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Dc9
22.01.2007

Piero Buscemi / girodivite.it-
Il naso schiacciato sulla lastra di vetro. Opaca, dai ricordi sbiaditi da una alitata di rabbia annebbiata. Rosa stava lì, da almeno un quarto d’ora. Da quando la voce-dal-nulla aveva annunciato l’arrivo dell’ultimo volo. Rosa stava lì, con il naso appoggiato. Troppo appoggiato. Tanto, da non riconoscersi.

Guardava la sagoma dell’aereo con una risvegliata speranza. Forse, era il giorno che l’orologio elettronico, in alto sulla parete di fronte, segnava da mezzanotte. O forse, era soltanto rassegnazione decisa a sopravvivere al tempo.

Si sistemò la maglietta. Bianca. Al centro l’immagine ammonitrice e la scritta: “Verrà il giorno del giudizio divino”. Si asciugò il sudore strofinando le mani sul ruvido pantalone. Doveva farsi trovare pronta. Almeno, presentabile. Come aveva letto una volta su una rivista illustrata, abbandonata nella sala di attesa.

Il portellone sbuffò qualche minuto dopo. La ragazza in divisa sorrise, mentre indicava l’uscita. Rosa rispose al sorriso, sentendosi un po’ ridicola. Poi, le prime persone cominciarono a scendere la scaletta di ferro. Rosa indugiò, osservando attenta i passi insicuri che aggredivano gli scalini. Focalizzò i loro volti e cercò quello del padre. La foto custodita tra le mani. L’aereo si svuotò, lentamente. Come l’illusione di Rosa. Anche questa volta.

Qualche anno prima, le era sembrato di riconoscerlo. Sul volto, marcato dal sole, di un uomo che, scendendo dalla scaletta, si era segnato mandando un bacio a nessuno. Rosa si era spostata verso la porta scorrevole, nonostante i rimproveri della Sicurezza. Poi, l’aveva visto allontanarsi stringendo la piccola mano della figlia che chiedeva. Chiedeva, chiedeva. Chiedeva e urlava. Come avrebbe voluto fare lei.

“Ho una mezz’ora di tempo, fino al prossimo” – pensò tra sé. Poi, ripose la foto dentro lo zaino e s’incamminò verso il bagno. Una breve fila di donne, in cerca degli anni migliori, si sciolse al suo arrivo. Rosa entrò. Si passò la mano tra i capelli. Andò al lavandino e soffocò i commenti dentro l’acqua corrente. Alzò lentamente la testa ed una bambina bionda, dai capelli cortissimi, le scrutò l’anima.

Salvo era al suo primo giorno di servizio. Aveva passato qualche anno sulla volante, tra le strade di Palermo. Una settimana prima, gli avevano offerto la possibilità di andare a Punta Rais. “Rais”, come lo aveva corretto il capitano – “Raisi è per gli italiani!” – aveva precisato. Salvo aveva accettato la proposta ed ora era lì, tra luci accecanti a chiedersi perché. Percorreva l’astratta lucidità di quei corridoi insieme a Calò. L’agente anziano. Come si faceva chiamare dai colleghi. Calò lo rassicurava per la semplicità del lavoro e gli faceva battute sconce sulle hostess che si era “incamerato” negli anni.

Stava dettandogli qualche numero caldo, quando Salvo vide Rosa. In fondo alla sala. Immobile davanti alla lastra panoramica. “Chi è, quella ragazza bionda?” – chiese Salvo. “E’ Rosa. Quella che non la da a nessuno.” – rispose Calò. “E che sta facendo?” – s’incuriosì Salvo. “Guarda gli aerei atterrare. Lo fa da venticinque anni e ormai, nessuno le dice più niente”. “Minchia, venticinque anni?” – si sorprese Salvo – “E chi aspetta?” “Che qualche aereo gli riporti a casa il padre” – ironizzò Calò.

Salvo abbandonò il sarcasmo del collega e si avvicinò. “Venticinque anni…” – pensò sottovoce. Poi, alzò lo sguardo verso il calendario elettronico, quasi a provare a contarli. Rosa si voltò un momento e gli rispose con una strana smorfia delle labbra. Salvo guardò ancora un momento l’almanacco e lesse: 27 giugno 2005.

La ragazza gli passò accanto. Con la mano, provò ancora a sistemarsi la maglietta bianca. Improvvisò una camminata da hostess, che imitava ogni tanto spiandole quando le incrociava negli atri, di ritorno dai lunghi viaggi. Rosa gli passò accanto sentendosi donna, per la prima volta. Provò a viaggiare alla velocità della luce. Con la mente. Ma il ronzio amplificato di un nuovo aereo in arrivo, spense la sua fantasia.

Poi, mentre Rosa pigramente scivolava dalla sua vita, Salvo la guardò allontanarsi dalle sbuffate annoiate. Dai volti sconosciuti, da quelli dimenticati. Dagli echi incomprensibili degli altoparlanti. Dalle grida stanche dei bambini. Dagli odori di caffè annacquato. Dallo sciabordio degli addetti alle pulizie. Dai sorrisi di rito. Dalle occhiate di compassione. Dai giudizi scortesi. Dai silenzi.

La guardò fuggire. Dalla sua pausa di distrazione. Non riuscì a trattenerla. Né una parola per provarci. Rimase a guardare quelle movenze femminili preservate dal tempo, nonostante tutto. Buttò uno sguardo sfrontato sul pantalone verde di Rosa e lesse, tra la chiappa destra e quella sinistra: UST… ICA.

Fonte:  http://www.girodivite.it/Dc9.html

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