19.03.2007
da www.repubblica.it del 18 marzo 2007
Quattro anni dopo, il Dio degli italiani sembra meno "relativo". È
ciò che suggerisce l'indagine sul rapporto fra gli italiani e la
religione, condotta da Demos-Eurisko, sulla traccia di un sondaggio
realizzato nel 2003.
Le persone disposte a considerare le differenze religiose come
espressioni diverse di una medesima fede, infatti, oggi sono il 58%.
La maggioranza. Ma quasi 10 punti percentuali in meno rispetto al
2003. Parallelamente, è cresciuta la quota di quanti affermano la
verità "assoluta" del loro credo religioso.
Dal 16% al 23% della popolazione. Rispetto a qualche anno fa, dirsi
cattolici, oggi, è quindi motivo di distinzione. D'altronde, è ciò
che si era proposto Benedetto XVI, nel momento d'avvio del suo
pontificato. "Sfidare" il relativismo di questa societÃ
secolarizzata, in cui la religione, in particolare quella cristiana,
non è più in grado di "fare" la differenza.
Oggi qualcosa è cambiato. Lo si coglie nell'etica sociale e nei
valori personali. Come dimostra il ridimensionamento sensibile della
tolleranza verso una serie di comportamenti relativi alla vita, alla
famiglia, alla sessualità . Nel caso del "divorzio": la quota di
quanti lo considerano "moralmente accettabile" scende dal 62%, nel
2003, al 55%, oggi. La convivenza fra due persone - uomo e donna -
non sposate: approvata dal 79% delle persone, 4 anni fa, è scesa al
69%. Perde dieci punti percentuali anche l'indulgenza verso il "sesso
fra uomo e donna non sposati" (il 67%, oggi). Mentre l'ammissibilitÃ
morale dell'aborto è riconosciuta dal 23% degli italiani; era il 30%,
quattro anni fa. Infine, l'omosessualità è ritenuta moralmente lecita
dal 40% delle persone. Una minoranza. Si tratta di atteggiamenti che
riflettono le indicazioni etiche della Chiesa. Come avviene, in modo
particolarmente esplicito ed evidente, per la famiglia. Che, per la
maggior parte degli italiani, coincide con l'unione fra due persone,
di genere diverso, istituzionalizzata dal matrimonio.
Gli italiani, quindi, dimostrano maggiore ascolto e maggiore
attenzione verso le indicazioni della Chiesa. Anche se ciò non
riflette una parallela crescita della religiosità in Italia.
L'Italia, infatti, continua ad essere un Paese nel quale "non ci si
può non dire cristiani". In particolare (quasi 9 italiani su
10), "cattolici". Ma la partecipazione ai riti e la frequenza
sacramentale riguardano una componente molto più ridotta. Circa uno
su quattro (a parole. Nella realtà sono di meno).
Gli italiani, quindi, sono cattolici, ma senza troppo impegno. Senza
vocazione (i seminari sono sempre più vuoti). Continuano, però, ad
aderire in massa alla religione perché la ritengono un cemento
sociale. Ma anche una bussola, che dà orientamento in una societÃ
disorientata. Un'ancora, che tiene saldo il legame con la tradizione
comune. In forma quasi ereditaria. Tanto che un italiano su due, per
spiegare la propria "fede", chiama in causa il ruolo della famiglia.
Mentre quasi nove italiani su dieci ritengono importante trasmettere
ai figli una educazione cattolica (e sette, fra chi non va mai a
messa). Anche le opinioni verso legislazione sulle unioni di fatto
riflettono questo clima. Certo: la quota degli italiani favorevoli ai
DICO supera in misura consistente quella dei contrari: 50% a 40%.
Tuttavia, il consenso verso la legge, negli ultimi anni, è calato di
oltre 10 punti percentuali. Difficile spiegare questa tendenza solo
con il passaggio dai Pacs ai Dico. È più probabile, invece, che il
dibattito politico e le posizioni della Chiesa abbiano fatto
percepire questi progetti come "minacce" all'istituto familiare. Al
fondamento della coesione sociale. Anzi: della società , tout-court.
Questa Chiesa esigente, impegnata a marcare i confini del bene e del
male, dice spesso cose che alla gente appaiono "come un comando
ricevuto dall'alto, al quale bisogna obbedire perché si è comandati",
per citare le parole del cardinale Carlo Maria Martini. Gli
ammonimenti reiterati della gerarchia cattolica, tuttavia, riscuotono
attenzione non solo fra i cattolici, più o meno praticanti, ma anche
fra i non credenti.
Perché toccano questioni legate all'etica: centrali, per la società .
E perché, comunque, rispondono all'inquietudine diffusa di fronte ai
cambiamenti che investono la vita e l'integrazione sociale. In primo
luogo, la famiglia.
Peraltro, nella sfera privata e nella vita quotidiana, gli italiani
continuano a concepire l'insegnamento religioso come un prontuario
utile e duttile. Che ciascuno interpreta a modo suo. Secondo
coscienza. E necessità . Di fronte alla sofferenza individuale, quando
è ritenuta senza speranza, prevale la "pietà ", che induce a
riconoscere il diritto della persona a decidere. Se e quando morire.
A dispetto dei precetti e dei proclami della Chiesa. Solo l'8% - sì:
l'8%! - considera giusto che la Chiesa abbia negato i funerali
religiosi a Welby. Appaiono poco condivisi anche i reiterati
interventi della gerarchia ecclesiastica, di papa Ratzinger (e, fino
a ieri, di Ruini) diretti alla politica e ai politici. La grande
maggioranza degli italiani (60%) non condivide che la Chiesa "indichi
ai parlamentari cattolici di votare contro i Dico". E una percentuale
di persone ancora più ampia (il 74%, il 63% anche fra i cattolici
praticanti), ritiene che in Parlamento, sui Dico, i politici
cattolici debbano votare "liberamente secondo coscienza".
La Chiesa del nostro tempo, con le sue prescrizioni e i suoi
ammonimenti, fra gli italiani suscita considerazione ma anche
distacco. Come mostra il diverso sentimento suscitato da questo
Pontefice, rispetto a quello che l'ha preceduto. Verso Benedetto XVI,
infatti, dichiara di avere fiducia il 54% della popolazione.
Venticinque punti percentuali meno di Wojtyla, quattro anni fa.
Contribuisce, sicuramente, a questo risultato, la diversità di
linguaggio, ma anche del ruolo interpretato, dai due pontefici.
Il
pastore, da un lato, il teologo, dall'altro. Ma conta anche la
scelta, programmatica, di questo Papa, che esibisce il "distintivo
cristiano". "Divide" il giusto dall'ingiusto, in nome della fede. E
interviene, sulla realtà italiana, molto più di Wojtyla. Per questo,
mai come in questa fase, dall'epoca della prima Repubblica, le
relazioni fra religione e politica sono apparse tanto strette e
conflittuali. Il fatto è che i temi posti dalla Chiesa sono centrali,
per l'agenda politica. E gli attori politici stessi se ne servono, in
questa fase confusa, per acquisire identità , conquistare consensi,
costruire alleanze. Il "bipolarismo politico" rischia, così, di
tradursi in "bipolarismo etico", come ha scritto di recente Luigi
Bobba, parlamentare cattolico della Margherita ("Il posto dei
cattolici", Einaudi). Non a caso, oggi, la Chiesa appare, a un quarto
della popolazione, "vicina al centrodestra". Quasi nessuno, invece,
la considera "amica" del centrosinistra. E solo una minoranza dei
cattolici praticanti, d'altronde, dichiara che oggi voterebbe per
l'Unione.
Anche questo è un segno dei tempi nuovi. Nella storia repubblicana,
fino ad oggi, la Chiesa non era mai apparsa "di parte". Fra destra e
sinistra, stava al centro. Nei momenti migliori: in alto.
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