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Cofferati: nostri elettori non ci perdonerebbero altre divisioni
11.01.2007
Speranza. Sergio Cofferati guarda all’incontro di Caserta con una grande speranza e una forte preoccupazione. «È una bella occasione per Prodi e il suo governo per definire priorità, obiettivi, percorsi per il prossimo futuro. Ma vedo anche un pericolo: se non ci fosse una condivisione esplicita delle proposte, delle politiche da perseguire, se subito dopo le conclusioni di Prodi si ripresentasse quel concerto polifonico di voci discordanti o stonate, che abbiamo sentito anche nei mesi scorsi, allora la maggioranza di centro sinistra rischierebbe di allontanarsi dai suoi elettori». Il sindaco di Bologna è reduce da una originale «Bohème» per solo piano a causa di uno sciopero degli orchestrali, è immerso in mille battaglie amministrative e politiche «Qualcuno immaginava che andassi in pensione accettando il mandato dei cittadini bolognesi a fare il sindaco...» - e oggi parla con l’Unità del suo modo di essere riformista «nei fatti», una concezione distante dal «riformismo come evento mediatico», della necessità di una forte politica dei redditi, dell’inevitabilità di portare «la nostra cultura riformista, di sinistra, dentro il partito democratico».

Cofferati, cosa vanno a fare i ministri a Caserta?
«Mi pare un appuntamento molto importante e delicato, politicamente rilevante. Un governo si riunisce con la sua maggioranza per discutere le priorità e il lavoro futuro. Prodi fa una scelta impegnativa: crea molta curiosità, alimenta alte aspettative, peraltro direttamente proporzionali alle difficoltà e alle tensioni incontrate nei primi mesi di vita dell’esecutivo. Dunque il compito è difficile e mi auguro che il centrosinistra possa uscire positivamente da questo conclave»

Che risultati si attende?
«Mi piacerebbe, come sperano anche molti elettori della nostra parte, che da Caserta uscisse un orientamento comune, condiviso tra le varie anime e sensibilità della coalizione sulle questioni che il governo intende affrontare e risolvere nei prossimi mesi. Se la discussione dovesse riconsegnare opinioni differenti, distanti, il potenziale effetto positivo dell’incontro svanirebbe».

E le priorità? Con tutto rispetto la discussione sulla riforma della legge elettorale non è proprio uno di quei temi adatti a scaldare il cuore al popolo dell’Ulivo...
«Premesso che sono convinto dell’urgenza di definire una riforma della legge elettorale, penso che anche l’individuazione delle priorità deve essere fatta attentamente perchè devono corrispondere ai bisogni delle persone, come impone una autentica politica riformista. Quello che appare utile, direi indispensabile viste le esperienze dei mesi passati, è l’esplicita condivisione delle priorità e delle modalità risolutive. I cittadini non sono contrari alla mediazione tra opinioni diverse, ma l’importante è che la discussione sia trasparente e che le conclusioni comuni siano chiare. Il Paese ha davanti a sè molti problemi, ma ci sono oggi le condizioni per fare bene. Anzi credo che Prodi e il suo governo abbiano un’arma formidabile da usare...»

E quale sarebbe questa arma letale in mano al professore?
«La ripresa dell’economia. Ci sono segnali vistosi, ben visibili di una solida crescita economica. Lo si vede dai dati delle entrate fiscali, dove il miglioramento è determinato dalla componente rilevantissima del lavoro dipendente. C’è un’apprezzabile diminuzione della propensione ad evadere da parte di alcune categorie, grazie alle politiche introdotte dal governo, e c’è un sensibile aumento degli occupati, un miglioramento medio dei redditi dei lavoratori e delle famiglie. In questo contesto, con il forte calo del fabbisogno, non ci sono più emergenze di finanza pubblica, bisogna puntare sullo sviluppo».

In quale direzione?
«Penso a una politica economica a sostegno della crescita che favorisca un profilo “alto” di competizione, con formazione, ricerca, sviluppo e diffusione delle tecnologie. Si possono incentivare, selettivamente, con gli strumenti a disposizione attività di qualità, ad alto contenuto tecnologico, professionale, di valore aggiunto. E resto convinto che sia indispensabile una moderna politica dei redditi».

Ha nostagia di un altro patto del ’93?
«Vorrei che l’azione redistributiva avviata col fisco fosse completata: ad esempio nella direzione del federalismo fiscale, con attribuzione alle amministrazioni locali di compiti di welfare e di quota parte dell risorse fiscali, derivanti dall’Irpef. Sul fronte del lavoro è necessario stimolare attraverso regole condivise la parte assoggettata alla contrattazione collettiva dei salari - e ricordo il monito del presidente Napolitano - con uso crescente della produttività per valorizzare il lavoro e la sua qualità, per premiare i salari. L’altro capitolo decisivo è favorire il contenimento di prezzi e tariffe con processi di liberalizzazione. Ma non vorrei che si ripetesse l’errore di qualche anno fa quando le liberalizzazioni annunciate furono precedute dalle privatizzazioni. Sostituire un monopolio privato a uno pubblico non cambia nulla».

E le pensioni?
«L’obiettivo della verifica del sistema previdenziale è la stabilizzazione. Non bisogna inventarsi cose clamorose. Lo schema tracciato dalla riforma Dini è valido e consente di favorire un rapporto positivo tra generazioni. Molti se lo dimenticano ma la “Dini” cambia completamente l’assetto previdenziale, dal sistema retributivo a quello contributivo, ed è questo processo di cambiamento in corso che va aiutato e governato, non stravolto. L’innalzamento progressivo dell’età, la revisione dei coefficenti. il secondo pilastro della previdenza complementare: c’è già tutto, è dannoso lanciare allarmi ingiustificati».

Lei qualche anno fa, nel mezzo di un polemica, definì il riformismo «una parola malata». Visto la proliferazione di riformisti e riformismi di varia natura, forse siamo davanti a una patologia epidemica. Lei che tipo di riformista è?
«Non mi sono mai piaciute le discussioni astratte sul tema. Mi sono sempre misurato con problemi concreti ai quali trovare la soluzione, prima nel sindacato e ora come amministratore pubblico. Non mi piace la discussione solo teorica, la contrapposizione quasi ideologica di princìpi e modalità che ha l’unico effetto di bloccare le azioni. Il riformismo deve avere ancoraggi consistenti con i problemi della gente, garantendo i diritti delle persone ma senza dimenticare i doveri. Le discussioni di questi giorni sul riformismo mi sembrano lontane, largamente mediatiche e poco costruttive, ci sono semplificazioni dannose che non aiutano il coinvolgimento e l’adesione delle persone ai progetti che nel centrosinistra si stanno avviando. Non mi piace parlare di riformismo come se fosse aria fritta: io sono per il riformismo della coesione sociale, che non è un regalo, ma è anche un fattore di competività perchè le persone protette dal welfare sono produttori che agiscono meglio, collaborano e non confliggono. Chi pensa che tagliare il welfare sia un risparmio di risorse si sbaglia».

Voi del centrosinistra dove state portando il vostro popolo, i vostri elettori? Cosa ci sarà dentro il partito democratico?
«Dentro ci portiamo la cultura riformista, antica e radicata di questo Paese. Il riformismo ha varie declinazioni nella nostra storia, nei suoi rapporti con le diverse culture politiche, cattolica e socialista. Ma il riformismo non lo si scopre adesso, ce lo siamo sempre portati dentro noi di sinistra. Sono un po’ preoccupato perchè la discussione sul partito democratico è dominata dal modo con cui ci si mette assieme, invece preferirei parlare di valori, programmi, azioni».

Che differenza c’è tra il Cofferati che porta in piazza 3 milioni di persone per difendere l’articolo 18 e il Cofferati della Bohème che critica lo sciopero degli orchestrali?
«Sono sempre io, non ci sono differenze. Non ho mai avuto dubbi nel difendere i diritti dei più deboli com’era nel caso dell’articolo 18. E tornerei in piazza anche oggi. Per la Bohème non ho condiviso lo sciopero di un sindacato autonomo: loro hanno scioperato com’è loro diritto, il teatro ha offerto una rappresentazione diversa ai cittadini. Tutto a posto».

Rinaldo Gianola su L'Unità

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