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Italia “partly free” nell’informazione
3.02.2007

Nessuno ne parla, nessuno lo sottolinea, nessuno lo segnala, dato che ormai tutti gli organi di stampa sono preoccupati di vedere come prosegue la “liaison” tra Silvio e Veronica: ma il rapporto di Freedom House 2005 è più che chiaro e inquietante sullo stato della libertà d’informazione in Italia, tanto da definirci come unica nazione “partly free”, ossia parzialmente libera, in tutta Europa. Nella classifica mondiale, invece, ci posizioniamo all’ottantesimo posto, dopo il Tongo e il Botswana, precedendo di poco Antigua, Barbuda e Burkina Faso.

E’, questo, un dato sconfortante e grave, che mette a pregiudizio il sistema democratico complessivo del nostro Paese: anche se siamo tra i 90 stati nel mondo classificati come democratici, contro i ben 103 Paesi classificati come dittatoriali, il preoccupante dato non giova di certo alla nostra libertà.

L’etere è suddiviso ampiamente tra due oligopoli, Mediaset e RAI, entrambe emittenti televisive soggette all’influenza partitica e all’interferenza del potere istituzionale ed economico; le testate giornalistiche sono quasi spesso proprietà di magnati dell’alta finanza, oppure del mondo imprenditoriale, dove gli stessi giornalisti dipendenti, spesso precari, vengono sottoposti alle direttive vincolanti del “padrone”, pena il loro licenziamento. Il dato rilevato sullo stato dell’informazione in Italia peggiora ogni anni, dato che nel 2004 ci posizionavamo al settantaquattresimo posto. Ci stiamo scavando la fossa? Direi che l’allarme, ora suonato, debba spingere a considerare come urgenti provvedimenti utili a risolvere questa insostenibile situazione. Negli ultimi anni sono aumentati, infine, i procedimenti, istruiti, soprattutto da parte di figure del mondo istituzionale ed economico, contro alcuni giornalisti, perseguiti in quanto hanno liberamente fatto il proprio lavoro, ossia di informare la cittadinanza in modo adeguato, autonomo, libero e indipendente. I casi più odiosi sono quelli che hanno riguardato il giornalista Massimiliano Melilli, condannato a 18 mesi di carcere ed al pagamento di 100.000 euro (124.400 dollari), e Lino Jannuzzi condannato, mentre era senatore, agli arresti domiciliari nel luglio 2004, attenuando una precedente condanna del 2002 di 29 mesi di carcere per diffamazione. Giace in Parlamento una proposta di legge che provvede a eliminare il reato di diffamazione mezzo stampa, garantendo, così, la piena autonomia da parte dei giornalisti di poter esercitare liberamente la loro professione. Ma, a parere mio, è solo un pannicello caldo contro una malaria: occorrono, oltre a questa egregia disposizione, misure come la liberalizzazione delle frequenze televisive e l’eliminazione della possibilità per le imprese, soprattutto istituti bancari e finanziari, di poter impossessarsi di una casa editrice di quotidiani o di riviste. Infine occorre una riforma della RAI complessiva tale da affrancarla dall’ingerenza parlamentare della vecchia e deleteria lottizzazione partitica. Procedere su questa strada è un dovere istituzionale vista l’emergenza “media” devastante il nostro Paese. Attendere ulteriormente aggraverebbe la situazione, fino a diventare irreversibile per il progressivo consolidarsi di poteri e di oligarchie.

 

Alessandro Rizzo

 

 

 

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