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I Pacs all'epoca di Cristoforo Colombo
19.02.2007

Una promessa scritta reciproca di "stare, abitare e vivere come fratelli e veri soci in comunione e fraternità e di dividere il pane e il vitto come è giusto che sia" (di Michela Bompiani)

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Francesco de Barlis, maestro di scuola, e Giorgio Ardizzone, mastro cartaio, all´hora nona del 26 novembre 1482, si recano dall´eminente notaio Andrea De Cairo, pure cancelliere della Curia, che proprio sotto la dimora dell´arcivescovo ha l´ufficio.

Un "proto-Pacs" medievale. Si promettono reciprocamente di «stare, abitare e vivere come fratelli e veri soci in comunione, società e fraternità e di dividere il pane e il vino e il vitto, come è giusto che sia». E questo sarà «in perpetuum», per sempre, e in modo che «questa società, in nessun tempo, possa essere dissolta nella loro vita e finché vivranno». Francesco e Giorgio - come si legge in uno dei documenti ritrovati, che Repubblica ha potuto visionare - si presentano davanti al notaio puro corde, con cuore puro. E l´espressione non sembra casuale, ma mirata a mettere in fuga ogni maldicenza. Sono spinti a stipulare questo accordo da espliciti sentimenti di affectio, dilectio, benevolentia, e confidentia che li legano. E questi termini, spiega Alfonso Assini, direttore coordinatore dell´Archivio di Stato di Genova, sono davvero molto forti. Scritti da un notaio che sapeva ben calibrare, come tutti i suoi colleghi, ogni parola. È ovvio non trovare alcun cenno più esplicito al legame tra i due contraenti, perché siamo nel Medioevo e la sodomia, ricorda Assini, era uno dei peccati più gravi, punti con la morte.

Ciò non toglie, con buona pace dei "teodem", che fu proprio De Cairo, un notaio che molto lavorò per la Curia genovese e per il suo arcivescovo, a redigere almeno tre atti del genere, contratti nella seconda metà del Quattrocento tra persone dello stesso sesso. In tutti i casi, due uomini. Li ha scoperti, per caso, Valentina Ruzzin, archivista, che insieme ad altre quattro studiose, sta lavorando al progetto di riordino del "Fondo notai antichi" all´Archivio di Stato di Genova, diretto da Paola Caroli, e sotto il coordinamento scientifico di Assini e della Società ligure di Storia Patria. Il progetto, della durata di quattro anni, è finanziato dalla Direzione generale degli Archivi, del Ministero dei Beni culturali. Il gruppo di lavoro ha il compito di riordinare i fogli scompaginati di oltre 1300 filze, riattribuendo a ciascun notaio gli atti effettivamente redatti. Spesso non occorre leggere i documenti, ma talvolta il testo aiuta a stabilirne la paternità: ecco perché Ruzzin è incappata in questi clamorosi atti. Almeno sei, di notai diversi, ma emersi da una lettura appunto sporadica.

In questo "pacs" medievale, viene anche regolata l´eredità: «Quando uno dei due uomini morirà, l´altro sarà erede e successore di tutti i beni». Il documento si conclude con la descrizione di una breve cerimonia con cui Francesco e Giorgio sanciscono ciò che si sono appena promessi: «Per dare solennità a quest´atto, i due si abbracciano, si stringono la mano, e si scambiano un bacio di pace». Un gesto, quest´ultimo, che non indica nulla, chiarisce Assini, perché era pratica comune scambiarsi un bacio, ad accordo concluso. Ad aver ulteriormente incuriosito Assini e le studiose è il numero di testimoni, citati in fondo all´atto. «Normalmente erano due - spiega Assini - in questo atto e negli analoghi sono cinque, tanti si convocavano solo per i testamenti». Questo, dunque, potrebbe essere indizio della delicatezza e dell´importanza del documento.

Non solo. La scelta di Andrea De Cairo, notaio eminente e attivissimo nei lavori della Curia, potrebbe essere stata necessaria e anche strategica. «De Cairo aveva una pratica immensa, solo un notaio con tanta e tale esperienza garantiva un atto di questo tipo con le formule giuste, incontestabili - riflette Assini e aggiunge - e poi, forse, non è da escludere che la sua preminenza nell´ambito ecclesiastico potesse mettere al riparo da sospetti un tipo di contratto del genere».

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L´INTERVISTA

Parla la docente di Storia medievale: atti interessantissimi, ma la scoperta non deve stupire

Airaldi: "La società del Quattrocento non era ipocrita come la nostra"

le parole "giuste" Affetto e benevolenza, ma nessun riferimento all´omosessualità che era uno dei peccati più gravi

Gli antichi genovesi si rivolgevano al notaio anche per stilare le regole dei rapporti con le loro amanti

«Potrebbero essere antichi "pacs", i documenti scoperti all´Archivio di Stato di Genova, ma devono ancora essere studiati. È certo che la società medievale non era ipocrita come la nostra»: Gabriella Airaldi, docente di Storia medievale alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell´Università di Genova, commenta così la clamorosa scoperta.

Professoressa, in uno dei documenti si descrive il legame tra i due uomini con "dilectio", "affectio", "benevolentia", "confidentia".

«Questi termini sono specifici: per questo il documento mi pare molto interessante. Il valore delle parole, in questo tipo di atti, è fondamentale: venivano scelte e soppesate con cura. Per stabilire il contratto tra coniugi, ad esempio, si parlava di "affectio maritalis", e in questo documento torna proprio quella parola. E certo non si poteva andare oltre... «.

Perché?

«Se tra i due signori ci fosse stato un rapporto sentimentale, non sarebbe stato certo trascritto, perché l´omosessualità era uno dei peccati più terribili. Anche se nel Medioevo era diffusissima, lo confermano i molti studi specifici che sono stai condotti»

Cosa spinse un maestro di scuola e un cartaio a rivolgersi al notaio?

«Dobbiamo partire da un presupposto fondamentale. La società medievale genovese ricorreva al notaio per tutto. Era il riferimento principale, l´unico ad avere la potestà pubblica di redigere atti che avessero validità universale. Si facevano contratti per ogni cosa, da quelli matrimoniali a quelli commerciali: anche tra gli uomini e le proprie concubine»

Un contratto con la concubina?

«Certo, si chiamavano atti di concubinato. In cui si regolavano i rapporti reciproci con la propria amante. Dobbiamo fare un balzo, per capire tutto questo: noi applichiamo a questi documenti la nostra cultura, che è fortemente impregnata della morale che arriva dal Concilio di Trento. Per leggere con la dovuta scientificità, dobbiamo saltare al di là del Concilio»

È possibile: gli uomini medievali avevano una mentalità molto più aperta di quelli del XXI secolo?

«È proprio così: moralmente le cose andavano in modo molto diverso da oggi. Non esisteva questa ipocrisia cui assistiamo, che spinge a correggere ogni minuto, e continuamente, il testo sui Pacs. Era una società, quella medievale, meno organizzata, a maglie più larghe, ma sostanzialmente più serena. C´erano, certo, le regole, ma c´era anche molto più spazio per le eccezioni»

Quindi non la stupisce che sia un cancelliere dell´arcivescovo a rogare un antenato dei "Pacs"?

«Per niente. La famiglia allora aveva confini tanto più grandi: era normale avere figli fuori dal matrimonio, così come era diffusissimo che gli uomini di Chiesa avessero figli»

E le donne?

«Anche le donne genovesi erano attive nella società e ricorrevano spesso al notaio, soprattutto per atti commerciali. È naturale, Genova era una città anomala, un porto, aperta per definizione: gli uomini stavano via, in mare, per mesi e mesi, e a mandare avanti le attività di famiglia ci pensavano, ed erano bravissime, le donne»

Dunque, cosa pensa dei "proto-Pacs" scoperti a Genova?

«Che sono atti interessantissimi, e soprattutto in questo momento, perché raccontano come le esigenze degli uomini non cambino attraverso i secoli. Ma non sono per nulla stupita della scoperta: chi conosce il Medioevo, sa che quella società era molto più aperta della nostra. Bisogna incominciare a conoscere il Medioevo per quello che era, non per quello che pensiamo sia stato».

(m.b.)

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Dal sito di Grillini, un'interessante documentazione, che cita un articolo da La Repubblica del venerdì 09 febbraio 2007.

 

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