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La deriva Berlusconiana...di Michele di Schiena
8.07.2003

LA DERIVA BERLUSCONIANA E L’URGENZA DELL’ALTERNATIVA
di Michele DI SCHIENA
Alle disponibilità di collaborazione per il semestre europeo manifestate dal centrosinistra Berlusconi risponde in Parlamento con una mozione di chiusura che fa naufragare ogni possibile convergenza, con una offensiva mediatica che arroventa l’ambiente e dando poi, durante l’assemblea del Parlamento europeo, del kapò (un detenuto ebreo responsabile della disciplina a servizio dei nazisti nei campi di sterminio) al tedesco Schulz colpevole di avergli mosso alcuni rilievi critici insieme ad altri europarlamentari tutti gratificati della definizione non di comunisti, questa volta, ma di “turisti della democrazia”. Qualche giorno prima il ministro Pisanu aveva detto di non voler assecondare la truculenta pretesa leghista di usare i cannoni contro le imbarcazioni cariche di dolore “clandestino” ma si era dichiarato impegnato ad applicare fino in fondo la legge Bossi-Fini, un provvedimento che in pratica nega ai migranti in fuga dalla fame e dalle guerre il riconoscimento dei “diritti inviolabili dell’uomo” e li condanna di fatto al lavoro servile o allo sfruttamento da parte di organizzazioni criminali come le sole alternative possibili alla espulsione preceduta dal carcere “improprio” dei centri di permanenza temporanea o da quello “proprio” delle patrie galere. Ed ecco che il centrosinistra, per bocca dell’on.le Fassino, inneggia a Pisanu e gli mette a disposizione i voti dell’opposizione consentendo al Cavaliere di incassare, sorridendo e deridendo, un inatteso apprezzamento implicito per una legge razzista varata dalla destra che oggi la vuole applicare con rinnovato rigore.

Sono questi due clamorosi esempi delle tentazioni “bipartisan” del centrosinistra, tentazioni che vengono da lontano e che sembrano sorde all’avvertimento per il quale se errare è umano, perseverare nell’errore è diabolico. Non è infatti così che si prepara un’alternativa vincente al governo Berlusconi. C’è bisogno d’altro e cioè di una proposta che parta dalla consapevolezza che alla guida politica del Paese oggi non c’è un “normale” governo di destra ma un gruppo di potere che ha una visione mercantesca della vita e delle relazioni sociali, che è incapace di produrre un progetto politico degno di questo nome e che, come esplicitamente chiede Bossi per la “devolution”, prescinde in tutte le sue devastanti riforme dall’ “interesse nazionale” a vantaggio di interessi particolari segnati dal privilegio o dall’arroganza. Ed allora è questa dottrina eversiva, questo connotato essenziale, questo “comun denominatore” delle politiche berlsuconiane che si appalesa come l’oggetto primario della radicale contestazione dalla quale le forze di opposizione devono partire per mettere in cantiere l’indispensabile ed indifferibile cambiamento. Certo deve trattarsi pur sempre di una opposizione responsabile ma è proprio questo requisito che impone di sottrarsi ad ogni aggancio, di resistere ad ogni inclinazione verso perdenti collaborazioni e di rifiutare ogni strumentale patteggiamento.

Se così stanno le cose, non ha alcun senso che gli avversari dell’attuale governo si dividano, come di fatto purtroppo avviene, tra coloro che concentrano la loro opposizione sui temi del conflitto di interessi, della giustizia e dell’informazione con ricorrenti inclinazioni compromissorie in materia di politica del lavoro e di politica estera e quelli che scelgono le lotte sociali come versante privilegiato dello scontro relegando su un piano secondario la difesa delle regole democratiche e dei diritti civili. Non va invero dimenticato che l’attacco alla Costituzione, condotto da questa maggioranza con eguale virulenza sia in direzione dello stato di diritto che nei confronti dello stato sociale, è figlio legittimo di un’unica cultura che punta a convertire la “res pubblica” in “res privata”, che ha una concezione proprietaria delle istituzioni e che considera il lavoro (ed i diritti che con esso si connettono) non come il fondamento della nostra democrazia ma come un elemento “flessibile” da comprimere fino allo schiacciamento sotto il peso della forza e del profitto.

Ma il governo Berlusconi è soprattutto un prodotto, primitivo ed estremistico, di quel neoliberismo che mostra oramai sul piano planetario i segni di una crisi irreversibile. Ha ragione il tedesco Oskar Lafontaine, leader carismatico della sinistra europea, quando dice che sono sempre più nel mondo i ricchi che si insediano ai vertici politici per forgiare leggi a difesa dei loro interessi e che Berlusconi “è la punta di iceberg del declino dell’etica causato dal neoliberismo”. E’ insomma la crisi di quel “pensiero unico” contestato sul piano planetario da grandi movimenti di massa e da aree crescenti di intellettuali che pensano “altro” ed “altro” propongono per il futuro dell’umanità; la crisi di un modello di sviluppo che assolutizza il mercato, mortifica i diritti, devasta l’ambiente, provoca in varie parti del mondo catastrofi finanziarie e scatena sistematicamente guerre che si concludono rapidamente con vittorie apparenti seguite sempre, come sta avvenendo in Afghanistan ed in Iraq, da conflitti endemici fra forze di occupazione e gruppi terroristici e di guerriglia.

Ne consegue che la costruzione dell’alternativa se deve partire dalla netta contrapposizione all’anomalia democratica di questo governo, deve anche rapidamente caricarsi, sul piano propositivo, di contenuti critici nei confronti del liberismo permeati dai principi, dai valori e dalle direttive della Costituzione repubblicana. E’ necessario quindi dar vita ad una coalizione democratica che coinvolga tutte le forze della sinistra e del centrosinistra e tutte le espressioni progressiste dei movimenti e della società civile. Non sarà un lavoro facile né dall’esito positivo scontato ma è la sola via percorribile: quella appunto di allestire un’alternativa visibile per la nettezza delle scelte di fondo, leggibile per la chiarezza delle proposte programmatiche e credibile per la sua concretezza e per la qualità del suo personale politico.

Brindisi, 7 luglio 2003

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