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Ryszard Kapuscinski
29.01.2007
«La tela grezza dell’umanità». di Alberto Conci / unimondo.oneworld.net -

L’incontro con Kapuscinski è uno di quelli che lasciano il segno. Nato a Pinsk nel 1932 e scomparso la sera del 23 gennaio, l’uomo che nel pieno della rivoluzione iraniana poteva raccontare di avere già vissuto in prima persona ventisette (!) rivoluzioni, non narra mai di sé, ma sempre delle persone che ha incontrato, della gente comune che ha avvicinato. Come il bambino di otto anni che cuoceva il pane a Teheran e che finiva per perdere il lavoro tutte le volte che, in preda a una struggente nostalgia, scappava dalla città per tornare a casa dalla sua mamma. O come il venditore di tappeti, che racconta a Kapuscinski dell’importanza, per un popolo, delle cose apparentemente “inutili”, come l’arte o la spiritualità. O come l’uomo che durante la guerra fra Salvador e Honduras, rischiando la vita ruba le scarpe ai soldati caduti al fronte, per poterne fare calzature per i bambini che lo aspettano a casa. O, ancora, come i minatori di uno sperduto villaggio del nord dell’Unione Sovietica, che non vedono mai la pallida luce del sole e non raggiungono i trentacinque anni di età…
Non aveva nulla della figura dell’eroe che magari si ricava dai suoi libri, Kapuscinski. Impressionava la sua attenzione assoluta per l’interlocutore, la sua convinzione che per capire la storia è necessario incontrare le persone comuni, incrociarne lo sguardo, al punto che in uno dei suoi ultimi incontri, il 17 ottobre scorso nell’Aula magna dell’università di Bolzano, ha affermato come anche queste persone sono “autori” dei libri che ha scritto.
E in questo modo ha ricordato che l’unica prospettiva che ci permette di conoscere la storia è quella dal basso: “Il tema della mia vita – ha scritto – sono i poveri. È questo che intendo per terzo mondo. Il terzo mondo non è un termine geografico e neanche razziale, ma un concetto esistenziale. Indica appunto la vita povera, caratterizzata dalla stagnazione, dall’immobilismo strutturale, dalla tendenza alla regressione, dalla continua minaccia della rovina totale, da una diffusa mancanza di vie d’uscita. Sono tanti gli aspetti, le maschere, le forme, i buchi, i brandelli, le ruggini, i monconi, gli stracci e le toppe assunti dalla miseria. Il fatto, il triste fatto che l’ottanta per cento della popolazione terrestre viva nell’indigenza e spesso nella fame la dice lunga sulla pochezza umana”.
Kapuscinski ha scelto per questo motivo di confondersi con la gente comune, di sparire in mezzo a coloro dei quali ha voluto raccontare la vita. Non si può raccontare gli altri rimanendone lontani, in una prospettiva diversa, altra rispetto all’esistenza reale che essi ogni giorno conducono. Ha scritto: “Devo vivere fra le persone, mangiare con loro, fare la fame con loro. Voglio diventare parte del mondo che descrivo, immergermici e dimenticare ogni altra realtà. Quando sono in Africa non scrivo lettere né telefono a casa. Il resto del mondo svanisce. Ho bisogno di illudermi, sia pur fuggevolmente, che il mondo dove mi trovo sia l’unico esistente”. E ancora: “Non posso raccontare come si muoia al fronte standomene seduto in albergo, lontano dalla battaglia. Che ne so di come si sta in un assedio, di come si svolge la lotta, di quali armi abbiano i soldati, di quali vestiti indossino, di che cosa mangino e che cosa provino? Bisogna capire la dignità degli altri, accettarli e condividere le loro difficoltà. Rischiare la vita non basta. L’essenziale è il rispetto per le persone di cui si scrive”.
Per raccontare la sofferenza, ma anche la gioia e la visione del mondo delle persone comuni, questo grande reporter, che è stato prima di tutto un uomo buono, ha scelto così di indossare, come dice in una delle sue più belle poesie, la tela grezza:
“Solo chi indossa tela grezza
sa accogliere in se stesso
l’altrui sofferenza
sa condividerne il dolore”

In questo modo, in un mondo violento, irrispettoso e indifferente, Kapuscinski ha rovesciato continuamente prospettiva, proponendo di usare un’altra chiave di lettura della storia contemporanea, mettendo al centro coloro che i cinici considerano materiale di scarto della storia e prendendo le mosse dagli eventi cui nessuno presta attenzione, nei quali tuttavia si nasconde una chiave per leggere l’intera vicenda umana: “l’universo si riflette in una goccia d’acqua”.
Da qui il giudizio tagliente, divenuto ormai famoso, su un’informazione irrispettosa all’uomo: “Il cinico – ha scritto – non è adatto al mestiere di corrispondente di guerra o di corrispondente estero. Questa professione, o missione, presuppone una certa comprensione per la miseria umana, esige simpatia per la gente. Bisogna sentirsi membro di una famiglia di cui fanno parte anche tutti quei poveracci del nostro pianeta che non possiedono letteralmente nulla. [...] Un mestiere del genere non si esercita senza calore umano. È colpa del cinismo, del nichilismo, della caduta dei valori, del disprezzo degli altri, se il mondo è diventato tanto insopportabile”. È questo imperativo dell’attenzione all’altro la sfida che Ryszard Kapuscinski ci ha lasciato in eredità.
di Alberto Conci

Fonte: http://unimondo.oneworld.net/article/view/145408/1/

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