2.05.2007
Dalla preistoria alla storia.
Jean Louis Poveda alla Galleria Art-Studio nel Campo del Ghetto a Venezia.
In questa piccola, ma esclusiva Galleria-studio di proprietà e direzione dell'artista Francoise Calcagno dal 7 al 20 aprile espone il raffinato pittore francese Jean Louis Poveda. La Calcagno è uscita dall'Accademia veneziana e non solo si esprime in qualificate forme astratte, ma accoglie ed espone artisti di valore, come Poveda, organizzando vernici di colta tradizione come quella di apertura, dove un attento pubblico internazionale ha ascoltato con partcipazione la lettura delle poesie ispirate al deserto di Janine Gdalia, recitate dall'autrice.
Poveda è nato nel 1947 a Mascara nel Nord Africa e conserva per sempre nel cuore l'oro del deserto con l'azzurro del cielo e del Mare Mediterraneo. Poveda dedica la sua attività non solo alla pittura e all'incisione, vivendo tra Montpellier e Parigi, ma anche all'architettura e alla decorazione lavorando come scenografo con importanti registi quali Francois Truffaut, Claude Chabrol, Claude Lelouch, Bertrand Tavernier.
Quando si addentra fra le solari visioni de “il deserto” la sorpresa del visitatore della Mostra è felice, anche perchè si proviene dal magico Campo, dove si aggirano gli ebrei dai lunghi capelli e barbe scure in austeri abiti neri, dove i bassorilievi bronzei ricordano le deportazioni, dove si aprono le mirabili sinagoghe del Ghetto più antico d'Europa.
La Mostra, composta da 26 quadri dipinti a tempera, è intitolata “il deserto”, tema ricco di suggestioni, di simbologie e di poesia. Quadri di piccola misura, ma di grande significato: si conquista il mondo del silenzio, il colore di Ain Sefra “il fiume giallo” alle porte del Sahara, la dimensione della speranza.
Le esili figurine che salgono al cielo stanno fra la citazione dell'epoca neolitica delle incisioni rupestri dell'Algeria e la tensione odierna verso la pace, ambita al di là degli spazi chiusi, e addirittura scortata da un volo di colombe bianche. E' forse lo sciamano che invita a raggiungere la luce del sole?
Nell'arido deserto crescono le palme da dattero, con i loro frutti provvidenziali, dono di Allah,
“fruit de sable”, sfilano i cammelli lenti ma indomiti, l'uomo vicino alle oasi riesce a vivere, addirittura a costruirsi e coltivare un giardino segreto, un lembo di paradiso che esalta la preziosità dell'acqua, ed anche una modesta dimora sorvegliata da cipressi, nella forma dei quali gli arabi riconoscono la figura femminile.
Nel dipinto “le Kreder”, che prende il titolo dal nome di una località , il villaggio di sapore protostorico ha il suo fascino per i singolari rapporti dimensionali che legano i segmenti dei prospetti, rendendo un'immagine di vibrante chiaroscurata compiutezza nell'ambiente informe, che così si definisce. Il villaggio suggerisce una valutazione degli aspetti culturali di una comunità primitiva, di una cellula di futura urbanizzazzione, sulla base di un fondamento economico minimale, ancora dominato dalla natura.
Nel deserto l'afflato biblico raggiunge il suo diapason nel Sinai, montagna sacra a Mosè e a quella legge consegnata da Dio. La scabra roccia sembra trattenere o rispecchiare i fulgori dei raggi divini, mentre nel cielo si intravvedono in pallide righe luminose i messaggi del Verbo.
Le religioni monoteiste, nate e cresciute nel Medio Oriente, promettono la pace solo se l'uomo saprà capire, rispettare, far risuonare nella sua intimità le verità rivelate, se saprà con sapienza comprendere la sua missione sulla terra e aspettare con fiducia e pazienza, così come indicano i due arcaici volti del dipinto “attendre”.
Anna Paola Zugni-Tauro
Venezia, 16 aprile 2006
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