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Nicola Rossi e il futuro del PD (di Massimiliano Falcucci) |
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11.01.2007
La decisione di Nicola Rossi di non rinnovare la tessera dei Democratici di Sinistra nell'anno del congresso favorisce lo spunto per alcune considerazioni.
Appare superficiale relegare le cause di tale scelta alle questioni di partito interne agli equilibri diessini, come pure distorsivo sarebbe interpretare l'atto alla stregua di un semplice capriccio tipico di certe forme di pratica intellettuale all'italiana.
Non si tratta neppure di tirarsi indietro rispetto alla battaglia che attende il centrosinistra sulle questioni inerenti le riforme urgenti che chiamano all'appello il paese, come pure da qualcuno esplicitato.
La questione é molto più sottile e allo stesso tempo estesa, essa infatti riguarda non solo l'attività governativa, alle prese con un primo bilancio a dir poco tempestoso, ma soprattutto la nascita del futuro Partito Democratico.
Sono in molti a pensare che il PD nascerà solo se il governo riuscirà a vivere il più a lungo possibile e se quindi la sua esistenza sarà speculare alla nascita del nuovo soggetto.
Questo é il vero nodo che Rossi a mio avviso implicitamente mette in luce.
Si pensa diffusamente che se dovesse cadere il governo anche il PD farà la stessa fine; quindi la stagione politica dell'intero centrosinistra sarebbe destinata alla catastrofe completa.
La decisione di Nicola Rossi richiama l'attenzione su questo specifico atteggiamento che a me sembra stia portando in una fitta selva oscura. Se il governo continuerà su questa strada a basso tasso riformista e liberale, allora anche il PD vedrà la luce già malaticcio e soprattutto sarà incapace di attirare nuovi consensi oggi estranei all'armata governativa.
Se con il nuovo PD si intende arrivare almeno al 35% dei consensi sarà necessario cambiare rotta non di qualche grado ma di qualche decina di gradi.
La cosa che più preoccupa non é la difficoltà a portare avanti la battaglia riformista all'interno dell'Unione ma la sua presunta e da molti percepita assenza sistemica, come se i riformisti fossero una sparuta truppa di minoranza etnica che di tanto in tanto disturba il manovratore lanciando qualche lancia.
Questo é il vero nodo di discussione.
Come si può rimproverare a Rossi di aver abbandonato la battaglia se questa sembra non esserci affatto.
Romano Prodi é sembrato troppo blando su questo punto, tanto che aumentano le voci maligne che credono a un suo maggiore interesse di durata piuttosto che di svolta politica, inaccettabile.
Queste critiche non dovrebbero ronzare in testa a nessuno e il fatto che invece siano ben presenti anche fra le mura casalinghe pone dei seri interrogativi.
Come si può credere a un PD capace di attirare tanti nuovi elettori se gli stessi protagonisti della sua nascita si dimostrano freddi verso i fondamentali che lo dovrebbero caratterizzare rispetto alle attuali formazioni? Come facciamo a convincere chi vuole vedere nel nuovo partito una nuova era politica se il nostro governo sembra non soffrire la pressione costante e asfissiante delle estreme?
Il governo deve trasmettere visibilmente l'insofferenza verso quella politica che rischia di soffocarlo nell'angolo del conservatorismo servile di gobettiana memoria e dare cosi modo a tutte quelle forze della società che vogliono cambiare questo paese, rilanciandolo, di aderire al progetto PD sull'onda dell'entusiasmo partecipativo.
Se cosi non sarà temo che il peggior nemico del Partito Democratico sarà proprio questo esecutivo e la sua cultura a vista quotidiana.
Massimiliano Falcucci, Roma
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