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Vendetta e perdono (di Antonio V. Gelormini)
13.01.2007
Quando la ragione soccorre la fede

Il corpo di Saddam era ancora caldo e gli appelli all’eliminazione della pena di morte al culmine della loro intensità, che abbiamo scoperto quanto volubili e preda degli entusiasmi del momento siano le nostre convinzioni. Incapaci di radicarsi e di diventare l’ossatura di una coscienza nazionale. Un male antico, che nella buona e nella cattiva sorte ha accresciuto storicamente il tasso di inaffidabilità degli italiani.

E’ bastato che una mancata vittima cominciasse a ricordare, che uno strumento implacabile come il luminol dei Ris trovasse una piccolissima traccia di sangue in un’auto, che gli autori di un efferato pluriomicidio, a Erba, crollassero e confessassero, freddamente, crudelmente, incredibilmente e al tempo stesso orrendamente. Perché gli umori saltassero e le richieste di “adeguata e omologa” punizione crescessero, si moltiplicassero e assumessero i contorni dell’assurdo. Fino ad affidare la delega di boia ai detenuti ormai perduti, in un vortice impazzito di odio e rancore, che fa smarrire la consapevolezza di quel che si afferma.

In questo bailamme di convulsioni il perdono, affermato con convinzione e con spontaneità da Carlo Castagna il nonno, il vecchio e il saggio, si erge come un faro nella notte della barbarie e nel contempo disorienta le coscienze e gli sguardi sconvolti e annichiliti nella leggera nebbia padana.

Affiora così la vera differenza tra una visione cristiana del progetto umano e una concezione della vita e dei rapporti nella realtà musulmana, che richiede confronto, riflessione e attenzione particolare. La differenza tra due ordini morali, manifestata da due reazioni, entrambe rispettabili.

Perché è giustificabile lo stato d’animo di un padre, marito e vittima di pregiudizi razziali che, a caldo, sente alimentati i propositi di vendetta, di onore da salvaguardare e la voglia di gridare al mondo l’incolmabile dolore. Ma non si può non rimanere rapiti dalla forza speculare di quel perdono del nonno (padre due volte), marito anch’egli e amico della famiglia dei vicini, coinvolta nella tragedia di Erba. Lui perdona con naturalezza e semplicità. Non invita a farlo, lo fa. Consapevole al punto da chiedere e chiedersi: “Se non ora, quando?”

Piacevolmente devastante l’offerta di tale carità. Forse sarà scoprendo cosa sorregge tanta autenticità, che riusciremo a cogliere lo spirito necessario per individuare le chiavi adatte ad affrontare il dialogo e a praticare la tolleranza interreligiosa. Ed è proprio in casi come questo che ci sarebbe piaciuto leggere il commento non allineato di una Oriana Fallaci.

gelormini@katamail.com

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