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L'anima e la spada (di Antonio V. Gelormini)
29.01.2007

Come le facce della stessa medaglia o la prospettiva di un tratto inclinato, a seconda che ci si trovi a valle o a monte, da sempre la Chiesa e la sua dottrina camminano lungo un binario fatto di rigore e comprensione, di ammonimento e perdono, di condanna e carità. Peculiarità e qualità che quasi sempre hanno trovato concretezza e rappresentazione in figure carismatiche divenute, col tempo, vere e proprie icone. A cominciare da San Pietro e San Paolo, passando per Bonifacio VIII e Celestino V, per arrivare ai più contemporanei Pio XII e Giovanni XXIII o ancora ai controversi esempi di Padre Pio da Pietrelcina e Madre Teresa di Calcutta.

Una disputa che ogni tanto arriva a coinvolgere illustri esponenti della stessa Ecclesia. E quella in atto da tempo tra i cardinali Martini e Ruini, condotta in punta di raffinata diplomazia, testimonia quanto vivace sia il dibattito all’interno delle gerarchie vaticane. La stessa immediata elezione di Joseph Ratzinger al soglio papale, che le cronache indicavano facilitata in Conclave dall’appoggio di Carlo Maria Martini, sembrerebbe esserne stata influenzata. Allorquando, insieme alla fumata bianca del comignolo vaticano, svanivano le speranze di ogni altro eminente contendente.

E’ di questi giorni la singolare concomitanza della probabile ultima prolusione del Presidente della Cei, con l’intervento moderato, pubblicato dal Sole 24 Ore, del presule ambrosiano sul caso Welby e sulla distinzione tra eutanasia e rifiuto dell’accanimento terapeutico. Tanto fredde, cattedratiche e perentorie le parole del primo, quanto pacate, misericordiose e lungimiranti quelle del secondo.

Da Vicario dell’Urbe il cardinale Ruini ha dato l’impressione di avere un concetto cesàreo della legge, fino ad assumere accenti pontefici correlati, decidendo e indicando ciò che per lo Stato può ricevere riconoscimento legale e ciò che invece non lo merita. Pare distrarsi al senso della morte e si preoccupa più di condannare e raccomandare, piuttosto che redimere e sperare.

Tutt’altra cosa l’invito del cardinale Martini a cercare risposte normative per consentire il rifiuto di cure ormai inutili, cosa che non può considerarsi eutanasia. L’esortazione: "alla Chiesa stessa, che dovrà dare al problema attenta considerazione anche pastorale". Fino a suggerire la soluzione francese, che non legalizza l’eutanasia, ma: "prevede che le cure mediche non debbano essere protratte, con ostinazione irragionevole". Una testimonianza di rispetto verso la morte e, nei casi disperati, verso la rassegnazione a non poterla impedire. Nel contempo, il ricordo responsabile e solidale ai tanti che non riescono nemmeno ad accedere a cure e servizi sanitari, che non dovrebbero creare situazioni di disparità e di discriminazione.

La sintesi efficace l’ha fornita il filosofo cattolico Giovanni Reale, affermando: "Ora che si è ritirato in Terrasanta è come se Martini avesse una visione ancora più ampia, lo sguardo di chi riesce a vedere le cose anche da Gerusalemme e non solo da Atene". Ecco, la sensazione è che il cardinale Ruini, fermo al centro dell’Impero, continui a conservare pervicacemente la prospettiva di Roma.

gelormini@katamail.com

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