11.01.2007
Una classica espressione latina afferma che “i nomi sono la conseguenza delle cose”.
Se un partito che si chiama “Democratici di Sinistra” decide di fondersi con un altro partito che si chiama “Margherita” e l’esito viene dai due fondatori chiamato “Partito Democratico” non è forse giusto dedurne che la connotazione “sinistra” sia inesorabilmente scomparsa?
Per chi, come molti, me incluso, ritiene che “sinistra” non sia soltanto una connotazione di geografia politica, ma abbia un contenuto tanto chiaro quanto significativo, la fusione fra quei due partiti implica che qualcosa di importante è andato perduto.
In generale, in Italia e ancora di più in Emilia-Romagna, sinistra significa laico e riformista. Ovvero, la laicità e il riformismo sono storicamente stati i due contenuti privilegiati dalla sinistra, comunisti e socialisti, ma anche repubblicani, nella loro azione di governo, con tutti gli esiti positivi che nessun revisionismo storico riuscirà mai a cancellare. Sinistra, in questa regione, ma un po’ dappertutto, significa anche apertura alla partecipazione incisiva dei cittadini e politiche che mirino quantomeno alla riduzione delle disuguaglianze e alla creazione di eguaglianze di opportunità .
Invece, il processo di costruzione di un Partito Democratico implica, in primo luogo, che l’espressione “sinistra” verrà cancellata, definitivamente. Anzi, a giudicare dalla strenua opposizione dei Margheriti all’ingresso (che per i DS sarebbe permanenza) nel Partito del Socialismo Europeo, anche le parole “socialismo” e “socialista” non dovranno più avere cittadinanza.
In secondo luogo, almeno fino a questo momento, è un processo completamente calato dall’alto, consegnato nelle mani e, per usare il politichese, “gestito” esclusivamente dai segretari locali dei DS e della Margherita, con limitato coinvolgimento persino degli stessi gruppi dirigenti dei due partiti, per non parlare dell’esclusione del leggendario “popolo delle primarie”. L’esclusione di questo popolo che, in Emilia Romagna era accorso molto numeroso alle urne delle primarie “di Prodi” costituisce un durissimo colpo inferto alla possibilità di partecipazione incisiva ad una scelta di grande rilievo e di portata storica.
Con tutte queste considerazioni in mente, sono giunto alla conclusione che, prima ancora di rifiutare la prospettiva della presunta unificazione delle culture riformiste in un contenitore che si autodefinisce “democratico”, ma non apre la porta neppure agli elettori delle primarie che non siano già iscritti ai partiti costituenti, sia molto opportuno riflettere.
Incidentalmente, chiedere una pausa di riflessione in una situazione nella quale sussiste parecchia confusione nei due gruppi dirigenti, non significa affatto stare fermi, sedersi, riposarsi, ma, per l’appunto, implica riflettere. In effetti, a fronte di una scelta che, senza esagerazioni, deve essere definita storica, ovvero la scomparsa di una grande tradizione politica di sinistra in Emilia-Romagna, c’è molto su cui riflettere.
A quali valori si ispirerà il nuovo partito democratico? Saranno valori nuovi, non altrimenti individuabili nella teoria e nella prassi, sicuramente entrambe da aggiornare, ma altrettanto sicuramente non da buttare, dei Democratici di Sinistra? Quale atteggiamento assumerà il nuovo partito rispetto alle tematiche, oggi e domani, assolutamente qualificanti, della bioetica e della ricerca sulla vita e sulla morte? Quale rapporto nuovo si instaurerà fra politica e società ?
La pausa di riflessione sarà una pausa operativa e risulterà anche produttiva se delineerà risposte traducibili in politiche alle domande che ho qui articolato e che si ritrovano nel documento opportunamente preparato da Mauro Zani. Sono consapevole che le risposte sono difficili e complesse.
Proprio per questo credo che la risposta migliore, concreta e laica, è “cercare ancora”.
Il Partito Democratico potrà anche essere l’esito di questa ulteriore approfondita e non frettolosa ricerca. Al momento, sembra piuttosto una scorciatoia imboccata da gruppi dirigenti che non hanno altre risposte e che cercano di dare un senso al loro ruolo e forse anche maggiore solidità alle loro cariche. Non otterranno né senso né solidità (e neppure un’organizzazione politica decente) se il percorso del Partito Democratico non risulterà in ogni momento aperto ai cittadini, ai gruppi, alle associazioni che hanno partecipato alle primarie e che vogliono davvero cambiare la politica. Pertanto, vale la pena parlarne e aprire, da subito, il percorso a tutti i cittadini interessati.
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