Alle volte vale la pena rileggere, qualche tempo dopo, valutazioni e cronache su vicende trascorse, nemmeno da troppo tempo. Anzi, praticamente da ieri.
Cade il Governo. Troppi senatori non si chiedono che ne pensano gli elettori
di Francesco de Notaris
In queste ore l'orientamento per l'avvio della risoluzione della crisi di Governo è avviato. La storia e una buona dose di cinismo, se così si può dire, ci hanno insegnato che morto un Governo se ne fa un altro, così come quando muore un Papa viene eletto il successore.
Non sto a far conteggi sull'esito del voto del Mercoledì delle ceneri al Senato o a fare ipotesi arbitrarie: se i due Senatori dell'Unione avessero votato a favore con quorum modificato,se qualche senatore a vita assente fosse stato presente o viceversa, se avesse votato il Presidente del Senato (che per prassi si astiene), se il Presidente fosse stato dell'altro schieramento o se qualche senatore eletto nell'Unione non avesse tradito e così via.
I politologi si sono espressi e, visto che le loro previsioni sono risultate quasi tutte fasulle (vedi i commenti del 21 u.s.), attendiamo i fatti, anche se le esercitazioni sul futuro possono avere qualche rilevanza come genere letterario.
Desidero invece fare una brevissima riflessione su un dato che mi ha colpito colloquiando , al Senato,con alcuni Parlamentari dell'uno e dell'altro schieramento, subito dopo il voto. Ognuno immaginava scenari possibili, ognuno tentava di interpretare la volontà di quanti, per Costituzione, sono responsabili dello Stato.
Tutti parlavano di bipolarismo, allargamento della maggioranza, scioglimento delle Camere, nuove elezioni, richiesta di fiducia per il governo dimissionario, nuovo incarico al Presidente del Consiglio o ad altra personalità .
Devo dire che non ho ascoltato alcuno che si chiedeva come avrebbe reagito il Paese, quali gli interessi veri dell'Italia, quali le possibili valutazioni dei cittadini che lo avevano eletto.
Ed ecco che il pensiero è andato a questa legge elettorale che ha anche spezzato il rapporto che legava l'eletto all'elettore, il parlamentare al territorio, agli interessi veri di persone, gruppi sociali, categorie, ambiti geografici.
L'esercizio delle funzioni senza vincolo di mandato in rappresentanza della Nazione, come recita l'art.67 della Costituzione, appare distorto da un vincolo di mandato che sembra provenire soltanto dall'interno stesso dei Partiti, per volontà di pochi.
Questi Parlamentari designati dai Partiti, messi in lista in ordine precostituito ed eletti secondo previsioni relative a percentuali di consenso più o meno previste, liberati dal voto di preferenza e dal vero confronto e consenso sono lontani dalla gente e quasi estranei ad ampie circoscrizioni ellettorali.
La politica è sempre più lontana, legge con difficoltà la storia e la storia dei cittadini e decide creando talvolta, ulteriore confusione, fratture e conseguente sfiducia.
Soltanto i leaders, attraverso i mezzi di comunicazione sociale o in incontri di massa senza dialogo sostanziale, hanno un atipico rapporto con quella che viene definita, in maniera superficiale, la 'base'.
Ricordo che in momenti di crisi, negli anni scorsi, in presenza di altre leggi elettorali, ci si preoccupava di ritornare tra gli elettori per illustrare, chiarire, confrontarsi, avere suggerimenti.
Occorre modificare questa legge che non ha dato alcun frutto positivo.
I parlamentari non sentono di essere espressione di comunità vere, di interessi leciti diffusi; essi non sentono sul collo 'il fiato' del cittadino, non hanno la preoccupazione di orientare i propri comportamenti politici rispettando la volontà di veri elettori identificati ed identificabili, pur dovendo essere sostanzialmente liberi nell'esercitare il mandato: libertà alta, virtuosa, politicamente di elevato spessore valoriale, coerente al progetto e al programma di Governo cui si è data l'adesione.
Occorre , ripeto, modificare questa legge elettorale per rendere i Parlamentari prossimi agli elettori, candidando personalità anche amate dalla gente, che sappiano guardare agli interessi comuni, capaci finanche di rinunciare a piccoli obiettivi personali.
Certamente la ingegneria istituzionale avrà il proprio posto, le regole dovranno essere scritte ma "il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato" come afferma il Vangelo.
Sono speranzoso che questa crisi di Governo, nata anche all'interno del Palazzo, con comportamenti schizofrenici, in nome di esigenze invocate anche a sproposito, rispetto a un bene più ampio, offra insegnamenti anche al nostro Presidente del Consiglio e a tutto il Parlamento perchè nella scelta degli uomini e nel disegno delle leggi si sia sempre più aderenti ai bisogni autentici e a quelli dei più deboli, la cui voce è fioca e inascoltata, anzi non ha accesso tra le istanze da prendere in considerazione da parte di chi decide.
Diceva Papa Giovanni:" la mia finestra è sempre illuminata, la mia porta è sempre aperta".
Scusate la finta banalità ...da noi i telefoni dei potenti squillano a vuoto...e i collaboratori sempre in riunioni: occupati!