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Don Vesuvio ha curato il malessere sociale
18.02.2007

di Francesco de Notaris, 15 Febbraio 2007

Uno strano tipo vestito da straccione, negli anni del dopoguerra a Napoli girava per le strade dove dormiva. Incontrava ragazzi orfani, scugnizzi, piccoli sbandati e li invitava a costruire insieme un tetto, a mangiare senza rubare, a studiare.

Era soprannominato "naso stuorto". Nessuno, tranne il suo Vescovo, ne conosceva il nome. Dopo anni disse che era un prete e fu chiamato "don Vesuvio".

L'altro giorno don Mario Borrelli sociologo e teologo a 82 anni ci ha lasciati. Dal 1971 non era più sacerdote ed era rimasto un buon cristiano.

Ma chi lo conosceva lo ha sempre chiamato don Mario. Si era laureato in Inghilterra. Notissimo in Olanda, in Australia. Film e libri su di lui.

Eleanor Roosvelt lo presentò negli Stati Uniti. Tra i libri scritti da don Vesuvio, "Napoli d'oro e di stracci": titolo ben appropriato.

Fondò la "Casa dello Scugnizzo" ed andava in giro di giorno con un carretto per raccogliere roba vecchia e stracci.

Diceva Mario Borrelli, senza ostentazione e con ritrosia, a chi gli chiedeva di ricordare il passato ,che "gli scugnizzi vagabondi erano solo i sintomi di un malessere sociale: bastava curare questo male e gli scugnizzi sarebbero spariti".

La sua vita è stata una lezione. I suoi scugnizzi lo ricordano con affetto e riconoscenza. Le istituzioni napoletane lo hanno sempre visto con supponenza e fastidio.

Ricordo di aver partecipato ad un incontro con lui su tematiche sociali e non dimentico il suo sorrisetto ironico mentre un professorino burocrate e ignaro credeva di spiegare a quel vecchietto sconosciuto le linee della "politica sociale".

Scrisse Borrelli una riflessione per un mio libro ed io ne riporto qualche brano perchè le sue parole servono per tutti noi che siamo in politica.

"...Il dilemma è sapere che cosa significa la nostra parola, da dove parte e cosa vuole...Ci siamo fatti prigionieri della parola. La parola si è staccata dalla persona come strumento o paravento o difesa. Chi parla quando nessuno vuol sentire parla a se stesso. E se uno parla a se stesso, perchè parla? Ha poco senso chiamare uno ladro se si tollera che continui a rubare.Può darsi che i ladri chiamino noi allo stesso modo perchè hanno la pretesa di darci da vivere. La parola esprime una realtà, ma se la realtà è ferma non sarà la parola a cambiarla. Se la parola esprime una realtà ingiusta è implicito che la giustizia è frutto di fatti non di parole giuste. La parola può diventare mitologia corrente che non salva nessuno...Come si può essere uguali se siamo uguali solo a noi stessi? Allo stesso modo la solidarietà è possibile tra gli uguali, tra quelli che partecipano allo stesso modo al potere e alle risorse. Una solidarietà che è solo partecipazione di risorse e non di potere è una solidarietà tra disuguali che crea soltanto maggiore dipendenza e servitù. La parola può diventare denuncia sempre che il giudice che deve riceverla è in condizione di essere giudicato. La parola può essere uno strumento di sapere. Ma se i sapienti parlano tra loro per non farsi capire dagli altri e la loro incomunicabilità è l'esaltazione della loro capacità di sapere, l'ignoranza tra tanto marasma si trasforma in beatitudine. Se la sapienza diventa potere, il sapere-potere senza i sapienti si fa il fratello spurio dell'ignoranza. Se si sa senza il diritto di sapere c'è il rischio che ti spengano anche la bocca che esprime questo sapere. E se si sa solo per delega o per autorità che cavolo di sapere è? La parola può diventare speranza. Ma se oggi è il domani di ieri, la speranza deve avere le sue radici nell'oggi per concretarsi domani. Non si può esorcizzare un oggi vuoto con la speranza che il domani diventi diverso pei fatti suoi... Se i semi del nostro futuro non sono nel nostro presente passeremo alla storia come muti testimoni di una città morta. Quale alternativa resta al 'silenzio della ragione'? La protezione dei santi morti che tardano a fare miracoli o dei santi vivi che non sentono la responsabilità di operarli?.

La speranza non può esaurirsi in un futuro di cose da possedere ma in un futuro di uomini disposti a cambiarsi. Se permane un'atmosfera di emergenza, di anormalità, di eccezionalità,di escatologia, di messianismo sociale, i piani futuri saranno concepiti in un contesto di dipendenza e di servitù.

Quante parole per non parlare più e per liberarsi definitivamente da tante parole! La Parola si è fatta carne e si è tuffata nel nulla e si è nascosta tra gli uomini nel silenzio e nel dolore e si è fatta luce, forza, sostegno, speranza concreta e resurrezione. I rami sono le radici del cielo, come le radici sono i rami della terra. Rifacciamoci con fatica e dolore le nuove radici anche se l'albero sta imputridendo, da liberi e giusti e solidali con tutti quelli cui la storia degli umani ha riservato lo stesso disumano destino sociale".

Le parole di don Borrelli hanno testimoniato e generato "fatti". E' la politica!

Nella foto: Mario Borrelli con un suo ex-scugnizzo, Raffaele ROTA, attuale dipendente della Casa dello Scugnizzo

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