base ai codici repubblicani e a tutte le leggi del dopo Resistenza, una ambientazione giuridica della imputazione a Deaglio. E intorno a ciò che è accaduto, manca tutta la prima parte della Costituzione. La questione non è di parte e non è di gruppo professionale. Ha a che fare con i fondamenti della nostra libertà.

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