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La cosa più grave: il Polo che si scioglie!
2.02.2007
Parla Vincenzo Artale, il climatologo dell'Enea che ha partecipato alla stesura del rapporto Ipcc - *Ormai tutti d'accordo su cambiamenti e responsabilità umane, ma c'è ancora molto da scoprire* - *La cosa più grave è il Polo che si scioglie e la pallina del clima rischia di saltare buca* - Lo scienziato utilizza una metafora per spiegare a cosa potremmo andare incontro *Per evitare disastri bisogna cambiare modello economico e investire in ricerca* di VALERIO GUALERZI da www.repubblica.it

L'Ipcc, l'istituzione delle Nazioni Unite incaricata di monitorare i cambiamenti climatici, lavora attraverso una struttura piramidale. Alla base ci sono tutti gli scienziati che pubblicano studi su tematiche che coinvolgono il clima. A un livello superiore ci sono 2500 "revisori", incaricati di vagliare la validità di queste pubblicazioni. Ancora più su ci sono 800 "contributors" del rapporto, mentre al vertice della piramide troviamo 450 "autori leader", divisi in tre gruppi di ricerca, che devono tirare le fila dell'immensa mole di materiale. Nel primo gruppo, il WG1, che ha realizzato il primo volume del rapporto pubblicato oggi a Parigi, c'è un solo italiano: Vincenzo Artale, climatologo dell'Enea, esperto su tematiche relative alla circolazione generale dell'oceano ed il suo ruolo sulla variabilità climatica.

Dottor Artale, secondo le indiscrezioni nell'Ipcc solo un'esigua minoranza sarebbe ancora scettica sulla natura dei cambiamenti climatici e sulle responsabilità umane. E' davvero così?
Sì, effettivamente, anch'io sono stato sorpreso di notare tanto consenso, tuttavia alcune conclusioni sono ancora abbastanza dibattute. Personalmente penso che tanto consenso potrebbe non far bene alla "causa" dei cambiamenti climatici, perché c'è ancora moltissimo da fare. Per certi aspetti siamo solo all'inizio dell'avventura.

C'è qualcuna delle conseguenze del riscaldamento globale che a suo avviso deve preoccupare più di altre?
Nel caso specifico dell'area mediterranea, certamente sono di straordinaria importanza ed enorme impatto. Probabilmente se dovessi dare delle priorità indicherei il problema dell'acqua e quindi della forte variabilità del ciclo idrologico che stiamo osservando da moltissimi anni: questo è un problema da affrontare immediatamente.

Questo è il quarto rapporto dell'Ipcc ed esce a distanza di sei anni da quello precedente. Quali sono le principali novità?
Penso che tra le novità principali di questo rapporto quella che maggiormente potrebbe incidere sul clima prossimo futuro è la diminuzione dell'estensione del ghiaccio del polo Nord, in quanto questa immissione di acqua dolce nel Nord Atlantico potrebbe alla lunga indebolire i meccanismi di trasporto di calore dall'Equatore alle alte latitudini (50-60N), che attualmente sono solo accennati (vedi il controverso articolo del 2005 su Science di Bryden) e in particolare indebolire i processi di convezione nel Labrador Sea e nei mari della Groenlandia e dell'Islanda, che si possono considerare il vero "volano" dell'intera circolazione oceanica. All'interno di questa problematica anche il nostro piccolo Mediterraneo, sul quale sono concentrate le mie ricerche per l'Enea, ha un ruolo "positivo" che contrasta, tramite il flusso di acque di origine mediterranea che scorrono verso nord a 1000 metri profondità nel Nord Atlantico, il ruolo "negativo" delle acque dolci dell'Artico.

Il rapporto è accompagnato da un grafico particolarmente esplicativo, con una curva di distribuzione di probabilità (tipo gaussiana) che si sposta nel corso degli anni: è quella che lei, per farsi capire dai non addetti ai lavori, illustra con la metafora della pallina e delle buche affiancate.
La metafora della doppia buca funziona bene in quanto il comportamento del sistema climatico non è un sistema deterministico ma un sistema caotico, fortemente dipendente dalle condizioni iniziali, basta una piccola incertezza, una piccola perturbazione alle condizioni iniziali che il sistema tende a divergere. Per sua natura manifesta dei comportamenti complessi ed irregolari. Per questo possiamo immaginare una pallina che sta in una delle due buche, continuamente sottoposta a delle piccole perturbazioni: in un regime lineare anche delle forti perturbazioni esterne riconducono la pallina in fondo alla tazza (ossia clima stabile), ma se la pallina sviluppa dei regimi irregolari, può entrare in risonanza e sviluppare dei moti che gli permettono di passare la soglia e andare nell'altra buca. Ovviamente questo modello rappresenta un paradigma concettuale qualitativo per far intuire quali potrebbero essere i meccanismi che si potrebbero instaurare, una volta raggiunta la soglia critica (che è difficile individuare!), processi fortemente nonlineari , per esempio innescati dalla CO2 e tutti i gas serra portandoci un clima fortemente variato rispetto a quello in cui abbiamo vissuto finora. In conclusione per alterare l'attuale stabilità del clima non servono dei disturbi enormi, ma dei disturbi, anche relativamente piccoli, ma che incidono direttamente nella dinamica complessa del sistema climatico, nei "Talloni d'Achille" del sistema. Il fondato timore è che alcuni fenomeni estremi come l'ondata di super caldo del 2003 e forti anomalie di pressione siano una manifestazione di questi disturbi.

E' possibile formulare delle ipotesi sul livello di temperatura o sul livello di anidride carbonica raggiunti i quali si passa da una "buca" all'altra?
Attualmente a simulazioni di scenari, la soglia è posta ad un livello di incremento di temperatura di 2°C e ad un raddoppio di CO2 rispetto all'era pre-industriale ossia circa 500ppm.

Siamo in grado di farci un'idea di quello che potrebbe aspettarci nella buca successiva, o siamo di fronte all'ignoto?
Quello che possiamo aspettarci è un'intensificazione di molti dei fenomeni che incominciano ad affacciarsi anche adesso nella nostra vita quotidiana, ossia molta più variabilità ed intensificazione di fenomeni diciamo "estremi", comunque l'intensità dipenderà molto dalle latitudini, per esempio nella fascia tropicale e sub tropicale si avranno maggior problemi di uragani e problemi relativi alla crescita del livello medio del mare. Nel Mediterraneo probabilmente potrebbero ripetersi eventi tipo quello del 2003 (heat waves) a causa di una maggiore estensione delle celle di Hadley (meccanismi di trasporto del calore relativo alla fascia tra l'equatore e 30°N ) verso le medie latitudini. In particolare nel Mediterraneo l'aumento di temperatura potrebbe indurre dei cambiamenti notevoli non solo nel ciclo idrologico ma soprattutto in quello bio-geochimico marino con notevoli conseguenze per la pesca ed il turismo. Penso comunque, interrompendo questa visione catastrofica del clima futuro, che noi abbiamo tutti gli strumenti teorici, sperimentali e tecnologici per rispondere a questa sfida, basta essere coscienti di che cosa si parla, che il clima è un problema molto complesso e non a caso è considerato da anni come uno dei Grand Challenge della scienza moderna, bisogna mettere in campo tutte le conoscenze teoriche per individuare i meccanismi responsabili (parzialmente sconosciuti) di tutta la variabilità climatica osservata, incluse le glaciazioni quindi, reti di osservazione globale e gli strumenti informatici più avanzati, come da anni stanno facendo Stati Uniti e Giappone e negli ultimi anni molti paesi europei, in particolare la Germania. Purtroppo di questo gruppo non fa parte l'Italia, che investe nella ricerca in generale e in quella climatica in particoalre, cifre irrisorie, piazzandosi agli ultimi posti tra le nazioni occidentali.

Eppure, parlando di previsioni climatiche a lungo termine, quasi sempre l'Italia viene vista come una delle zone più a rischio e più svantaggiate.
Sì, esattamente, un lavoro di Filippo Giorgi (del Bureau dell'Ipcc), sulla base delle simulazioni di scenario recentissime, indica l'area mediterranea ed il Centro America tra le aree più vulnerabili del pianeta.

Per contrastare i cambiamenti climatici in varie sedi sono state proposte una serie di misure per tagliare le emissioni di CO2. La convincono questi provvedimenti?
Mi convince molto il piano strategico dell'Unione Europea. Quella è la direzione giusta: puntare su modelli di crescita economica alternativi all'attuale modello di sviluppo basato su un uso irrazionale delle fonte primarie di energia: usare i cambiamenti climatici come un motore che ci innalzi verso un nuovo paradigma non solo scientifico ma di un nuovo modo di convivere tutti insieme su questo pianeta. E c'è solo una possibilità per realizzarlo: investendo nella cultura (e quindi nella ricerca) e nella tecnologia.

Vede qualche paese più avanti degli altri nel raccogliere la sfida del clima?
In questo momento vedo bene l'Europa in generale, ed in particolare la Germania, tra i paesi che stanno portando avanti strategie di ricerca innovative e contemporaneamente un tentativo di investire su un nuovo modo di consumare energia.

FONTE: http://www.repubblica.it
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