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P.D.: strumento indispensabile per la pratica della laicità
26.03.2007

di Stefano Ceccanti

E’ evidente che la laicità costituisce oggi un terreno delicato della politica: richiede di affermare con nettezza la separazione tra lo Stato e le Chiese, ma lo Stato non è separato dalla società civile che si alimenta anche del pluralismo religioso. Ci sono varie spinte, opposte ma convergenti, che rischiano di creare un cortocircuito. Per un verso esiste una pressione a danno dell’autonomia della politica. E’ però errato descrivere tutto quello che si muove nella Chiesa cattolica come omogeneo a questa tendenza. Basti vedere la differenza tra la mobilitazione vista a Crotone con il vescovo in prima fila e con contenuti centrati sul rifiuto dei Dico rispetto alla prudenza dimostrata dal nuovo Presidente della Cei mons. Bagnasco che ha sconsigliato la presenza diretta dei vescovi e alla piattaforma nazionale più spostata su aspetti positivi. Una differenza criticata esplicitamente dal vescovo di Crotone e da esponenti della destra. E’ vero che la piattaforma non è convincente sulla parte relativa alle convivenze, ma apre comunque, sia pure con cautela, al ricorso ad una legge, dato che solo per legge si può modificare il Codice civile, la grande legge del diritto civile. Che poi intervenire sul Codice Civile invece che con una legge a parte sia considerata una scelta più leggera non riesco a capirlo. In ogni caso la piattaforma riconosce così che intervenire con una legge non viola nessun principio non negoziabile: questo non è poco. Di fronte poi ad accentuazioni diverse che si registrano tra i promotori e i sostenitori è pertanto ragionevole che l’Ulivo stia cercando di capire come porsi. Senza pregiudizi, ma anche senza smentire la chiara scelta fatta coi Dico, che è scelta per affermare la logica solidaristica in tutto l’ordinamento, secondo l’articolo 2 della Costituzione, in fedeltà alle culture politiche che l’hanno alimentata. Per altro verso è in corso una spinta, opposta e convergente, a costruire un’aggregazione di tutti gli oppositori di "sinistra" al Partito Democratico in nome del denominatore comune di una laicità intesa solo come autonomia e non anche come dialogo. Si sorvola così su qualsiasi altra differenza programmatica. Marciatori di Vicenza e atlantisti convinti, nostalgici del socialismo craxiano e suoi demonizzatori, si potrebbero così unire per una laicità da declamare in una logica testimoniale. La laicità praticata, reale, è invece quella che ha portato, anche in occasione del Ddl sui Dico, a marginalizzare, nell’arco di forze che comporranno sicuramente il PD, quelle posizioni che si limitano a recepire acriticamente alcune elaborazioni intra-ecclesiali. Con tutta evidenza il mantenere separati Ds e Margherita avrebbe condotto a essere dipendenti da pulsioni divaricanti, senza far riflettere i reciproci retroterra sulla necessità di trovare sintesi comuni. Quelle che Emmanuel Mounier, il padre del socialismo cristiano, sintetizzava nell’idea di una "reinvenzione comune di una cultura da far nascere e da inventare il cui volto non è conosciuto in anticipo". E’ del tutto infondato far passare la scorciatoia della laicità testimoniale sia come erede della sinistra italiana (che non ha mai coltivato se non in filoni e momenti minoritari un anticlericalismo così semplificatorio) sia come la versione italiana del socialismo europeo. Ora, senza riprenderne complessivamente la storia a partire dal Labour Party e dalle socialdemocrazie nordiche, radicalmente incomprensibili a prescindere dalle loro origini religiose, questa ricostruzione appare caricaturale anche per i socialismi mediterranei. Che cosa si dovrebbe dire del discorso di Mitterrand per la fondazione del nuovo partito socialista a Epinay nel 1971 dove affermava: "i personalisti di Emmanuel Mounier sono, è il caso di dirlo, Dio sia lodato, tra di noi", un evento atteso "da almeno venticinque anni", e dei suoi contatti diretti col vertice dell’episcopato francese descritti dal vescovo Matagrin, che rassicurò soprattutto sulla fedeltà all’Alleanza Atlantica? Non dice qualcosa il fatto che le possibilità di successo di Ségolène Royal siano legate ad una possibilità di intesa di centrosinistra per il decisivo turno di ballottaggio, quella stessa, in assenza della quale, Jacques Delors rifiutò di candidarsi nel 1995? Che dire poi dello stesso Zapatero, citato in Italia solo per la legge del matrimonio omosessuale, ma che nel contempo, se riesce a sopravanzare ancora di cinque punti i popolari nei sondaggi, è anche perché ha dato notevoli prove di pragmatismo? Basti pensare dalla nomina ad ambasciatore presso la Santa Sede di uno dei senatori socialisti che aveva fatto obiezione di coscienza alla legge all’aumento dal 5 al 7 per mille del finanziamento alla Chiesa cattolica, mentre in Italia si crede di imitarlo proponendo la denuncia unilaterale del Concordato firmato da Craxi in nome del socialismo. La verità è che nessuna prospettiva di laicità reale è possibile al di fuori della convergenza che sta facendo nascere il PD e che questa operazione politica è quanto di più simile sia stato e sia costruito intorno ai partiti socialisti europei che aspirano a ruoli di governo. Coloro che non condividono tale prospettiva e che per questo cercano di eccitare nel mondo cattolico le spinte a un legame più stretto con la destra politica perseguono una strategia minoritaria che in Europa può incardinarsi solo in minoranze di estrema sinistra e che rischia di condurre il centrosinistra italiano in una grave distanza dal Paese reale. La costruzione del PD sembra essere oggi l’unico terreno ragionevole per una pratica effettiva della laicità nel nostro Paese in sintonia con le principali forze del centrosinistra europeo.

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