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Una veduta dal ponte (Furio Colombo in www.unita.it)
25.02.2007

Il senatore Kennedy telefona la mattina di giovedì 22 febbraio alle 8.30 ora di Washington, le 14.30 italiane. Ha appena visto nei telegiornali del mattino l'esplosione di furore tribale di una parte del Senato italiano, la manifestazione di incontenibile festa, persone adulte e anche anziane che saltano e urlano e tirano carta straccia di giornali nell'aria. Kennedy, che è attivo nella vita politica dal 1960, non ha mai visto una scena simile, non in Occidente, ed è molto curioso di sapere che cosa può essere accaduto per determinare una tale reazione. Non lo dice ma deve aver pensato: «Neanche nelle peggiori strade di Baghdad quando hanno impiccato Saddam Hussein». Invece dice, dopo aver ascoltato le spiegazioni: «Se noi dovessimo fare dimostrazioni del genere ogni volta che i repubblicani vincono con voti democratici o noi democratici vinciamo con voti repubblicani (e per fortuna accade sempre più spesso) qui in Campidoglio ci sarebbero urla e grida ogni giorno. Come sai noi lavoriamo ogni giorno con un voto di differenza.

Non ci sarà un'altra spiegazione?». Non posso dargli la spiegazione, anche perché Kennedy deve correre in aula a votare (quel giorno i democratici avranno tre voti repubblicani in più; e batteranno di nuovo senza urla, il partito e le richieste del presidente). Mi limito a ricordargli che, a causa di una strana e assurda legge elettorale, detta «la porcata», noi italiani siamo obbligati ad avere due Camere con uguali prerogative e doveri ma elette con un sistema diverso, in modo che non si possa governare.

Dice l'anziano senatore del Massachusetts: «Ah, sì, la antica strategia: prima di andarsene hanno avvelenato i pozzi. Bene, è chiaro che dovete subito cambiare la legge elettorale». E corre a votare in un Senato dove la differenza di un voto non è una vergogna e non ferisce l'istituzione.

Mi ricorda che in politica estera, i governi democratici si sostengono quasi sempre con voti di entrambi le parti. Per esempio nei due ultimi voti di pace o guerra americani. E adesso, nella larga opposizione parlamentare alla continuazione della guerra in Iraq, in cui sempre più repubblicani votano con i democratici contro le proposte di Bush e di Cheney, benché il voto di maggioranza dei democratici rispetto ai repubblicani sia uno solo.

La sera dello stesso giorno c'è un incontro alla Ambasciata americana, fra parlamentari italiani e parlamentari americani delle rispettive Commissioni esteri (il tema è in particolare l'Alleanza atlantica e dunque anche l'Afghanistan). Per caso i parlamentari Usa sono quasi tutti democratici e non hanno alcuna difficoltà a dire, almeno nelle conversazioni personali, il loro dissenso su molti aspetti cruciali dal loro presidente.

Ma hanno visto lo Herald Tribune della mattina di giovedì e anch'essi sono incuriositi e perplessi. «Ricapitoliamo - mi dice uno di loro al centro di un gruppo. Il vostro ministro degli Esteri dice che la nostra alleanza continua, che l'impegno italiano in Afghanistan continua, ha due soli oppositori nella sinistra estrema, due soli che gli votano contro. Però tutta la destra celebra quei due voti come la loro più grande vittoria. Ma quella non è destra di Berlusconi»? Per fortuna è un incontro amichevole e alcune cose si possono lasciare in sospeso. Infatti restano in sospeso anche in Italia.

Resta in sospeso, per esempio, ciò che il senatore a vita Giulio Andreotti ha dichiarato a Jan Fisher del New York Times, che ne scrive, citandolo fra virgolette, il successivo venerdì 23 aprile: «Ma io non credevo affatto che il mio voto avrebbe fatto mancare la maggioranza e portato alle dimissioni del governo. Se lo avessi saputo, non avrei votato no».

Certo il senatore Andreotti può dire che non si aspettava la inspiegabile e inspiegata defezione di Rossi e Turigliatto. Fin qui ha ragione. Ma il suo voto su una materia così importante è stata una persuasione o una dimostrazione?

Resta in sospeso la questione «voto dei senatori a vita». Questi voti non devono contare, ha detto, scandendo le parole, Gianfranco Fini al Quirinale, con l'aria di introdurre un forte elemento moralizzatore nella vita pubblica, e senza rendersi conto di contraddire la Costituzione. Ma allora perché, nel minimo scarto che ha diviso la maggioranza dalla opposizione nel voto sulla politica estera italiana, i tre voti dei senatori a vita Andreotti, Pininfarina e Cossiga sono stati salutati come la presa della Bastiglia?

Con che faccia Fini ha fatto la sua dichiarazione, pur sapendo che la sua parte non avrebbe vinto senza quei voti salutati con una dimostrazione da curva di stadio?

Il caso di Pininfarina resterà tra gli aneddoti del Parlamento anche fra molti anni, quando una nuova legge elettorale avrà fatto dimenticare la «porcata» di Calderoli, e si potrà partecipare senza imbarazzo alla vita parlamentare. Il senatore a vita Pininfarina è entrato disorientato e incerto sul dove sedersi, poiché veniva in Senato solo per la seconda o la terza volta dopo la sua nomina. Non credo che sia andato sui banchi della destra per disattenzione.

Probabilmente ha visto qualcuno che conosceva.

Ma quel qualcuno, a lui che deve avere onestamente detto «non so proprio come votare» perché arrivava in quel momento, gli ha perfidamente consigliato: «allora astieniti». Perché perfidamente?

Perché è un consiglio disonesto. «Astensione», in Senato, significa «voto negativo» tale e quale come il no. Stranezze del regolamento, ma è così e a Pininfarina non è stato detto. O meglio ha cercato di dirglielo il suo vecchio e rispettato amico Valerio Zanone, che si è accostato per spiegarglielo.

Chi ripetesse in un film la scena di insulti, di rabbia, di furore, di intimidazione, di urla che si è scatenata contro il senatore Zanone, che avrebbe voluto spiegare a Pininfarina il senso della astensione in questo ramo del Parlamento, sarebbe accusato di farsa, o di esagerazione e anche di malevola presa in giro della vita parlamentare italiana.

Ma questa malevola presa in giro è ciò che si ripete nell'aula del Senato, avvelenata dalla legge Calderoli, ogni giorno. Per questo stupisce, ma un poco anche indigna, l'editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 24 febbraio. Scrive: «Per durare Prodi dovrebbe stabilire rapporti meno conflittuali con il centrodestra. In un modo o nell'altro, l'epoca delle sberle quotidiane all'opposizione è finita». Eppure è impossibile che il politologo Panebianco non abbia, in casa o in studio o in ufficio, nel normale «pacchetto Sky», anche il canale che gli consente di assistere in tempo reale a ciò che avviene in Senato.

Gli basterebbe un giorno, un giorno qualunque, per vedere che cosa accade, con quali espressioni, e gesti e parole (che sono epiteti, insulti, vere e proprie maledizioni, come fra i protagonisti di una faida) si svolgono le normali sedute al Senato. Gli basterebbe sintonizzarsi a caso, anche in momenti che allo spettatore distratto possono apparire noiosi, per constatare con quale puntiglio ostruzionistico viene rallentato il passaggio di ogni atto legislativo. Esempio. Nella mattina di giovedì 22 febbraio, mentre era in discussione ed è stata votata e approvata la conversione in legge di un decreto che stava per scadere (dunque il tipico atto dovuto di un Parlamento), il senatore Carrara ha chiesto cinquantasei volte di seguito la verifica del numero legale (che è sempre risultato esserci). Lo scopo? Rallentare il più possibile o rinviare una votazione che non poteva impedire.

Tutto ciò avviene in uno spirito di guerra continua che certamente gli elettori del centrodestra approvano. Eppure ha scritto Panebianco, che «è ora di finirla con le sberle all'opposizione». Non resta che pregarlo di smettere di guardare Porta a Porta e di sintonizzarsi sul canale di Sky, dal quale può vedere chi dà le sberle a chi, per capire se, quando, come si può smettere di dare sberle. E spiegare come e con chi è possibile creare un passaggio di normale e reciproco rispetto. Tanto più che questo rispetto esiste nel lavoro delle Commissioni. Segno che in aula prevale, invece, (imposta dai capigruppo che hanno ordini diretti) il comando di Berlusconi. Quale comando? Tutto ciò per fortuna si è visto subito nelle truculente dichiarazioni che Berlusconi ha prontamente rilasciato nel corso delle consultazioni del Presidente Napolitano.

Intendo dire: è una fortuna per la democrazia che Berlusconi non riesca a contenersi e a fingere compostezza e spirito costituzionale quando dichiara. Alla democrazia e alla scelta, sia pure da lui sabotata, degli elettori lui torna, prontamente, a dichiarare guerra.

Come ai tempi in cui governava.

Tutto ciò spiega la strategia intimidatoria che ha imposto ai suoi: inferocirsi, anche nel modo più teppistico, con i senatori a vita, in modo da scoraggiarli dall'usare il loro diritto di voto garantito dalla Costituzione. Salvo accogliere quei voti, con grandi festeggiamenti, se sono a loro favore. E troncare in aula ogni rapporto di rispetto per l'istituzione, il suo presidente o gli altri senatori della maggioranza in modo da impedire ogni possibilità di lavoro in quel ramo del Parlamento.

Nonostante la legge elettorale che ha reso così difficile la vita del Senato, non è l'esiguità dei numeri la novità italiana che sorprende il mondo. E' la violenza costante e l'esercizio teppistico di rapporti anche fisici di forza (se Zanone non si fosse allontanato subito dal banco in cui sedeva Pininfarina sarebbe certamente seguita l'aggressione fisica) che segnano ogni giornata parlamentare.

È andata bene, nonostante tutto? Diciamo che abbiamo costruito un ponte di barche su cui speriamo di attraversare un tratto di questo brutto momento italiano nel quale si vuol rendere impossibile la normale funzione istituzionale del governo. Da quel ponte pare di capire che ognuno di questa maggioranza farà, cominciando dalla disciplina , tutto il suo meglio.

Diciamo che a quel meglio e a quella disciplina sarà necessario aggiungere altri due punti al memorandum prodiano.

Uno è il cambiamento della legge elettorale, in modo che, se sarà necessario, potremo andare a votare con dignità e lontano dalla «porcata» di Calderoli. L'altro è la legge sul conflitto di interessi. Controprova: subito dopo il voto negativo di Rossi e Turigliatto contro la relazione di D'Alema sulla politica estera italiana, Mediaset, proprietà Berlusconi, ha avuto una impennata in Borsa per un totale di cinquanta milioni di euro. L'uomo simbolo del più grande conflitto di interessi fra politica e affari in corso in Occidente, ha guadagnato pronto cassa una cifra notevole che, immaginiamo, vorrà spartire con i suoi procacciatori di affari (le briciole, s'intende), soprattutto per ringraziarli dell'enfasi - che certo ha incoraggiato la Borsa - con cui hanno proceduto alla dovuta celebrazione.

Se avremo votato queste due leggi, potremo andare a casa con orgoglio in qualunque momento, certi di avere liberato questo Paese dal peggio. Per ora ci conforta - in questa brutta giornata - la condanna di Cesare Previti, e dunque del sistema e del mondo berlusconiano, nella sentenza d'appello sul "Lodo Mondatori" (corruzione e acquisto di giudice corrotto). Ma dobbiamo convenire che non si può lasciare alla magistratura tutto il compito della disinfezione del Paese.

La fine dell'emergenza spetta alla politica, dunque Camera, Senato e partiti che devono fare la loro parte. Dovremo fare in fretta, appena avremo cominciato a passare sul ponte di barche che il presidente della Repubblica ha accettato di lasciarci provare a costruire.

da www.unita.it del 22 febbraio 207

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