di Alessandro Rizzo
I programmi potranno essere interrotti con una frequenza maggiore e gli stacchi pubblicitari potranno essere distanziati l’uno dall’altro non più da 45 minuti, come oggi prevede la normativa, ma, bensì, da 30 minuti.
Nel computo complessivo del limite massimo di 12 minuti per la durata di ciascuna interruzione pubblicitaria non sono previste alcune trasmissioni che, pur essendo definibili come promozionali, non vengono considerate tali: precisamente i programmi che promuovono prodotti dalla stessa emittente, le telepromozioni, i minispot e i programmi sponsorizzati.
Oltre all’abolizione dei tetti di affollamento pubblicitario la direttiva prevede anche il product placement, ossia la possibilità da parte di uno dei protagonisti delle trasmissioni presenti e in onda di promuovere, previo avviso di 20 minuti circa, un determinato prodotto.
Infine ci sono delle parti peggiorative nel testo della direttiva, la cui ideatrice è la commissaria Vivienne Reding, rispetto al testo della precedente norma, oggi ancora vigente, varata nel 1989, ossia l’addolcimento delle misure limitanti la promozione durante trasmissioni rivolte alle bambine e ai bambini di prodotti pieni di grassi o fortemente salati, arrecanti per la loro composizione alcuni danni alla salute del piccolo ascoltatore. La relatrice del testo, la popolare Ruth Hieronymi, giustifica l’abbassamento notevole del livello di guardia della preserazione del sistema radiotelevisivo da ingerenze di tipo mercantile e commerciale, considerando che molti sono i prodotti che necessitano di pubblicizzazione e che, pertanto, sembra giusto e corretto dare loro spazio, inficiando, così, e in modo notevole, il carattere pubblico e informativo del complessivo sistema informativo.
Sul fronte delle norme antitrust ci sono dei cambiamenti in peius rispetto alla precedente normativa: alcune disposizioni presenti nel testo, pertanto, tendono, se accolte in seconda lettura e in via definitiva, a garantire una concentrazione monopolistica del controllo proprietario delle frequenze radiotelevisive via etere, ledendo, così, notevolmente il principio di parità nella concorrenza tra soggetti privati e l’accesso plurale dei medesimi alla direzione di canali televisivi.
Non possono essere condivisibili le giustificazioni addotte in sede di relazione del testo come la necessità di approvare una simile direttiva in quanto si è in presenza di nuovi canali informativi e l’urgenza di tutelare la capacità competitiva del settore televisivo.
Il testo, a parere mio, potrebbe diventare un inquietante precedente estendibile anche nell'auspicabile futura normazione delle nuove fonti di informazione.
I deputati del centrosinistra presenti nei rispettivi gruppi europarlamentari, tra cui Lilly Gruber, Giulietto Chiesa, e Monica Frassoni, hanno sottolineato in modo chiaro e netto il pericolo derivante da tale testo, se venisse recepito in modo totale e identico a quello approvato in prima lettura a Strasburgo, per il futuro della democrazia e dell’indipendenza del sistema radiotelevisivo comunitario. Si sollecitano gli stati membri a condurre una procedura istituzionale e politica di opposizione seria e coerente a questa predisposizione normativa, in quanto, si spera, possa venire rigettata nella seconda lettura in Parlamento, tramite norme interne contrastanti nella sostanza con queste disposizioni, lesive della qualità dell’informazione e della sua autonomia redazionale. Questo percorso, a mio avviso, potrebbe essere un chiaro segnale del non gradimento da parte degli stati europei delle nuove proposte comunitarie. Un principio fondamentale per una democrazia, la tutela e la garanzia del pluralismo, è stato, senza precedenti nella legislativa comunitaria, recepito nel testo su proposta di Lilly Gruber, anche se è importante dire che, se rimanesse invariato il testo complessivo così come proposto nella direttiva, rischierebbe di diventare un buon proposito non applicabile e puramente astratto.
Bisogna anche rilevare come la facile concentrazione di pubblicità in mano ai canali televisivi ostruirebbe di certo la possibilità da parte della carta stampata e di altri canali di informazione di beneficiare di inserimenti promozionali, spesso uniche fonti di possibili entrate, utili per la propria sopravvivenza sul mercato editoriale.
Occorre pensare a forme di sana e corretta contrapposizione a questa norma, vulnus invalicabile nella storia della democrazia nei media europei: se dovesse essere licenziata l’intero sistema radiotelevisivo, già sottoposto a un’erosione sempre maggiore della propria qualità , rischierebbe di diventare solo una vetrina di merci e di messaggi commerciali, assoggettando le scelte redazionali ai desiderata delle lobby del potere economico.