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Monumento al lavoro (di Bruno Ugolini)
26.01.2007
Una volta si chiamavano così: omicidi bianchi. Era la definizione appioppata a quei cadaveri d’operai trovati stecchiti sotto un’impalcatura o negli ingranaggi di un macchinario. Ora quella brutale definizione è stata abbandonata. Forse faceva parte di un linguaggio vetusto, di un galateo accolto con favore solo nei vecchi partiti di sinistra. Forse siamo diventati più delicati e gentili. Non vogliamo che qualcuno si offenda. Perchè dire “omicidi” significa anche dire “mandanti” o “assassini” o “complici”. Come in un libro giallo. E allora si preferisce la parola “incidenti sul lavoro”. Per far capire che tutto è frutto del destino cinico e baro.

E allora bisognerebbe fare delle indagini, trovare i colpevoli. Ma avete mai sentito parlare di carabinieri che prendono d’assalto un cantiere, subito dopo un “omicidio bianco”, e mettono le manette ai proprietari? No, non succede. Perché le responsabilità sono sempre altre, più profonde, più complesse. E anche questo è vero.

Ha ragione Giorgio Napolitano quando indica tra le cause la precarietà del lavoro. La sua non è certo, però, un’invettiva contro la malefica legge 30, vista come la madre di tutti i mali. Chiama in causa, semmai, le condizioni precarie dell’organizzazione del lavoro. Precarie le impalcature, precari gli attrezzi di protezione, precarie spesso anche le iniziative d’ispettori e sindacati.

Che fare? Spesso sentiamo sostenere che ci vorrebbe un’inchiesta, una denuncia di massa. Nessuno ricorda che qualche mese fa una commissione del Senato concluse un’iniziativa capillare. Era stata assai pubblicizzata da un senatore, Antonio Pizzinato. Lui e altri senatori avevano percorso l’Italia e avevano scoperto quella piaga dei lavoratori che appena morti erano assunti. Quella scoperta è diventata una delle prime misure volute dal neo ministro del Lavoro Cesare Damiano. Che almeno si proceda all’assunzione prima della morte e non post mortem…

E’ stata anche avanzata l’idea di aprire uno spazio in televisione a queste tematiche. Con l’apertura di un canale digitale. Un contributo alla diffusione di nuove sensibilità: purché non diventi una passerella per sociologi ed esperti vari. Anche se dubitiamo che il “digitale terrestre” sia molto diffuso tra le famiglie degli edili o dei metalmeccanici. Meglio sarebbe investire nel comparto degli ispettori, quelli che dovrebbero andare in giro, prima degli incidenti sul lavoro e non dopo. Meglio ancora potenziare i delegati della sicurezza. Una specie di polizia unitaria sindacale preposta alla tutela dell’integrità psicofisica, con diritti e poteri.

Questa delle morti sul lavoro (4 morti al giorno diceva l’indagine del Senato) è una vera e propria guerra. E allora perché almeno in una piazza a Roma non si erge un monumento ad un caduto sul lavoro di questi anni? Come si è fatto per la prima guerra mondiale o per i caduti nella guerra di Liberazione. Un simbolo emblematico. Con accanto un pannello luminoso che segnala, con aggiornamenti continui, le tragedie quotidiane nei cantieri, nelle fabbriche. Per far capire a tutti come il lavoro sia il perno fondamentale della nostra società e come sia necessario difenderlo.

Nella foto: Giovanna Curcio, morta sul lavoro a 15 anni

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