Si ha la triste e dolorosa sensazione che una parte significativa dei militanti (sì, ce ne sono ancora) dei Democratici di Sinistra stiano a guardare un complicato e contrastato processo di trasformazione del loro partito, con preoccupazione, ma senza reagire. Sentono, se interpreto correttamente il loro stato d’animo, che è stata intrapresa una strada nella quale, nonostante gli sforzi di alcuni dirigenti e, in special modo, del loro segretario, fanno fatica a riconoscersi. Tuttavia, antichi e non sempre disprezzabili riflessi di applicazione della linea del partito fanno la loro debole comparsa a tutti i livelli. Posti di fronte ad una opzione complicata tra la linea del segretario e alcune loro non convergenti propensioni, alcuni, forse parecchi iscritti seguono l’attendismo oppure il riflusso nel loro privato. Molti sembrano ritenere che la confluenza, mai, ovvero, non ancora esplicitamente decisa, in un altro soggetto politico non meglio precisato (l’aggettivo "democratico" comunica pochissimo e, per di più, come dovrebbe dire Giuliano Amato, applicato ad un partito produce al massimo un ossimoro) non riuscirà affatto ad essere mobilitante. E’ vero che non è più tempo di passioni politiche intense e accese, ma quantomeno il senso di una missione (proprio come si vorrebbe vedere nell’azione del governo) appare indispensabile. Invece, il gruppo dirigente diessino, tutt’altro che privo di sue specifiche e cospicue responsabilità , non ne ha individuato la missione qualificante. Talvolta, indica addirittura due missioni diverse: pungolare il governo/trasformare (troppo) profondamente il partito. Curiosamente, cito da "l’Unità " del 17 gennaio, fra i molti valori della sinistra, Fassino omette ovvero dimentica la partecipazione e la laicità .
Nonostante la stima personale e politica che nutro per Nicola Rossi e per Peppino Caldarola, se fosse soltanto questione delle loro scelte individuali, che non condivido, perché conducono nel limbo o nel vuoto della politica, il problema sarebbe risolvibile magari con una qualche attivazione anche dei riformisti dentro i DS (il cui silenzio trovo assolutamente imbarazzante). Invece, quello che appare è un’assenza di elaborazione politica originale proprio nella fase in cui, se l’approdo fosse/sarà il Partito Democratico, questa elaborazione riformista, progressista, laica, di sinistra appare più indispensabile, direi imperativa. Cosicché, fuori del partito dei DS e della sua possibilità di influenza si viene scrivendo un Manifesto dei Valori, si sta preparando una Rivista, è addirittura partita una Università della politica. Sono tutte attività degne e importanti che, magari dovranno poi, essere monitorate e valutate, ma nelle quali non trovo una adeguata presenza di quelle che ritengo essere le posizioni culturali, intellettuali, politiche dei DS (meglio di un partito del socialismo europeo).
Sarebbe sbagliato peraltro soffermarsi soltanto sull’analisi, spassionata, del presente, e ancora peggio rivangare gli errori, che sono molti, del passato. Non mi pare produttiva la replica del segretario di avere vinto tutte le elezioni successive alla secca sconfitta nelle elezioni politiche del 2001 poiché il problema è che il partito dei DS non si è schiodato da una percentuale che lo colloca in maniera preoccupante agli ultimi posti fra i partiti del socialismo europeo. Non è neppure utile, come peraltro non ho mai rinunciato a fare, formulare previsioni (alcune delle quali si stanno avverando) negative e infauste sul futuro, che si realizzeranno qualora non avvengano cambiamenti guidati. Il punto oggi consiste nel chiedere, anzitutto, al segretario dei DS. Piero Fassino, di non spazientirsi e di non irritarsi, ma soprattutto di riaprire canali veri di discussione all’interno del partito, magari suggerendo ai dirigenti locali di non fare falange romana, ma di ascoltare davvero la famosa base (e anche i quadri intermedi) e persino, con appropriate modalità , i simpatizzanti non iscritti. Stessa richiesta va fatta agli estensori delle mozioni affinché cerchino punti di contatto, non al ribasso, non al minimo comune denominatore, ma laddove un partito di sinistra sa che deve e può spingersi. Se la caratteristica, quasi costitutiva, di un simile partito è di avere anzitutto una visione nazionale, oggi è il momento di chiedersi se la visione nazionale non obbliga a pensare che soltanto la permanenza in Italia, prima ancora che in Europa, di un partito di sinistra garantisce che nel dibattito politico e nelle politiche pubbliche le tematiche relative alle eguaglianze (proprio al plurale) di opportunità e alla solidarietà , unitamente al riconoscimento del merito e alla laicità , come metodo e come esito, abbiano spazio e incidenza effettiva.
Mi ripeterò. Insomma, al di là delle proprie aspettative di carriera e di promozione, è opportuno fermarsi a riflettere apertamente, magari anche richiamando in campo il popolo delle primarie. Sarebbe, come ha scritto in maniera memorabile Vittorio Foa, "la mossa del cavallo" che consentirebbe di riaprire giochi chiusi che a molti sembrano asfittici e non meritevoli del loro tempo, delle loro energie, delle loro competenze e, qui non posso resistere, della loro passione politica, ovvero di quel che ne rimane che, spero, in molti diessini sia ancora tanta e pregevole.
Gianfranco Pasquino da L'Unità del 18 gennaio 2007
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