Welfare Italia :: Il punto :: Gramsci. A ricordo dei 70 anni dalla morte. di G.C.Storti Invia ad un amico Statistiche FAQ
21 Settembre 2024 Sab                 WelfareItalia: Punto laico di informazione e di impegno sociale
Cerca in W.I Foto Gallery Links Documenti Forum Iscritti Online
www.welfareeuropa.it www.welfarecremona.it www.welfarelombardia.it www.welfarenetwork.it

Welfare Italia
Home Page
Notizie
Brevi
Il punto
Lettere a Welfare
Cronaca
Politica
Dal Mondo
Dalle Regioni
Dall'Europa
Economia
Giovani
Lavoro
Cultura
Sociale
Ambiente
Welfare
Indian Time
Buone notizie
Radio Londra
Volontariato
Dai Partiti
Dal Parlamento Europeo
Area Iscritti
Username:
Password:
Ricordami!
Recupero password
Registrazione nuovo utente
Brevi

 Foto Gallery
Ultima immagine dal Foto Gallery di Welfare Italia

Ultimi Links







Gramsci. A ricordo dei 70 anni dalla morte. di G.C.Storti
28.04.2007

Antonio Gramsci. Muore all'alba del 27 aprile 1937 , a quarantasei anni, di emorragia cerebrale. Cremato, il giorno seguente si svolgono i funerali, cui partecipano soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana: le ceneri vengono inumate nel cimitero del Verano e di qui trasferite, dopo la Liberazione, nel Cimitero acattolico di Roma.

 

Di Antonio Gramsci ho letto parecchi libri. In particolare mi ricordo dell’ Albero del Riccio. Un testo conosciuto da pochi, tanto che  lo portai  all’esame di stato del 1969 quale “ testo libero di u autore italiano”.

Solo un commissario aveva conoscenza, una vaga  conoscenza di quel testo. Feci un figurone.

Nel 1985 mi recai, con una delegazione Cgil di Milano, guidata da una cugina di Gramsci, moglie dell’allora On. Quercioli, del PCI, in Sardegna ed in particolare a Ghilarza. Bella la piazza ridisegnata da artisti italiani.

Negli anni ’70 è stato un nostro grande punto di riferimento. Sicuramente andrebbe riscoperto e studiato. E’ stato un grande italiano , un raffinato intellettuale ed un illuminato comunista.

Di lui tengo ancora la stampa di un suo ritratto postumo del 1980 di Mucchi.

 

Gian Carlo Storti

Cremona 27 aprile 2007.

---------------------------------

 

Ghilarza. Casa Gramsci - La Casa Museo

Nella via principale di Ghilarza si trova la casa dove Antonio Gramsci, a partire dal 1898, visse gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza con i suoi familiari. Sebbene la casa abbia subito alcuni interventi che hanno modificato la destinazione d'uso dei suoi ambienti, essa rievoca l'immagine di una famiglia che, pur nelle avversità e nelle difficoltà economiche, seppe trasmettergli quei valori sui quali si fonda l'intera opera gramsciana.

Nel 1965 il PCI acquistò la casa che fu trasformata, grazie all'operato di intellettuali e uomini di cultura sardi, in "Centro di documentazione e ricerca sull'opera gramsciana e sul movimento operaio".

Divenuta sede dell'associazione "Amici della Casa Gramsci", inaugurò un rapporto di collaborazione con realtà ed esperienze continentali e in particolare con ex-partigiani, sindacalisti, uomini di cultura, studiosi e artisti, che, all'inizio degli anni Ottanta, favorirono il restauro della casa.

Fu l'opera instancabile delle nipoti di Gramsci, Diddi e Mimma Paulesu e di uomini di cultura, a riunire nell'associazione Amici della Casa Gramsci quegli apporti che favorirono la trasformazione della casa in museo e la promozione delle celebrazioni gramsciane che il 27 aprile di ogni anno rendono omaggio all'uomo, al politico, all'ideologo. Furono sempre queste collaborazioni preziose, tra le quali quella dell'architetto milanese Cini Boeri a permettere di allestire nella casa il percorso museale che riordina documenti, oggetti, foto, reperti e testimonianze preziose che ricostruiscono la tappa più significativa della sua vita.

Attualmente la casa è sede dell'associazione "Casa Museo di Antonio Gramsci" centro di documentazione, ricerca e attività museali, che ha lo scopo di favorire la migliore conoscenza del pensiero e dell'opera gramsciana attraverso la fruizione del centro da parte dei visitatori, delle scolaresche, degli studenti.

 

Orario di apertura:

Venerdì 10-13 / 16-19,

Sabato 10-13 / 16-19,

Domenica 10-13 / 16 - 19

 

Indirizzo Internet: www.casagramscighilarza.org

 

Biografia

Nasce da Francesco (1860 - 1937) e Peppina Marcias (1861 - 1932). Francesco, originario di Gaeta, era studente di legge quando morì il padre, colonnello dei carabinieri; dovendo trovare subito un lavoro, partì per la Sardegna nel 1881 per impiegarsi nell'Ufficio del registro di Ghilarza. Qui conobbe Peppina, che aveva studiato fino alla terza elementare; malgrado l'opposizione dei suoi genitori, rimasti in Campania, la sposò nel 1883. Nacquero Gennaro, nel 1884, Grazietta, nel 1887, Emma, nel 1889 e nel 1891, ad Ales, Antonio, battezzato il 29 gennaio.

 

L'anno dopo i Gramsci si trasferiscono a Sorgono dove nascono gli altri figli, Mario nel 1893, Teresina nel 1895 e Carlo nel 1897. Arrestato il 9 agosto 1898 con l'accusa di peculato, concussione e falsità in atti, Francesco Gramsci viene condannato il 27 ottobre 1900 al minimo della pena con l'attenuante del "lieve valore": 5 anni, 8 mesi e 22 giorni di carcere, da scontare a Gaeta; priva del sostegno dello stipendio del padre, per la famiglia Gramsci sono anni di estrema miseria. E Antonio, per una caduta all'età di tre anni, rimane deforme e non cresce più: la sua altezza non supererà il metro e mezzo; la sua bellezza è tutta negli occhi, di un azzurro limpido e intenso.

 

Comincia a frequentare le scuole elementari a sette anni e le conclude nel 1903 col massimo dei voti ma le condizioni della famiglia non gli permettono di iscriversi al ginnasio e dà il suo piccolo contributo all'economia domestica lavorando all'Ufficio del Catasto per 9 lire al mese - l'equivalente di un chilo di pane al giorno - 10 ore al giorno smuovendo «registri che pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo».

 

Il 31 gennaio 1904 Francesco Gramsci finisce di scontare la sua pena. Sarà poi riabilitato e potrà ottenere un impiego da scrivano nell'Ufficio del Catasto. Antonio può iscriversi nel Ginnasio comunale di Santu Lussurgiu, a 18 chilometri da Ghilarza, «un piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori sbrigavano, con molta faccia tosta, tutto l'insegnamento delle cinque classi». Con questa preparazione avventurosa riesce a prendere la licenza ginnasiale a Oristano, nell'estate del 1908 e a iscriversi al Liceo Dettori di Cagliari, dove sta a pensione, insieme col fratello Gennaro, che lavora in una fabbrica del ghiaccio.

 

Il fratello, compiuto il servizio militare a Torino, era tornato in Sardegna, militante socialista, e Antonio può leggere libri, giornali e opuscoli socialisti, come anche i romanzi popolari di Carolina Invernizio e di Anton Giulio Barrili; legge anche i romanzi di Grazia Deledda ma non li apprezza, considerando che la visione che la scrittrice dà della Sardegna sia sostanzialmente folkloristica; legge La Voce e il Marzocco, Papini, Emilio Cecchi e soprattutto Croce e Salvemini.

 

Alla fine della seconda classe liceale, chiede al suo professore di liceo, direttore de L'Unione Sarda, di poter collaborare durante l'estate al giornale con brevi corrispondenze e il professore l'accontenta: il 20 luglio 1910 riceve la tessera di giornalista. L'anno dopo prende la licenza liceale con tutti otto e un nove in italiano.

 

 

[modifica] A Torino

 Torino, Mole AntonellianaNel 1911 il Collegio Carlo Alberto di Torino offre 39 borse di studio, equivalenti a 70 lire al mese per 11 mesi, per poter frequentare l'Università di Torino. «Partii per Torino come se fossi in stato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza classe delle 100 avute da casa». Il 27 ottobre 1911 conclude gli esami: li supera classificandosi nono; al secondo posto è uno studente venuto da Sassari, Palmiro Togliatti.

 

Si iscrive alla Facoltà di Lettere ma le 70 lire non bastano: «la preoccupazione del freddo non mi permette di studiare, perché o passeggio nella camera per scaldarmi i piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima gelata».

 

Le sue opinioni politiche, a quel tempo, consistono in una generica adesione a idee socialiste ma, soprattutto, in un forte risentimento per i torti che sarebbero stati fatti alla Sardegna, e in genere a tutto il Mezzogiorno, che egli ritiene siano stati condannati all'arretratezza dalle scelte politiche ed economiche compiute dai politici continentali.

 

È a casa per le elezioni politiche del 26 ottobre 1913, nell'Italia in guerra contro la Turchia per la conquista della Libia; votano, per la prima volta, anche gli analfabeti, ma la corruzione e le intimidazioni sono le stesse delle elezioni precedenti. Angelo Tasca, giovane dirigente socialista torinese, amico e compagno di studi di Gramsci, scrive che Antonio «era stato molto colpito dalla trasformazione prodotta in quell'ambiente dalla partecipazione delle masse contadine alle elezioni, benché non sapessero e non potessero ancora servirsi per conto loro della nuova arma. Fu questo spettacolo, e la meditazione su di esso, che fece definitivamente di Gramsci un socialista».

 

Tornato a Torino ai primi di novembre del 1913, va ad abitare in una soffitta all'ultimo piano del palazzo di via San Massimo 14, oggi Monumento nazionale; dovrebbe datarsi a questo periodo la sua iscrizione al Partito socialista. È in ritardo con gli esami, a causa di «una forma di anemia cerebrale che mi toglie la memoria, che mi devasta il cervello, che mi fa impazzire ora per ora, senza che mi riesca di trovare requie né passeggiando, né disteso sul letto, né disteso per terra a rotolarmi in certi momenti come un furibondo». Per non perdere il mensile della Fondazione Albertina riesce a recuperare alcuni esami fra marzo e aprile 1914.

 

Prende lezioni private di filosofia dal professor Annibale Pastore che scrisse poi che «il suo orientamento era originalmente crociano [...] voleva rendersi conto del processo formativo della cultura agli scopi della rivoluzione [...] come fa il pensare a far agire [...] come le idee diventano forze pratiche». Gramsci stesso scriverà di aver sentito anche la necessità di «superare un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era proprio di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi un modo di vivere e di pensare non più regionale e da villaggio, ma nazionale» ma anche «di provocare nella classe operaia il superamento di quel provincialismo alla rovescia della palla di piombo [come il Sud Italia era generalmente considerato nel Nord] che aveva le sue profonde radici nella tradizione riformistica e corporativa del movimento socialista».

 

Frequenta i giovani compagni di partito, fra i quali erano Tasca, Togliatti, Terracini: «uscivamo spesso dalle riunioni di partito [...] mentre gli ultimi nottambuli si fermavano a sogguardarci [...] continuavamo le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di scroscianti risate, di galoppate nel regno dell'impossibile e del sogno».

 

Nell'Italia che ha dichiarato la propria neutralità nella I Guerra Mondiale in corso - neutralità affermata anche dal Partito socialista - scrive, per la prima volta, sul settimanale socialista torinese Il Grido del popolo, il 31 ottobre 1914, l'articolo Neutralità attiva e operante in risposta a quello di Mussolini Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante, senza comprendere però quale svolta politica l'importante e popolare esponente socialista si proponesse allora.

 

Sostiene il 13 aprile 1915 quello che sarà il suo ultimo esame all'Università; l'Italia entra in guerra e Gramsci sente, come non prima, la necessità di un impegno politico diretto e assiduo.

 

 

[modifica] L'attività giornalistica

Dai primi mesi del 1916, in piena guerra, è uno dei tre redattori del settimanale della Sezione socialista torinese Il Grido del popolo e del foglio torinese dell'Avanti! nella rubrica Sotto la Mole; vi pubblica brevi pezzi pamphlettistici e di critica teatrale. Dirà più tardi di aver scritto, in dieci anni di giornalismo, «quindici o venti volumi di 400 pagine, ma scritte alla giornata e dovevano morire dopo la giornata» e si vanterà di aver contribuito a rendere popolare il teatro di Pirandello, allora incompreso e deriso. Si toglie dall'isolamento della sua vita di studente povero e scontroso, frequentando operai, tenendo alcune conferenze nei circoli socialisti e scrive da solo il numero unico del giornale dei giovani socialisti La Città futura, uscito l'11 febbraio 1917.

 

Qui mostra la sua intransigenza politica, la sua ironia, anche contro i socialisti riformisti, il fastidio verso ogni espressione retorica ma anche la sua formazione idealistica, i suoi debiti culturali nei confronti di Croce, superiori perfino a quelli dovuti a Marx: «in quel tempo» - scriverà - «il concetto di unità di teoria e pratica, di filosofia e politica, non era chiaro in me e io ero tendenzialmente crociano».

 

Nel marzo 1917 lo zar di Russia è rovesciato e viene instaurato un moderato governo liberale; le notizie giungono in Italia parziali e confuse, ma il 29 aprile scrive che «la rivoluzione russa è [...] un atto proletario e essa naturalmente deve sfociare nel regime socialista» e in maggio sostiene che Lenin «ha suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni bolscevichi sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il socialismo».

 

Anche in Italia le difficoltà della guerra e l'eco della rivoluzione russa portano a sommosse spontanee duramente represse dal governo; la rivolta per il pane di Torino del 25 agosto 1917 provoca una dura reazione: 50 morti, più di duecento feriti, Torino dichiarata zona di guerra e conseguente applicazione della legge marziale, arresti a catena che colpiscono non solo coloro che alla sommossa avevano partecipato ma indiscriminatamente anche elementi politici d'opposizione e segnatamente l'intero nucleo della sezione socialista con l'accusa di istigazione alla rivoluzione. In conseguenza dell'emergenza venutasi a creare, la direzione della Sezione socialista torinese viene assunta da un comitato di dodici persone, del quale fa parte anche Gramsci, il quale rimane l'unico redattore de Il Grido del popolo che cesserà le pubblicazioni il 19 ottobre 1918.

 

I bolscevichi prendono il potere in Russia il 7 novembre 1917 ma per settimane in Europa giungono solo notizie confuse, finché il 24 novembre l'edizione nazionale dell' Avanti! esce con un editoriale dal titolo La rivoluzione contro il Capitale, firmato da Gramsci.

 

«La rivoluzione dei bolscevichi è la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale [...] era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale [...] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore [...] vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai [...] che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche».

 

Finita la guerra, dal 5 dicembre 1918 Gramsci lavora unicamente all'edizione piemontese dell' Avanti! ma i giovani socialisti torinesi, Gramsci, Tasca, Togliatti e Terracini intendono esprimere, dopo la rivoluzione russa, nuove esigenze nell'attività politica socialista, che non sentono rappresentate dalla Direzione nazionale: «Volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza un orientamento, tuffati nell'ardente vita di quei mesi dopo l'armistizio, quando pareva immediato il cataclisma della società italiana». L'1 maggio 1919 esce il primo numero dell' Ordine nuovo con Gramsci segretario di redazione e animatore della rivista.

 

 

[modifica] L'Ordine Nuovo

 La testata del primo numero (1 maggio 1919) de "L'Ordine Nuovo" diretto da Antonio GramsciLa linea politica della rivista, dopo un avvio incerto, si definisce su posizioni nettamente operaistiche: tra i suoi scopi è quello di porre all'ordine del giorno, sotto l'esempio dei Soviet, la necessità d'introdurre nelle fabbriche italiane nuove forme di potere operaio, i consigli di fabbrica; di fronte all'opposizione di Tasca che concepiva il settimanale come una "rassegna di cultura astratta", Gramsci scrisse poi di aver ordito con Togliatti «un colpo di Stato redazionale: il problema delle commissioni interne fu impostato esplicitamente nel numero 7 della rassegna [...] divenne l'idea dell'Ordine nuovo; era posto come problema fondamentale della rivoluzione operaia [...] della libertà operaia».

 

Gli operai amarono il settimanale perché «gli articoli non erano fredde architetture intellettuali, ma sgorgavano dalla discussione nostra con gli operai migliori, elaboravano sentimenti, volontà, passioni reali della classe operaia torinese [...] erano quasi un prendere atto di avvenimenti reali».

 

Appoggia lo sciopero dell'aprile 1920, l'occupazione delle fabbriche del settembre successivo e il fallito sciopero dell'aprile 1921 e polemizza contro la direzione del partito socialista; tanto contro i massimalisti che i riformisti, indica un programma che riscuote l'esplicita approvazione di Lenin al II Congresso della III Internazionale comunista che chiede l'espulsione dal partito dei riformisti e di alcuni dirigenti massimalisti.

 

 

[modifica] La fondazione del Partito comunista

La risoluzione dell'Internazionale comunista che chiedeva ai partiti socialisti l'allontanamento dei riformisti e più in generale dei gradualisti, ossia di coloro che propendevano per la presa del potere per via democratica-elettorale, venne disattesa dal Partito Socialista Italiano. Infatti, a dispetto dell'approvazione e dell'avallo ottenuto dagli ordinovisti da parte di Lenin nel corso del II Congresso dell'Internazionale, alla quale il PSI aveva aderito con il congresso di Bologna tenuto nell'ottobre del 1919, i vecchi dirigenti del partito erano riluttanti e timorosi di fronte alla svolta politica e sociale realizzatasi nel dopoguerra.

 

La scissione si realizza il 21 gennaio 1921, nel Teatro San Marco di Livorno, con la nascita del Partito Comunista d'Italia, sezione italiana dell'Internazionale. Nel Comitato centrale entrano due ordinovisti, Gramsci e Terracini, mentre l'Esecutivo viene composto da Amadeo Bordiga, Bruno Fortichiari, Luigi Repossi, Ruggiero Greco e Umberto Terracini.

 

 Il congresso di LivornoDall'1 gennaio 1921 Gramsci dirige l'Ordine nuovo, divenuto uno dei quotidiani comunisti insieme con Il Lavoratore di Trieste e Il Comunista di Roma, quest'ultimo diretto da Togliatti. La linea del partito è data da Bordiga, del quale Gramsci non condivide le posizioni settarie, senza però prendere contro di esse un'esplicita posizione.

 

In contrasto con le teorie leniniste di utilizzare il parlamento per evidenziare il carattere "borghese" delle istituzioni rappresentative, l'astensionismo di Bordiga, deciso in nome di una presunta purezza politica, evita l'assunzione di dirette responsabilità operative, ponendo il partito in un sostanziale immobilismo con l'effetto di disorientare i suoi stessi simpatizzanti.

 

Nella direzione del giornale guarda con rispetto alle posizioni dei cattolici di sinistra della corrente di Guido Miglioli del Partito popolare, non tollera le tradizionali posizioni anticlericali del movimento socialista, e affida al liberale Piero Gobetti la critica teatrale. Non viene eletto deputato alle elezioni del 15 maggio: non ha capacità oratorie, è ancora giovane e anche la sua conformazione fisica non lo agevola nell'apprezzamento di molti elettori.

 

Esaurita la spinta rivoluzionaria, negli scenari europei si prospetta una reazione politica per fronteggiare la quale sarebbe necessario che i partiti socialisti e comunisti facessero fronte comune, ma Bordiga è contrario a ogni accordo, ancora una volta in contrasto con la direzione dell'Internazionale; nel secondo Congresso Nazionale comunista, tenuto a Roma nel marzo 1922, Gramsci, pur dissentendo privatamente, nuovamente non si esprime contro le posizioni della maggioranza bordighiana.

 

Alla fine di maggio parte per Mosca, designato a rappresentare il Partito italiano nell'esecutivo dell'Internazionale comunista. Vi arriva già malato e nell'estate è ricoverato in un sanatorio per malattie nervose di Mosca. Qui conosce una degente russa, Eugenia Schucht, una violinista che ha vissuto alcuni anni in Italia e, attraverso di lei, la sorella Giulia (1894 - 1980), anch'ella violinista, che aveva abitato diversi anni a Roma diplomandosi al Liceo musicale romano.

 

Giulia, ventiseienne, è bella, alta, ha un aspetto romantico; Gramsci ne è conquistato: ricorderà il «primo giorno che [...] non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi intimidito [...] al giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile [...] ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido». Si sposano nel 1923 e avranno due figli, Delio, il 5 settembre 1924 e Giuliano, il 30 agosto 1926.

 

Di fronte all'avvento al potere di Mussolini, l'Internazionale stabilisce che i comunisti italiani si fondano con la corrente socialista degli internazionalisti e costituiscano un nuovo Esecutivo, mettendo in minoranza Bordiga, sempre contrario a ogni accordo. Ma intanto, in Italia, vengono arrestati, nel febbraio 1923, tanto Bordiga che, in settembre, a Milano, i rappresentanti del nuovo Esecutivo. Gramsci resta così il massimo dirigente del Partito e a novembre si trasferisce a Vienna per seguire più da vicino la situazione italiana.

 

Il 12 febbraio 1924 esce a Milano il primo numero del nuovo quotidiano comunista l'Unità e dal primo marzo la nuova serie del quindicinale l'Ordine nuovo. Il titolo del giornale, da lui scelto, viene giustificato dalla necessità dell' «unità di tutta la classe operaia intorno al partito, unità degli operai e dei contadini, unità del Nord e del Mezzogiorno, unità di tutto il popolo italiano nella lotta contro il fascismo».

 

 

[modifica] Deputato al Parlamento

Viene eletto deputato nelle elezioni del 6 aprile e può rientrare a Roma, protetto dall'immunità parlamentare, il 12 maggio 1924. Nello stesso mese, nei dintorni di Como, si tiene un convegno illegale dei dirigenti delle Federazioni comuniste italiane: i delegati si fingono dipendenti di un'azienda milanese in gita turistica, con tanto di pubblici discorsi fascisti e inni a Mussolini; a parte, discutono della tattica del partito e la linea di Bordiga, pur escluso dall'Esecutivo, risulta ancora nettamente maggioritaria.

 

 Giacomo MatteottiIl 10 giugno un gruppo di fascisti rapisce e uccide il deputato socialista Giacomo Matteotti; sembra che il fascismo stia per crollare per l'indignazione morale che in quei giorni percorre il Paese, ma non è così; l'opposizione parlamentare sceglie la linea sterile di abbandonare il Parlamento (la cosiddetta Secessione dell'Aventino): i liberali sperano in un appoggio della Corona, che non viene, i cattolici sono ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e questi ultimi sono ostili a tutti, comunisti compresi; l'opposizione dell'Aventino, secondo Gramsci, non ha alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione».

 

Malgrado le divisioni dell'opposizione antifascista, Gramsci crede che la caduta del regime sia imminente: il fascismo «è riuscito a costituire un'organizzazione di massa della piccola borghesia. È la prima volta nella storia che ciò si verifica. L'originalità del fascismo consiste nell'aver trovato la forma adeguata di organizzazione per una classe sociale che è sempre stata incapace di avere una compagine e un'ideologia adeguata» ma, secondo lui, «le classi medie che avevano riposto nel fascismo tutte le loro speranze sono state travolte [...] Il Partito fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo, Mussolini non possiede dello statista e del dittatore altro che alcune pittoresche pose esteriori; egli non è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folclore paesano, destinato a passare alla storia nell'ordine delle diverse maschere provinciali italiane, più che nell'ordine dei Cromwell, dei Bolivar, dei Garibaldi».

 

S'inganna, perché l'inerzia dell'opposizione non riesce a dare alternative a quel blocco sociale e i fascisti riprendono coraggio e, soprattutto, ricominciano le violenze squadriste. In una delle tante viene aggredito anche Gobetti. E dopo il 13 settembre, quando il militante comunista Giovanni Corbi uccide in un tram il deputato fascista Armando Casalini, per vendicare la morte di Matteotti, la repressione s'inasprisce.

 

Il 20 ottobre Gramsci propone vanamente che l'opposizione aventiniana si costituisca in Antiparlamento; il 26 parte per la Sardegna, per intervenire al congresso regionale del partito e per rivedere i famigliari. Il 6 novembre si congeda dalla madre, che non avrebbe più rivisto.

 

Il 12 novembre 1924 il deputato comunista Luigi Repossi rientra in Parlamento, dove siedono solo i deputati fascisti e i loro alleati, per commemorare Matteotti, e il 26 vi rientra tutto il gruppo parlamentare comunista.

 

Il 27 dicembre 1924 il quotidiano Il Mondo pubblica le dichiarazioni di Cesare Rossi, già capo ufficio stampa di Mussolini, a proposito del delitto Matteotti: «Tutto quanto è successo è avvenuto sempre per la volontà diretta o per l'approvazione o per la complicità del duce» e il 3 gennaio 1925 Mussolini, in un discorso rimasto famoso, dichiara alla Camera dei deputati di assumersi «la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto», dando il via a una nuova azione repressiva.

 

Dal febbraio all'aprile 1925 Gramsci è a Mosca per conoscere finalmente il figlio Delio e rivedere la moglie. Il 26 maggio, in Italia, tiene il suo primo - e unico - discorso in Parlamento, davanti all'ex compagno di partito Mussolini, ora Primo ministro; con il pretesto di colpire la Massoneria, il governo aveva predisposto un disegno di legge per disciplinare l'attività di associazioni, enti e istituti: secondo Gramsci «con questa legge voi sperate di impedire lo sviluppo di grandi organizzazioni operaie e contadine [...] voi potete conquistare lo Stato, potete modificare i codici, potete cercar di impedire alle organizzazioni di esistere nella forma in cui sono esistite fino adesso ma non potete prevalere sulle condizioni obbiettive in cui siete costretti a muovervi. Voi non farete che costringere il proletariato a ricercare un indirizzo diverso [...] le forze rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a realizzarsi».

 

 

[modifica] Il Congresso di Lione

 Una via di LioneDal 20 al 26 gennaio 1926 si svolge clandestinamente a Lione il III Congresso del Partito dove la maggioranza che ha a capo Gramsci presenta le sue Tesi congressuali.

 

Con un capitalismo debole e l'agricoltura alla base dell'economia nazionale, in Italia si assiste al compromesso fra industriali del Nord e proprietari fondiari del Sud, ai danni degli interessi generali della maggioranza. Il proletariato, in quanto forza sociale omogenea e organizzata rispetto alla piccola borghesia urbana e rurale, che ha interessi differenziati, viene visto, nelle sue Tesi, come l'unico elemento che abbia una funzione unificatrice di tutta la società.

 

Secondo Gransci il fascismo non è, come ritiene Bordiga, l'espressione di tutta la classe dominante ma è il prodotto politico della piccola borghesia urbana e agraria che ha consegnato il potere alla grande borghesia, e la sua tendenza imperialistica è l'espressione della necessità, da parte delle classi industriali e agrarie, «di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per la risoluzione della crisi della società italiana» che tuttavia permette, per la sua natura oppressiva e reazionaria, una soluzione rivoluzionaria delle contraddizioni sociali e politiche; le due forze sociali idonee a dar luogo a questa soluzione sono il proletariato del Nord e i contadini del Mezzogiorno. A questo scopo, il Partito andrà bolscevizzato, ossia organizzato per cellule di fabbrica e disciplinato negando al suo interno la possibilità dell'esistenza delle frazioni.

 

Il Congresso approva le Tesi a grande maggioranza ed elegge il Comitato centrale con Gramsci segretario del Partito.

 

 

[modifica] La questione meridionale

Tornato a Roma, ha il tempo di passare alcuni mesi con la famiglia. La moglie, che aspetta il secondo figlio Giuliano, lascia l'Italia il 7 agosto 1926, mentre la cognata Eugenia torna a Mosca il mese dopo con il figlio Delio; Gramsci scrive del figlio che «mi pare che ora incominci per lui una fase molte importante, quella che lascia ricordi più tenaci, perché durante il suo sviluppo si conquista il mondo grande e terribile». Ma non sarà mai parte dei ricordi del figlio, perché non lo vedrà più.

 

Nel settembre inizia a scrivere un saggio sulla questione meridionale, Alcuni temi sulla questione meridionale, in cui analizza gli anni dello sviluppo politico italiano dal 1894, anno dei moti dei contadini siciliani, seguito nel 1896 dall'insurrezione di Milano repressa a cannonate dal governo. Secondo Gramsci, la borghesia italiana, impersonata politicamente da Giovanni Giolitti, di fronte all'insofferenza delle classi emarginate dei contadini meridionali e degli operai del Nord, piuttosto che allearsi con le forze agrarie, cosa che avrebbe dovuto comportare una politica di libero scambio e di bassi prezzi industriali, scelse il blocco industriale - operaio, con un conseguente protezionismo doganale unito a concessione di libertà sindacali.

 

Di fronte alla persistenza dell'opposizione operaia, manifestatasi anche contro i dirigenti socialisti riformisti, Giolitti cercò un accordo con i contadini cattolici del Centro - Nord. Il problema è allora, per Gramsci, una politica di opposizione che rompa l'alleanza borghesia - contadini, facendo convergere questi ultimi in un'alleanza con la classe operaia.

 

La società meridionale, secondo Gramsci, è costituita da tre classi fondamentali: braccianti e contadini poveri, politicamente inconsapevoli; piccoli e medi contadini che non lavorano la terra ma dalla quale ricavano un reddito che permette loro di vivere in città, spesso come impiegati statali, i quali disprezzano e temono il lavoratore della terra e fanno da intermediari al consenso fra i contadini poveri e la terza classe, quella dei grandi proprietari terrieri, che a loro volta contribuiscono alla formazione dell'intellettualità nazionale, con personalità del valore di Benedetto Croce e di Giustino Fortunato e sono, con quelli, i principali e più raffinati sostenitori della conservazione di questo blocco agrario.

 

Per poter spezzare questo blocco occorrerebbe la formazione di un ceto di intellettuali medi che interrompano il flusso del consenso fra le due classi estreme favorendo così l'alleanza dei contadini poveri con il proletariato urbano.

 

 

[modifica] L'arresto, il processo e il carcere

Scrive una lettera al Comitato centrale del Partito bolscevico nel quale, dopo la morte di Lenin, è iniziata una lotta fra le diverse correnti: «oggi voi state distruggendo l'opera vostra, voi degradate e correte il rischio di annullare la funzione dirigente che il Partito comunista dell'URSS aveva conquistato [...] i vostri doveri di militanti russi possono e debbono essere adempiuti solo nel quadro degli interessi del proletariato internazionale». Ma Togliatti, delegato a Mosca, preferisce non inoltrarla.

 

Il 31 ottobre 1926 Mussolini subisce a Bologna un attentato senza conseguenze personali, che viene però preso a pretesto per eliminare gli ultimi residui di democrazia: il 5 novembre il governo scioglie i partiti politici di opposizione e sopprime la libertà di stampa. L'8 novembre, in violazione dell'immunità parlamentare, Gramsci viene arrestato nella sua casa e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Dopo un periodo di confino a Ustica, il 7 febbraio 1927 viene detenuto nel carcere milanese di San Vittore.

 

Il processo a ventidue imputati comunisti, fra i quali Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro, Giovanni Roveda ed Ezio Riboldi, inizia a Roma il 28 maggio 1928; presidente del Tribunale Speciale Fascista, istituito il 1 febbraio 1927, è il generale Alessandro Saporiti e ha per giurati cinque consoli della milizia fascista. Gramsci è accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all'odio di classe.

 

Il pubblico ministero Michele Isgrò, a conclusione della sua requisitoria, dichiara che «per vent'anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare» e infatti Gramsci, il 4 giugno, è condannato a venti anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione; il 19 luglio raggiunge il carcere di Turi, in provincia di Bari.

 

 La tomba di GramsciL'8 febbraio 1929 ottiene finalmente l'occorrente per scrivere e inizia la stesura dei suoi Quaderni del carcere. Dal 1931 Gramsci soffre di una grave malattia, il morbo di Pott, oltre a principi di tubercolosi e di arteriosclerosi, e può ottenere una cella individuale; cerca di reagire alla detenzione studiando ed elaborando le proprie riflessioni politiche, filosofiche e storiche, tuttavia le condizioni di salute peggiorano e in agosto Gramsci ha un'improvvisa e grave emorragia.

 

Il 30 dicembre 1932 muore la madre e i famigliari preferiscono non informarlo. Il 7 marzo 1933 ha una seconda grave crisi, con allucinazioni e deliri: a Parigi si costituisce un comitato, di cui fanno parte, fra gli altri, Romain Rolland e Henri Barbusse, per la liberazione sua e di altri detenuti politici, ma solo il 19 novembre Gramsci viene trasferito nell'infermeria del carcere di Civitavecchia e poi, il 7 dicembre, nella clinica del dottor Cusumano a Formia, sorvegliato sia in camera che all'esterno.

 

Il 25 ottobre 1934 viene accolta da Mussolini la richiesta di libertà condizionata ma non è libero nei suoi movimenti, tanto che gli è impedito di andare a curarsi altrove, perché il governo teme una sua fuga; solo il 24 agosto 1935 può essere trasferito nella clinica "Quisisana" di Roma. È in gravi condizioni: oltre al morbo di Pott, alla tisi e all'arteriosclerosi, soffre di ipertensione e di gotta.

 

Il 21 aprile 1937 Gramsci riacquista la piena libertà ma è ormai gravissimo in clinica: muore all'alba del 27 aprile, a quarantasei anni, di emorragia cerebrale. Cremato, il giorno seguente si svolgono i funerali, cui partecipano soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana: le ceneri vengono inumate nel cimitero del Verano e di qui trasferite, dopo la Liberazione, nel Cimitero acattolico di Roma.

 

Fonte: http://it.wikipedia.org/

 

Welfare Italia
Hits: 1818
Il punto >>
I commenti degli utenti (Solo gli iscritti possono inserire commenti)
Terza pagina

Sondaggi
E' giusto che Bersani si accordi con Berlusconi per le rifome ?

Si
No
Non so
Ultime dal Forum
La voce del padrone di Lucio Garofalo
Salotti culturali dell'Estate bolognese
Pippo Fallica querelo' Corriere della Sera e La Sicilia?
NO LEADER, NO PARTY di Luigi Boschi
UN PARTITO LENINISTA (LEGA) CHE SPOSA IL VATICANO di A.De Porti
POESIA DI VITA di Luigi Boschi
La vita spericolata del premier di Silvia Terribili
Romea Commerciale di Orlando Masiero
Sondaggio, 15mila i voti finora espressi
Buon che? di Danilo D'Antonio
L'Italia è una Repubblica "antimeritocratica" fondata sul lavoro precario
LA PROTESTA DEI SANGUINARI di Luigi Boschi
L'AQUILONE STRAPPATO di Antonio V. Gelormini
Il reality scolastico su "Rai Educational"
Vuoto indietro diventa proposta di legge,





| Redazione | Contatti | Bannerkit | Pubblicità | Disclaimer |
www.welfareitalia.it , quotidiano gratuito on line, è iscritto nel registro della stampa periodica del Tribunale di Cremona al n. 393 del 24.9.2003- direttore responsabile Gian Carlo Storti