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Kosovo, tra passato e futuro
11.12.2006
Fin dal 1999 il Kosovo sperimenta un ''intervallo temporale determinato da cose che non sono più e cose che non sono ancora''. Un testo di Christophe Solioz redatto nel contesto della conferenza “Kosovo, regione d’Europa'', organizzata a Roma il 15 dicembre 2006 da Osservatorio sui Balcani

Di Christophe Solioz*, Ginevra, 30 novembre 2006 (titolo originale: “Kosovo: No longer and not yet”)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta


L’attuale situazione del Kosovo dimostra l’osservazione di Hannah Arendt secondo cui “pensiero e realtà si sono divisi, e la realtà è diventata opaca alla luce del pensiero”. Fin dal 1999, il Kosovo sperimenta “un intervallo temporale determinato da cose che non sono più e da cose che ancora non sono. Nella storia, questi intervalli hanno mostrato più di una volta di poter contenere il momento della verità” (1). La questione è come affrontare questo momento decisivo, ed è strettamente legata agli standard e allo status.

Lo Stato delle cose
La presenza internazionale in Kosovo di personale civile e di forze di sicurezza fu stabilita dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU nella risoluzione 1244 del giugno 1999 “per un periodo iniziale di 12 mesi, da prorogare successivamente salvo che il Consiglio di Sicurezza decida altrimenti”. La missione fu anche incaricata, nella fase finale, di “supervisionare il trasferimento dell’autorità, dalle istituzioni provvisorie del Kosovo ad istituzioni stabilite in seguito ad un accordo politico” (2). Sette anni dopo la risoluzione 1244, appare molto dubbio che questo esperimento di democrazia controllata abbia avuto successo, e che una soluzione politica per lo status finale della provincia possa essere raggiunta in tempi brevi.
In recenti esaustivi rapporti, il Segretario generale delle Nazioni unite dipinge un quadro deprimente. Nel febbraio 2005 egli affermò che – nonostante le pressioni internazionali – nessuno degli otto standard stabiliti in precedenza era stato pienamente implementato (3). Da allora, il focalizzarsi sulla questione dello status ha portato alla rapida implementazione di alcuni standard, ma ha anche ritardato le riforme, e soprattutto ha ostacolato l’effettiva implementazione e l’entrata in vigore di leggi già approvate. Infatti, il 25 gennaio 2006, il Segretario generale notò che il progresso nell’implementazione degli standard era più lento che in ogni altro periodo monitorato, e afflitto da numerosi ritardi e battute d’arresto (4). A metà agosto 2006, solo 5 implementazioni prioritarie su 13 erano considerate completate (5).
Analogamente, anche se il governo del Kosovo ha istituito una Agenzia per l’integrazione europea e ha adottato un piano d’azione per affrontare le priorità in vista del partenariato europeo, queste priorità, sul breve termine, sono state soddisfatte solo parzialmente (6). Nonostante questo impegno recentemente aumentato per l’implementazione degli standard – uno sforzo per migliorare la credibilità di Pristina ai negoziati di Vienna sullo status – complessivamente la situazione politica ed economica rimane cupa (7). I serbi del Kosovo continuano a rifiutarsi di participare alle istituzioni provvisorie. Nell’estate del 2006, le municipalità di Leposavić, Zveçan e Zubin Potok hanno tagliato tutti i legami con le istituzioni provvisorie del Kosovo, pur mantenendo la cooperazione con l’Unmik. Il posto chiave di ministro dell’Agricoltura, delle Foreste e dello Sviluppo rurale, all’interno del gabinetto di governo, riservato ad un serbo kosovaro, è rimasto vacante. Ciò ha portato ad una pressoché completa assenza dei serbi del Kosovo dalla scena politica ed amministrativa.D’altra parte, i serbi del Kosovo settentrionale fanno parte della delegazione guidata da Belgrado ai colloqui sullo status.
Sul versante degli albanesi kosovari, quasi non ci sono segni che il Kosovo venga considerato un Paese multietnico: al di là della vuota retorica ufficiale, non c’è alcuna reale apertura verso i serbi kosovari, nessuna volontà di includere membri di minoranze non serbe nel team negoziale del Kosovo, nessuna garanzia istituzionale né alcuna esplicita discriminazione positiva per i non albanesi. I diritti di proprietà non sono né rispettati né tutelati, e nel complesso non c’è un processo di ritorno. Più che mai, il Kosovo è una società profondamente divisa – molto lontana dalla visione di un Kosovo aperto alle diversità e multietnico.
Il rapporto sui progressi dell’UE sul Kosovo pubblicato l’8 novembre 2006 nota che “strutture amministrative parallele finanziate da Belgrado continuano ad operare nella maggior parte delle municipalità a predominanza serbo-kosovara. Due distinti sistemi continuano a funzionare in Kosovo nei campi della giustizia, dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria, dell’amministrazione e del servizio postale” (8). I serbi del Kosovo stanno sviluppando una società parallela, sostenuta da Belgrado – sull’esempio del modello degli albanesi kosovari prima del 1999 (9).
A completare il quadro, bisogna considerare che il sistema giudiziario è inefficiente e che la corruzione dilaga ad ogni livello. La situazione dei diritti umani è misera: le donne sono vittime di pratiche discriminatorie nella vita economica e sociale, i meccanismi di protezione per i bambini sono inadeguati, le comunità minoritarie affrontano discriminazione e gravi restrizioni, con serbi e rom vittime designate di molestie ed intimidazioni. La maggior parte dei rom, degli ashkali e degli egiziani non hanno accesso ai servizi pubblici, alle attività produttive e all’istruzione. Infine, ma non ultimo in ordine di importanza, pochi progressi sono stati fatti nella lotta contro il traffico di esseri umani, ed il Kosovo resta un Paese d’origine, di transito e di destinazione per il trafficking.

Questa situazione non ha dissuaso l’ambasciatore Kai Eide, Inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite, dal raccomandare nell’ottobre 2005 l’apertura dei negoziati sullo status, nonostante l’opinione già precedentemente espressa, secondo cui sarebbe stato prematuro passare le consegne sulle competenze chiave alle autorità locali, e secondo cui non ci sarebbe mai stato un momento adatto per affrontare la questione del futuro status del Kosovo (10). L’argomento chiave di Eide era che una posticipazione del processo dello status non avrebbe “presumibilmente portato a ulteriori, tangibili risultati nell’implementazione degli standard” (11). Di conseguenza il Segretario generale decise il 7 ottobre 2005 che era “giunto il tempo di passare alla fase successiva del processo politico”, sottolineando però allo stesso tempo che “l’implementazione degli standard deve continuare con sempre maggiore impegno e risultati” (12). […]

Il testo completo con note:  http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/6511/1/51/

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