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Senza voce (Furio Colombo su L'Unità del 27-12-06)
28.12.2006
Un grande silenzio è disceso su questo Paese quando, per cinque giorni, hanno taciuto i giornali. Niente titoli, niente corsivi e commenti, e il sommario della vita incapsulato nei titoli detti "di lancio" dei diversi, identici telegiornali.

Ci sono state tante benedizioni in quei titoli, immagini solenni di chiesa e di preghiera che avranno dato l'impressione «come è buono il mondo». O almeno: una parte di mondo. Che vuol dire "noi". Tutte quelle benedizioni e preghiere e visioni di chiese gremite e di folle devote servivano a dirci «c'è male nel mondo, crudeltà e indifferenza». In certe parti di questo nostro pianeta ci sono persino bambini che muoiono di fame o lavorano come schiavi o si possono vendere o comprare o si possono persino uccidere o perché una bomba cade nel luogo sbagliato o perché uomini armati (come in Darfur, proprio adesso, mentre io scrivo e voi leggete ed è appena passato il Natale) aspettano vigili accanto ai pozzi. Quando si presentano i bambini assetati con i loro contenitori di latta da riempire d'acqua per i più vecchi e per i più piccoli, quei bambini vengono subito uccisi. Sei mesi dopo si farà un rapporto alle Nazioni Unite, di cui il Sudan è membro (il Darfur è grande come mezzo Sudan) e l'ambasciatore sudanese, con residenza in Park Avenue a New York, eleverà una velata protesta. Noi no, noi siamo buoni, abbiamo le piazze piene, le chiese piene, si levano canti sacri e il Papa li benedice.

Bello, se fosse vero. Infatti, se fosse vero, come spiegare che, in questi giorni di gloriosa celebrazione di tutto ciò che è buono e fraterno, un corpo di uomo martoriato da anni e anni di dolore è stato dichiarato indegno e tenuto fuori da una chiesa?

Perché la sua voce - che non era più voce eppure era piena di passione ed era chiara - non si doveva ascoltare a meno di cedere al male e di arrendersi all'immoralità dei comandamenti violati?

Devo una risposta a chi sta per dirmi con un po' di esasperazione: «Oh, andiamo, ancora quella storia di Welby? Nel mondo ne succedono tante di cose brutte e voi vi intestardite con questa vicenda italiana che per fortuna è ormai finita! E poi la Chiesa ha le sue regole. Non puoi violarle e poi pretendere che non sia successo niente. Ogni autorità ha il suo diritto, e il primo diritto è di essere padrona in casa sua».

La risposta che mi sento di dare è questa: l'affermazione che ho appena trascritto è logica. Ma la logica è implacabile, non è un treno che si ferma per fine binario. Il percorso continua e arriva in un punto in cui nega tutto ciò che viene proclamato nei titoli di lancio dei Tg che ci hanno guidato e accompagnato mentre i giornali tacevano, durante le festività natalizie. Quella negazione significa: siamo tutti buoni meno gli esclusi. Siamo tutti fratelli meno gli indisciplinati che non possono più reggere il dolore indicibile. Siamo tutti figli di Dio meno quelli che vengono espulsi dal club e che non possono, a causa di alcuni insopportabili guasti nel fisico, fare un salto in chiesa col cappotto migliore prima della pasticceria. Chi non è in regola con le regole, via, fuori. Fuori dalla Chiesa. Probabilmente un piccolo prete non tanto intelligente da capire il vero senso di ciò che faceva, ha preso la decisione di umiliare il cadavere di un uomo morto di dolore, tenendolo sul marciapiede fuori dalla chiesa. Ma il gesto è stato compiuto, è stato approvato, non è stato negato, non ha provocato scandalo.

Ed ecco la conseguenza: quel gesto di indifferenza crudele da circolo del golf che umilia il socio non in regola con i contributi, nega tutti gli altri gesti buoni, fraterni, affettuosi, le 62 lingue della benedizione per tutti, le invocazioni di pace, le esortazioni al bene. È come sottrarre alla accettazione di una valuta il deposito di riserve che la sostiene. E' come negare in contemporanea, in diretta, su un piccolo schermo laterale che però tutti vedono, le grandiose scene di folla credente che appaiono, negli stessi giorni e ore e minuti, su tutti gli altri schermi.

C'è il seme nascosto, ma non tanto nascosto, della guerra santa, nel respingere il cadavere di un uomo che in nome della sua sofferenza chiede accoglienza. C'è perché la decisione è crudele, il giudizio è senza appello. E la sezione "credenti, dunque buoni" è una camera stagna senza altri passaggi che quelli autorizzati da un potere chiuso e sovrano. Tutto il resto sono parole. Parole dei telegiornali che, per sicurezza, usano nei servizi giornalistici il linguaggio liturgico (sempre meglio mettersi al sicuro dalla cacciata dal club), parole anche belle e nobili e ispirate, ma troppo lontane e separate e diverse e alla fine indifferenti al rifiuto di un corpo che cerca misericordia.

Ecco il punto in cui si è spezzata l'immagine. Se resti - se non altro per pietà, che dovrebbe essere il più religioso dei sentimenti - accanto a quel corpo lasciato sul marciapiede, vedi per forza che non c'è traccia di amore, di carità e di quel potente sentimento umano che viene prima del perdono e induce così tanti a battersi contro la pena di morte anche quando riguarda il peggior criminale. Io sono l'altro, la sua sofferenza mi importa persino se non la conosco, so che non posso far finta che non esista il suo dolore.

Quando tutto ciò vola via, e lo spazio vuoto dell'altro come me stesso viene occupato da un implacabile e invalicabile elenco di regole, siamo in un mondo cupo e antico di osservanti e di apostati, di credenti e infedeli, di ammessi e scacciati, di salvati e reietti, e più le divisioni sono nette e invalicabili più il mondo si spacca fra santi e dannati, ovvero, la guerra santa. Dov'è cominciato l'oscuro crepuscolo che impedisce di vedere quale rischio corre il mondo fra città chiuse e persone abbandonate e non una parola per chi è rimasto chiuso fuori?

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