*Alea iacta est*. L’America si accinge a far proprio l’ardire di Cesare e ad attraversare non certo il Rubicone, ma la più suggestiva e temeraria frontiera dell’innovazione, per il cuore e simbolo della nazione più potente del mondo: il Presidente degli Stati Uniti.
Dopo otto anni di presidenza "Double V" Bush, e spinti dai sondaggi di ogni tipo, i democratici si preparano all’avvicendamento, con una sfida destinata a segnare una svolta epocale per la democrazia americana. Il prossimo presidente, quasi certamente, sarà un nero o una donna, perché i due candidati di punta si apprestano ad essere Hillary Clinton e Barack Obama.
Superati i tabù già con la seconda carica più importante, quella di Segretario di Stato, prima col nero Colin Powell e poi con la donna e nera Condoleza Rice, gli americani si sentono pronti al grande passo. I repubblicani fanno il tifo per Hillary. Ambiziosa di diventare la prima donna presidente, ma al tempo stesso ritenuta troppo rigida, imperiosa e solitaria, sarebbe l’avversario ideale per Rudolph Giuliani, prossima testa d’ariete delle speranze elefantine per la Casa Bianca.
Obama, invece, scompagina i giochi. E’ l’astro nascente, l’imprevedibile. E’ l’immagine dell’America giovane, ottimista, carismatica e multirazziale. Nessuno più di lui oggi è in grado di riaccendere gli animi statunitensi. La sua storia è quella del sogno americano: figlio di un immigrante africano e di una bianca del Kansas, si è fatto da sé. Ha rischiato di perdersi, come tanti della sua generazione e come ha ammesso nelle sue autobiografie, ma ha saputo trovare la strada del riscatto e così è cominciata la sua ascesa politica.
Un esempio positivo per l’America dei deboli e per quelle enormi minoranze di senza speranza, fra cui le più vulnerabili comunità afro-americane, quotidianamente sotto la pressione dei più agguerriti fanatismi non solo religiosi.
"L’audacia della speranza" è il suo pay-off, che fa tornare in mente l’emozione kennediana. Nell’annunciare la formazione del suo Comitato esplorativo, perché le candidature non sono ancora ufficiali, ha detto: "Ho visto che il Paese ha fame di cambiamento, che sei anni di politiche sbagliate lo hanno messo in una posizione precaria. E’ ora di girare pagina".
Già mezza America democratica comincia a ripetersi sottovoce "I’ve a dream". Per lo staff di Hillary un osso duro. Per lei, praticamente un incubo.
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