Paola Gaiotti de Biase discute un intervento di Rocco Buttiglione su La Repubblica con una lettera inviata a Corrado Augias che pubblichiamo di seguito
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Caro Augias,
trovo impressionante ma estremamente significativa, la superficialità storica di una cosidetto intellettuale come Rocco Buttiglione nel numero di oggi 8 febbraio su Repubblica, in una lettura del rapporto fra Chiesa e modernità che falsa l'esperienza di più di un secolo e di più di una generazione . Il fatto è che, per fortuna, la Chiesa si è largamente, anche se con tutte le distinzioni necessarie e qualche volta a fatica, convertita alla modernità finendo con l' accettare inevitabilmente, proprio in ragione della intrinseca coerenza cristiana, la sfida della modernità : dalla cultura dei diritti alla democrazia, dalla difesa del lavoro operaio al nuovo ruolo delle donne, dal riconoscimento del ruolo dei laici alla rilettura cristiana del valore intrinseco della sessualità , dal primato della coscienza alla laicità dello Stato, e perfino, con Paolo VI al valore provvidenziale della fine dello Stato temporale. Se non ci fosse stato, malgrado tante resistenze interne, questo processo di adeguamento , la Chiesa non sarebbe nemmeno in grado oggi di pronunciare una difesa della famiglia (quale, quella dell'Ottocento?) di mobilitare i cattolici in una direzione politica o nell' altra. La semplificazione che assimila secolarizzazione e perdita della fede, e la identifica tutta con un relativismo etico, che nella vita reale è stato largamente praticato anche nei secoli passati, tradisce tutta l' esperienza di generazioni cresciute in una scelta di fede profondamente impregnata dei "valori moderni" perchè tali da favorire un ritorno alla essenzialità e sobrietà evangelica, al primato della coscienza, alla solidarietà con l' altro, al primato della testimonianza sulla legge.
Si il progressismo cattolico è nato pensando di convertire alla modernità la Chiesa e le coscienze credenti; e c'è riuscito assai più di quanto non appaia oggi da una logica di scontro in cui la Chiesa rischia di tradire la propria testimonianza d' amore. Ed è questo progressismo cattolico, da Rosmini, Sturzo, De Gasperi, Dossetti, Vanoni, Moro che ha culturalmente prevalso sulla cultura comunista e proprio grazie a un rispetto dell' altro, delle sue verità ( dell'errante non dell' errore, diceva Giovanni XXII), della sua libertà , a una elaborazione culturale originale e aperta, non certo grazie a quella logica di scontro che ha portato ai due clamorosi fallimenti " cattolici " i due autogol dei referendum sul divorzio e sull'aborto.
Oggi il frutto di quella logica di scontro, anzichè di ricercare delle mediazioni ragionevoli, fa si che vanno paradossalmente insieme l'assimilazione di tutta la cultura laica, nel senso di non credente, a quel relativismo che è in pratica il prodotto soprattutto di una banalizzazione sessuale e di un consumismo programmati coscientemente dai nuovi media commerciali, e la legittimazione come più affidabile di una classe politica che è il frutto di quella operazione politica.
E non si tiene conto invece che la stessa spinta a riconoscere i diritti delle convivenze raccoglie quei principi cattolici legati alla inevitabile pubblicità e solidarietà nel tempo dei rapporti di coppia, (una volta iesaltatirubric nel principio "l'amore è fatto privato"); esprime un desiderio, un obiettivo, di tendenza alla stabilità del rapporto di coppia, una novità che dovrebbe essere raccolta come provvidenziale e comunque preferibile, per omosessuali e per eterosessuali, al sesso selvaggio.
La Chiesa, io ritengo, non ha su questi temi oggi il consenso del laicato cattolico più impegnato e spiritualmente avvertito e dovrebbe preoccuparsi di più degli effetti futuri di questo distacco.
Paola Gaiotti de Biase