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Anna Finocchiaro, intervento al Congresso DS
24.04.2007
Il Paese ha bisogno di una politica migliore. Il Pd può esserne il suo migliore interprete - Intervento di Anna Finocchiaro al 4° Congresso nazionale dei DS

S’aprì una questione tra gli ateniesi quando la minaccia persiana si fece incombente.

Non era solo questione di eserciti: da una parte la democrazia ateniese, dall’altra un impero autocratico. La questione era chiara ad Erodoto, ed Eschilo ne scrisse nella sua tragedia. Si fronteggiavano due diverse opinioni: Aristide insisteva perché Atene fosse cinta di mura robuste,Temistocle sosteneva che occorresse armare subito una flotta. Prevalse l’opinione di Temistocle e, nelle acque di Salamina, i persiani vennero sconfitti.

Anch’io credo che oggi sia l’ora di legare all’albero una tela e di combinare la rotta e la deriva.

Non perché vi siamo costretti da una decisione, che pure abbiamo assunto. Ma perché oggi bastiamo a noi stessi, ma non siamo più compiutamente utili all’Italia.

Guardiamolo il Paese com’è, senza alibi. È un Paese vecchio e fermo. Che oppone una straordinaria resistenza al cambiamento e all’innovazione, con classi dirigenti indisponibili a cedere il passo alle nuove generazioni nella politica come nell’economia, nelle università come nelle professioni. Nascono pochi bambini, si è fermato l’indice di mobilità sociale. Un Paese che teme il futuro, che non si fida.

L’Italia dei mille particolarismi, di chi non vuole cedere un pezzetto del vantaggio di oggi, della rendita anche piccola che gli viene dal passato. L’Italia che si riflette nello specchio rotto di cui ci parla Eugenio Scalfari. Dei troppi che non hanno la forza di chiedersi cosa possono fare loro per il proprio paese. L’Italia che fa fatica. Il Paese conservato così da Berlusconi, che anzi ha premiato la rendita, l’oligopolio, il privilegio.

Altro che modernità, il Medioevo.

L’Italia non cambia se non si fida del futuro. Se tutto appare, ancora, incerto e instabile in una transizione troppo lunga e, ancora, aperta. Che produce il frutto marcio dell’antipolitica, che ha come orizzonte corto il cortile di casa propria. Tutto questo ha molto a che fare con la questione democratica. Perché riguarda la debolezza della scelta operata dagli elettori chiamati alle urne e riguarda il nodo della rappresentanza. E a proposito di rappresentanza, compagne e compagni, proprio mentre ci accingiamo a fare una nuova legge lettorale, ricordiamoci che l'articolo 51 della Costituzione deve essere una delle cifre alle quali ispirare il nostro lavoro. Un quadro politico troppo frammentato resiste a qualunque riforma elettorale, e senza riforme del sistema politico continua a dispensare incertezze sulla durata e sull’efficacia del governare, e rende inaffidabile la promessa elettorale. A rendere sterile il voto rispetto alla scelta degli eletti e – questo è il punto – alla responsabilità degli eletti nei confronti degli elettori, ci ha già pensato il porcellum di Calderoli. Attenti compagni su questo: lavoriamo su una legge elettorale il più condivisa possibile, certamente, ma non dimentichiamo che non possiamo, non possiamo che restaurare correttamente questo nodo della rappresentanza politica. Perché il punto non è solo che le maggioranze debbono sceglierle i cittadini, è anche che gli eletti devono tornare ad avere responsabilità di fronte agli elettori, non solo gratitudine nei confronti delle segreterie di partito.

Un quadro di frammentazione che deprime la voglia di partecipazione, insinua il dubbio tra i cittadini di contare poco, di determinare poco. Una frammentazione che coltiva un bipolarismo rissoso.

Chi è disposto ad investire se non può contare sul futuro, se non può fidarsi della regola dell’oggi condannata ad essere effimera da una visione dell’alternanza che si rifugia nel muro contro muro e che rischia di dimenticare l’Italia?

Anche per questo dobbiamo dar vita al P.D.

Un partito per governare il Paese ci diciamo spesso. Certo. Ma prendo in prestito un’affermazione del senatore americano Barak Obama “c’è un vuoto nel cuore della gente che nessun governo da solo può riempire”. Appunto. È questo l’altro aspetto della questione democratica. Un Paese non si cambia solo con il buon governo, ma se milioni di donne e di uomini trovano un’occasione per mettersi in cammino e cambiarlo anche loro il Paese, avendo garantiti per davvero partecipazione e decisione. Questo riguarda le forme di partecipazione che sceglieremo e non può esserci nessuna ambiguità su questo. Il P.D. non può essere frutto del rimescolamento dei ceti dirigenti politici dei partiti che lo compongono. Non lo dico perché voglio rispondere ai miei compagni che hanno deciso di non starci, temendo questa deriva. Lo dico proprio per noi, che della necessità del P.D. siamo convinti.

Se abbiamo un’ambizione al di sotto di questo, lasciamo perdere. Quello non è il P.D. è un’altra cosa e non mi interessa, non ci interessa, non interessa all’Italia.

Se abbiamo deciso un partito nuovo, facciamo un partito nuovo. Mettiamoci tutti, per davvero, in gioco. E sfuggiamo ad ogni tentazione: non voglio essere la sinistra del P.D. voglio essere il P.D.

Lo sappiamo per certo che un partito nuovo c’è, e ha una forza pari ai compiti che si propone, se è un partito attraente, innanzitutto, per le donne e i giovani, forze inesauste di una società esausta. Per questo non voglio quote, né rosa né azzurre. O il P.D. sarà originariamente il partito dei giovani e delle donne italiane o semplicemente non sarà il P.D.

Non sarà quello di cui non noi, ma l’Italia ha bisogno.

I miei compagni della sinistra che se ne vanno ritengono che il PD sarà un partito moderato, che nasce con questa cifra. E io mi chiedo cosa invece possa esserci di più radicale di un partito che riunisca, e massimizzi, la spinta di cambiamento dei riformismi italiani. Radicalità e riformismo, diceva ieri Walter. Non era questa, forse, la cifra di un grande riformista come Pio La Torre? Cosa c'e' stato di piu' radicale delle sue battaglie per la riforma agraria, contro la mafia, contro i missili a Comiso?

Insisto. C’è una necessità di radicalità nell’operazione che stiamo facendo, nella trasformazione che stiamo operando, perché c’è un bisogno di radicale trasformazione e innovazione del sistema italiano.

E non ho in questo nessuna intenzione di disfarmi dei nostri valori. Per una ragione definitiva: perché sono quelli utili, utili all’Italia per essere un Paese moderno. Lavoro, diritti, uguaglianza, cittadinanza, opportunità eguali servono all’Italia che è cambiata. Come potrei altrimenti chiedere di stare nella modernità e nella competizione se non pensassi che lo sviluppo economico esiste nella modernità se cresce insieme ai diritti degli individui e che fuori da questo non c’è sviluppo, ma barbarie? E come faccio a pensare alla democrazia se non garantisco un allargamento della cittadinanza? E come faccio a pensare alla dignità umana se non la lego alla libertà ed alla responsabilità individuale? E come faccio a pensare al futuro se non garantisco le nuove generazioni, se non apro le porte a quelli che bussano, se non rompo i recinti del privilegio? Come faccio a pensare al futuro se non ho responsabilità nei confronti dell’ambiente, come faccio a pensare di essere tra le prime potenze industriali del mondo se lascio indietro qualcuno? Come faccio? E voglio mercati aperti, ma li voglio regolati per dare opportunità e rompere privilegi e voglio insieme un welfare che non sia solo tutela statica, ma promuova e formi e mobiliti forze e competenze, liberi energie, non solo attenui difficoltà o esclusione. Un Welfare che liberi le donne dalla straordinaria fatica del vivere quotidiano… E ho un grande bisogno di includere se voglio forze per uscire dal pantano. E voglio uno Stato che ci sia, e che funzioni, e non sia invasivo, che non mortifichi ma garantisca e promuova. Voglio che sia premiato il merito perché questa è garanzia di opportunità uguali e perché i figli devono tornare a sperare di fare meglio dei padri e delle madri.

Meriti e bisogni, appunto, compagni socialisti.

Non voglio avere nessuna paura della scienza, ma voglio fondare un comune senso del limite che aiuti tutti, uomini e donne moderne, a non sentire smarrimento e a non tornare indietro, e voglio un Partito nel quale la questione etica sia centrale. Non certo per occuparmi di ciò che è materia di codici penali.

Quello tocca ai giudici, non alla politica.

Ma perché sono convinta che se si continua a morire nei cantieri, se si è esclusi perché non si conosce nessuno di potente, se si inquina, se si lavora perché protetti dalla mafia, se si scempia il territorio, si condanna l’Italia a perdere. Perché sono convinta che modernità e sviluppo sono duraturi solo se li costruisci sulla base di ciò che è giusto. Giusto ed equo. E voglio un Paese nel quale si premi chi agisce in maniera socialmente responsabile, perché questo è fattore di sviluppo e perché solo questo ci garantisce di stare nel moderno.

Non vogliamo farlo da soli, non possiamo più farlo da soli. Abbiamo bisogno d’umiltà e di dirci che già da tempo la nostra parola politica, la nostra cultura politica non basta più neanche a noi stessi.

Che abbiamo saccheggiato altre culture, altre esperienze politiche (dal femminismo, dall’ambientalismo, dai compagni socialisti, dal cattolicesimo democratico, dalla tradizione liberale) perché avevamo fame di “parole per dirlo” e non ne avevamo utili di nostre. Ma diciamocelo francamente compagne e compagni: da soli non ce la facciamo. E non è solo questione di percentuali elettorali. Siamo un grande partito, abbiamo una grande storia ma da soli non ce la facciamo a rimettere in piedi l’Italia.

Perché ora è il tempo di costruire, e ci vorrà una fatica dannata, e un cuore saldo. Non mi rassegno a pensare che questo, compagne e compagni, noi non lo costruiremo tutti insieme. Mi pare insensato per noi, per voi. Ma se la decisione è presa, e Mussi ce lo ha annunciato ieri da questo palco, vi auguro buona fortuna. Non perdiamoci di vista. Saranno mesi, saranno anni, ma penso che è contro di noi e contro l’Italia che restiamo divisi.

La fase costituente sarà il luogo dove dovremo costruire il PD. Ci conforta il lavoro comune che abbiamo fatto nell’Ulivo, nei Gruppi parlamentari e che ci dice che è possibile. Ma guai se pensassimo al PD come partito che origina dai Gruppi parlamentari. Perché abbiamo bisogno di altro, ce lo diceva giovedi' Piero Fassino e ce lo ha detto in tutti questi mesi: una grande forza politica organizzata, diffusa sul territorio, sapiente, che ascolti il respiro del Paese e aiuti l’Italia ad un respiro profondo. Che sappia avere con gli italiani, come ci insegna Antonio Gramsci, una “connessione sentimentale”. Voglio un’alleanza strategica sui fini con gli agenti dell’innovazione, dalle imprese alle università, attenta a salvaguardare autonomia ma rigorosamente attenta alla crescita italiana. E voglio dare atto ai compagni che su questo punto dell’innovazione legato all’impresa molto hanno lavorato, ne cito solo uno, Gerardo Chiaromonte, che avevano, con largo anticipo, ragione.

Torna nella nostra discussione il tema della laicità, evocato sempre come sintomo dell’impossibilità di convivenza tra noi e i cattolici. C’è un errore politico nel porre così la questione. Come se, e ancora, la laicità fosse un discrimine, un limite di separazione: da una parte i laici, dall’altra i cattolici, distinzione già approssimata solo guardando alla storia del nostro Paese e del PCI. Nel tempo moderno delle mille culture, e religioni, e credenze, la laicità è l’unico strumento possibile di attuazione del principio di uguaglianza tra soggetti portatori di culture e religioni diverse. Forse vale la pena di ricordare che storicamente, anche in luoghi molto diversi dal nostro, basta ricordare il primo emendamento della Costituzione americana, il principio di laicità dello Stato è stato assunto per finalità antidiscriminatorie. E’ ancora oggi l’unica garanzia moderna. E non possiamo essere ciechi: il problema non è la convivenza per esempio tra me e un esponente dei teodem, ma la soluzione va trovata nel rapporto costruttivo e fecondo tra noi e i 60 parlamentari cattolici firmatari dell’appello.

E se devo guardare al modo con cui si è affrontata la questione delle unioni civili lasciatemi dire che il coraggio vero dell’innovazione e la testimonianza di laicità di fronte alla offensiva della CEI non l’abbiamo data noi, per cui era relativamente facile, ma Rosy Bindi.

Per tutto quello che ho detto sappiamo da che parte stare. La nostra visione del mondo, in Europa, appartiene ad un campo di forze motlo largo. Non si tratta di affiliarsi a tradizioni. E’ il futuro che ci interessa.

Ancora ieri, dopo aver sentito Martin Schultz, mi sono chiesta se questa nostra discussione non rischi di risultare fra qualche tempo effimera. Oggi in Europa e nel mondo la differenza è tra chi esprime, pur nelle grandi differenze e specificità, l’aspirazione ad un mondo diverso dove libertà uguaglianza e giustizia si coniughino con la valorizzazione del talento e del merito, e chi invece esprime istanze più conservatrici, liberiste ed integraliste.

E oggi in Europa, e i nostri ospiti internazionali ce lo hanno raccontato, è nel campo delle forze socialiste che c’è l’idea di Europa aperta e inclusiva che vogliamo. Non si tratta di essere ospiti in casa di altri, ma protagonisti dentro una casa da far diventare più grande e da cambiare insieme.

La costruzione di un nuovo partito può essere dunque utile all’Italia e all’Europa. Un partito è la sua funzione. E non abbiamo pensato a niente di meno negli oltre 50 anni della nostra storia che svolgere una funzione nazionale. Lo facciamo con molti compagni di strada. Legati come siamo dal vincolo della Resistenza italiana nella quale abbiamo combattuto insieme per ridare liberta' all'Italia , della Costituzione repubblicana, dalla trama dei suoi valori, dalla obbligatorietà dei suoi fini, dalla storia della democrazia italiana che per tanto pezzo abbiamo costruito insieme negli anni trascorsi, dall’avvertire la stessa identica responsabilità. Un solo soggetto politico di cui stiamo già costruendo profilo, identità, trama di valori, fini.

Facciamo un partito nuovo. Non è più l’89. Stavolta non siamo incalzati dalla storia, stavolta proviamo a farla noi la storia. E la facciamo senza guardare indietro, perché è tardi. Lo ripeto: e' tempo di legare all’albero una vela e di combinare la rotta alla deriva. Io non ho paura. Sento il peso, enorme certo, della responsabilità. Ma possiamo farlo.

Il nostro Paese ha bisogno di una politica migliore. Il Partito Democratico, dipenderà da noi , potrà esserne il suo migliore interprete.

Per essere all’altezza della nostra storia, per essere all’altezza del futuro, per essere utili all’Italia.

Grazie. -

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