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Chi vuole veramente bene all'America (di Gabrino Fondulo)
24.01.2007
Molti della mia generazione sono cresciuti nel culto degli Stati Uniti d’America. Ne abbiamo apprezzato la cinematografia, la musica, il teatro e la letteratura. Abbiamo provato stordimento alzando lo sguardo tra i grattacieli di Manhattan e avvertendo la sensazione di trovarci nella vera capitale del mondo. Seguendo lo spirito di “on the road” di Jack Kerouac, abbiamo attraversato o sognato di attraversare l’America sui pullman della compagnia Grey Hound (il levriero grigio), di percorrere la mitica Route 66 e la California 1, imparando a conoscere l’america più profonda e popolare. Abbiamo amato San Francisco e la musica della West Coast. Le contestazioni studentesche dei grandi campus americani, le musiche di Bob Dylan e le canzoni struggenti di Joan Baez sono alla base del nostro impegno politico e civile. Alcuni di noi hanno persino amato ragazze americane, apprezzandone lo spirito libero ed anticonformista. Dunque, abbiamo sempre avuto l’America nel cuore, con le sue stridenti contraddizioni, con quel pizzico di spirito di frontiera e spietato darwinismo sociale, con i suoi spazi immensi e l’amore per la libertà. God bless America !

A differenza di quelli come il radicale Massimo Deodori, docente di storia americana, pronto a giustificare tutto e tutti quando afferma (seppur con fondamento) che la democrazia americana ha in se gli strumenti per correggersi, abbiamo saputo riconoscere e denunciare gli errori dei Governi americani che si sono succeduti: la sciagurata guerra del Vietnam, l’appoggio dei Chicago Boys e del Dipartimento di Stato al criminale golpista Augusto Pinochet, le sanzioni alla Cuba di Fidel Castro per farlo cadere e sostituirlo con personaggi della statura morale dell’ex dittatore Fulgencio Batista, l’uomo delle multinazionali, delle case da gioco, della corruzione, della Cuba trasformata in lupanare e in discarica dei peggiori vizi americani. Abbiamo imparato che per combattere un tiranno non bisogna appoggiarne uno peggiore.

Questa nostra storia ci dà il diritto di esprimerci a schiena dritta, respingendo le sgangherate accuse di antiamericanismo di alcuni politici nostrani, quelli che (come il mefistofelico Ignazio La Russa) sono rimasti fascisti nel midollo e fino a pochi anni fa giudicavano gli americani come invasori dell’Italia. Abbiamo criticato l’errore dell’intervento in Iraq, ammantato di squallide bugie e sappiamo distinguere gli Stati Uniti nel loro complesso dal governo che hanno la ventura di avere in quel momento. Quando eravamo contro il governo Berlusconi, non per questo eravamo anti italiani.

Ritengo che la decisione Governo Prodi di non frapporre ostacoli all’ampliamento della base militare USA di Vicenza, al punto in cui erano arrivate le cose, non avesse alternative e non tanto per l’indotto che porta alla città. Forse nello scaricare le responsabilità sull’amministrazione comunale vicentina e sul governo precedente che già aveva preso accordi e fornito assicurazioni all’ambasciatore USA, c’è una buona dose di atteggiamento pilatesco; però, nella sostanza, non era opportuno fare altrimenti.

L’amministrazione Bush non è eterna; essere contro la politica estera dell’attuale presidente non implica chiudere le porte all’alleato americano.

Tuttavia, pur prendendo le distanze dalla sinistra radicale, alcune cose le voglio dire se no mi viene l’orticaria.

Occorre ridefinire gli accordi con gli Stati Uniti; non si deve più verificare una offesa come la tragedia del Cermis, quando al danno si sono sommate le beffe. Dei piloti cow boys hanno tranciato le funi della funivia volando basso, fuori da ogni logica ed autorizzazione e, per tutta risposta, la giustizia militare americana li ha mandati liberi. I marines che vicino all’aeroporto di Bagdad hanno sparato all’eroico Calipari, contravvenendo alle regole d’ingaggio, sono tutt’ora liberi e non subiranno condanne.

Non si deve accettare che, con il pretesto di combattere il terrorismo, su coloro di noi che intendono recarsi negli USA, la CIA o l’FBI possano indagare accedendo ai movimenti dei conti correnti bancari. E’ ora di porre fine a questa posizione di sudditanza ed a questa mancanza di reciprocità. Se basi militari ci devono essere, siano in futuro quelle dell’alleanza atlantica; aperte quindi anche alle nostre forze armate che devono avere pari dignità. Quando si agisce sul nostro territorio, si devono rispettare le nostre leggi e si deve rispondere anche alla nostra giustizia. Non siamo i figli della serva e non dobbiamo subire oltraggi alla sovranità nazionale. Personalmente ne ho sempre avuto alto il concetto; ricordo che nei primi anni ’70, il capitano della mia compagnia mi incaricò di bloccare ogni accesso a via Irnerio a Bologna in occasione di una manifestazione interalleata che celebrava la vittoria sul nazifascismo. Si temevano attentati ed il mio compito era vigilare che nessuno potesse transitare senza autorizzazione. Anche i tombini dovevano essere controllati. Un plotoncino di marines, comandati da un sergente dalle spalle larghe e dal capello corto, si avvicinò alle transenne con la chiara intenzione di rimuoverle per attraversare la strada. Invitai il sergente a tornare indietro per attraversare 300 metri più avanti. Non mi prese sul serio e, con atteggiamento di superiorità coloniale, mi batté una mano sulla spalla dicendomi “take it easy!” (prendila su dolce). Cortese ma deciso, gli spiegai che ero tenuto ad eseguire gli ordini del mio comando e, per farlo, ero persino disposto ad usare la forza. Il sergente, con i marines, girò i tacchi bestemmiando. Non si aspettava forse un italiano che non transigeva sul rispetto delle regole e sulla tutela della dignità nazionale.

Eravamo alleati, dovevamo sfilare insieme, ma ognuno con la propria dignità.

L’unilateralismo è umiliante e non porta da nessuna parte; noi, che vogliamo veramente bene all’America, intendiamo ribadirlo. La maggioranza dei cittadini americani ne è già convinta e ci sarà presto una prossima amministrazione americana che lo capisce.

Gabrino Fondulo

da www.uniti-insiemeperlitalia.it
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