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Primarie per legge (Gianfranco Pasquino in www.unita.it)
21.03.2007
Tra i maggiori difetti (errori?) della legge elettorale usata nelle elezioni dell'aprile 2006 va segnalata l'impossibilità per gli elettori di scegliere il candidato/a preferito/a. Quelle lunghe liste bloccate in circoscrizioni troppo ampie sono certamente scandalose.

Ne hanno tratto vantaggio i dirigenti di partito che hanno, senza scrupoli, imposto le candidature di fedelissimi/e, ma è fuor di dubbio che l'elettorato sia rimasto quantomeno perplesso, se non ampiamente deluso. Non sembra che nelle discussioni che intercorrono fra il ministro Chiti e i rappresentanti dei vari partiti e neppure nelle dichiarazioni di Romano Prodi, il problema di come riconnettere gli elettori ai candidati figuri in maniera prominente.

Quasi tutti i dirigenti di partito, ad eccezione, forse, degli ex-democristiani, manifestano legittime diffidenze nei confronti della eventuale reintroduzione del voto di preferenza. Ed è vero che il sistema delle preferenze, pure originariamente elaborato proprio per consentire agli elettori un qualche potere di interferenza e di scelta nella lista dei candidati decisa dai dirigenti di partito, diventò in corso d'opera un problema politico-etico piuttosto che una soluzione tecnica democratica.

Tanto è vero che il primo referendum elettorale, quello che aprì la strada alla riforma del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, colpì proprio il sistema delle preferenze, degenerato in strumento di manipolazione ad uso delle correnti dei partiti e delle lobby esterne, imponendo la riduzione da tre o quattro preferenze ad una, da esprimersi, al fine di ridurre i brogli, scrivendo per esteso il cognome del candidato/a prescelto/a. Venne poi sperimentato soltanto nelle elezioni del 1992, le ultime svoltesi con la legge proporzionale.

In nessuna democrazia dell'Europa occidentale viene oggi fatto uso del voto di preferenza. Ricordo che in Italia, invece, vale ancora per le elezioni dei consiglieri comunali. Ovviamente, quando il sistema elettorale si applica in collegi uninominali, come in Gran Bretagna, l'elettore ha già automaticamente il potere di scegliere fra candidati. Quando le circoscrizioni sono piccole, come in Spagna, le liste possono anche essere bloccate senza troppi inconvenienti (ma qualcuno, sì). In Germania, è proprio la struttura della scheda che consente, entro certi limiti, all'elettore di scegliere fra candidature poiché il suo primo voto va, infatti, ad un candidato/a in quel particolare collegio uninominale del suo Land. Fu un elemento in qualche modo imposto dagli americani e dagli inglesi, che volevano dare un qualche spazio alle personalità in politica.

Non a caso il sistema elettorale tedesco si chiama «rappresentanza proporzionale personalizzata». In pratica, peraltro, gli elettori tedeschi fanno uso del voto strategico scegliendo quei candidati che possano vincere del partito alleato con il loro partito preferito. E, comunque, non è fatto divieto ai candidati di essere presenti sia nella parte uninominale della scheda sia nella lista di partito in quel Land.

Più interessante è il caso francese poiché, trattandosi di un doppio turno, consente a candidature anche lontane dalle percentuali necessarie a passare al secondo turno di contare i loro voti, di contarsi (e, forse, di temprarsi). In un certo senso, come ho già avuto modo di scrivere, il doppio turno francese ha le primarie «incorporate».

Candidati e candidate di partiti insoddisfatti per il trattamento riservato loro dagli alleati attuali o potenziali possono riuscire a dimostrare che, in effetti, i voti da loro raccolti potrebbero essere decisivi (o anche no) ottenendo ricompensa in altro collegio o a futura memoria. Poiché sembra che nel caso italiano non ci sia nessuno che si batte davvero, con passione, per il doppio turno francese e nessuno che si renda conto che le liste lunghe e bloccate creano qualche disagio all'elettorato, bisognerebbe forse ricordarsi delle primarie.

È giusto che i dirigenti desiderino avere pattuglie di parlamentari leali e disciplinate. Ma è anche giusto, opportuno, qualche volta persino molto utile che gli elettori abbiano la possibilità di esprimersi anche sulle candidature, magari non su tutte, magari non obbligatoriamente. La prossima legge elettorale, se sarà, come temiamo, proporzionale, potrebbe, per esempio, sancire che qualora un certo numero di cittadini raccolga una certa percentuale di firme (calcolata sul numero degli aventi diritto a votare in quella circoscrizione) a favore di uno o più candidati/e specifici/che, allora si dovranno tenere elezioni primarie. Queste sarebbero primarie regolate per legge, ma attivabili su richiesta, quindi non obbligatorie. Tralascio le technicalities (che, per l'appunto «a richiesta», metterò a disposizione del Ministro Chiti), ma aggiungo che sarebbe questo un modo per rispondere davvero, anche ad opera del Partito Democratico, quando ci sarà, alle domande del troppo spesso evocato e non più consultato «popolo delle primarie». Un modo che serve ad ampliare la democraticità delle scelte, a consentire una partecipazione più ampia, a valutare le candidature, a diffondere informazioni e a mobilitare consenso.

Fra i meccanismi che contano di una legge elettorale si trova anche, non da ultimo, quello che serve ad incentivare la partecipazione motivata e incisiva dell'elettorato e a stabilire un rapporto di comunicazione reciproca fra elettorato e candidato/a. Il tempo dedicato a cercare quei meccanismi e ad approntarli è tempo speso democraticamente in maniera ottima.

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