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John Kerry a Bush, Cambia rotta |
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14.07.2003
Il Senato Usa chiama la Nato e l’Onu Al Senato degli Stati Uniti, ieri, è uscito allo scoperto John Kerry, uno tra i più accreditati concorrenti nelle primarie democratiche per le presidenziali del 2004.
Al Senato degli Stati Uniti, ieri, è uscito allo scoperto, nello spinoso dibattito sul dopoguerra iracheno, John Kerry, senatore del Massachussets e uno tra i più accreditati concorrenti nelle primarie democratiche per le presidenziali del 2004. Dopo John Lieberman, che aveva auspicato un esplicito coinvolgimento della Nato e delle Nazioni Unite nella gestione militare e politica del dopoguerra, anche Kerry è stato sferzante verso Bush, invitandolo a “guardare in faccia la realtà e a cambiare rotta”, infatti, ha sostenuto Kerry, in Iraq “la guerra continua, aumentano le perdite” e gli Usa “non hanno la forza per ricostruire l’Iraq senza l’appoggio di altri paesi”. L’intervento del senatore democratico ha risposto alle dichiarazioni rilasciate, sempre ieri al Seanato da Rumsfeld, il ministro della difesa di Bush, che aveva sostenuto l’efficacia della linea fin qui perseguita: andare avanti confidando nell’appoggio dei paesi “volenterosi”, attualmente 19 quelli impegnati concretamente a fianco degli Usa, “tra i quali ci sono membri della Nato come Spagna e Italia”. L’ottimismo di Rumsfeld non ha convinto il Senato, dopo che anche il generale Franks aveva ricordato, parlando alla Camera, che ci sono attualmente tra 10 e 25 attacchi al giorno contro i marines in Iraq, che fino a fine anno non si potrà ridurre il contingente di 150.000 soldati presente nel paese -missione che costa al bilancio federale quasi 4 miliardi di dollari al mese- e che, allo stato attuale, bisogna prevedere un impegno militare americano per i prossimi 2 o 4 anni. A fine giornata infatti il Senato di Washington, dopo che anche il segretario di stato Powell, dal sud Africa dove è in missione insieme a Bush, aveva dato il via libera, ha votato all’unanimità una risoluzione che invita il governo a chiedere truppe della Nato per la stabilizzazione dell’Iraq e anche a considerare la possibilità di chiedere all’Onu di sollecitare l’invio di forze dei paesi membri per promuovere la stabilità e la sicurezza dell’Iraq. Una filosofia diversa rispetto a quella della coalizione dei “volenterosi”. Non siamo ancora però ad una svolta, ma è la prima ammissione ufficiale, da parte degli Usa, che le cose in Iraq vanno male e la gestione unilaterale del dopoguerra rischia di essere disastrosa. La mezza svolta di ieri, sollecitata dai principali esponenti democratici che nel dopoguerra stanno assumendo un profilo più netto sui temi della politica internazionale e caldeggiano un ritorno alle sedi multilaterali, non è ancora sufficiente a coinvolgere nella gestione del dopoguerra i principali paesi europei che a quel conflitto si erano opposti. Dalla Francia il Ministro degli esteri De Villepin dichiara che la chiave di volta, per consentire una partecipazione francese, deve essere la decisione di mettere la transizione politica irachena sotto la responsabilità dell’Onu, da quella decisione soltanto potrebbe discendere un impegno militare francese in una missione multilaterale, che comunque dovrebbe essere autorizzata da un mandato delle Nazioni Unite. Dalla Germania, fonti governative, con un ragionamento inverso, dicono sostanzialmente la stessa cosa, ossia che l’attuale mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sul dopoguerra iracheno non è tale da autorizzare un impegno della Germania nel paese, diverso da quello umanitario e di ricostruzione. Le stesse fonti, peraltro ribadiscono che il governo non sta esaminando un’eventuale partecipazione militare tedesca in Iraq, in quanto non è pervenuta nessuna richiesta formale da parte degli Usa. Resta il fatto che il costo politico, economico e militare dell’avventura statunitense in Iraq sta diventando troppo oneroso per quel paese, che in queste condizioni è pressoché impossibile far fare all’Iraq dei decisi passi in avanti sul terreno della ricostruzione e dell’autogoverno e che un insuccesso su quel terreno non farebbe che rendere sempre più sgradita e in pericolo la presenza delle truppe alleate. Questi temi sono inevitabilmente nell’agenda di tutti i soggetti della politica internazionale e da ieri, grazie anche all’iniziativa degli esponenti democratici, anche l’America si interroga pubblicamente su come correggere una situazione assai pesante e rischiosa.
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