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Perché sabato non saremo a Piazza San Giovanni .
10.05.2007
Alcuni giovani cattolici dicono la loro su Family day con una lezione sulla laicità ai laicisti di Piazza Navona e una riflessione alla comunità ecclesiale, pastori compresi.
Cordialità
Claudio Michelotti

***

Perché sabato non saremo a Piazza San Giovanni.
Una lettera aperta di giovani impegnati nel mondo ecclesiale.

In molti domenica scorsa abbiamo provato un sincero disagio a trovare nel foglietto parrocchiale o a sentire nelle omelie l'invito a partecipare al "family day" del 12 maggio. Manifestazione che assume i chiari connotati di una battaglia politica in cui la gerarchia ecclesiastica assume un ruolo diretto al di là delle formule: "I nostri vescovi invitano a partecipare a…".

Non si sopportano davvero più gli eccessi polemici di queste settimane, le lamentazioni fondamentaliste dei soliti laicisti anticlericali, così come la pastorale dello slogan o peggio, evento mediatico, del noi e del voi… Non neghiamo il diritto dei Vescovi di esprimere un parere (ci mancherebbe), ma ci spaventa il tentativo, anche implicito, di superare la Mediazione politica e culturale.

Vi è poi la sensazione di una diffusa tristezza nel Popolo di Dio, di una incredibile debolezza ecclesiale e soprattutto di un vuoto etico, non quello dei dico o delle unioni di fatto che dir si voglia, ma quello di chi ha smesso di credere alla forza evangelica della testimonianza e si rifugia in una manifestazione d'orgoglio identitario.

Siamo tutti consapevoli della crisi che la nostra società attraversa, della mancanza di punti di riferimento, di grandi spinte ideali, di grandi speranze, della drammatica liquidità che caratterizza tutte le forme di relazione. Viviamo in un mondo che esalta la competizione, il successo, l'affermazione individuale e troppo spesso dimentica la straordinaria esperienza della comunione, della condivisione. Un tempo in cui l'egoismo cronico domina i rapporti, l'insicurezza in cui cresciamo fa si' che il numero e la velocità delle esperienze conti più del senso, della ragione profonda delle stesse. La paura di scegliere prevale sulla gioia della Scelta, che è anche rinuncia, perche' è dono totale, unico ed irrepetibile all'altro. Ma siamo davvero sicuri che sia il riconoscimento pubblico delle coppie di fatto a mettere in crisi la fedeltà, l'impegno, la scelta di un Amore duraturo, non "liquido" direbbe Bauman, non flessibile, non riscrivibile, la scelta della Famiglia? … O non è piuttosto il tipo di società che abbiamo creato, il modello di consumo su cui la nostra società si è plasmata negli ultimi anni, l'impossibilità per i giovani di costruire ad un progetto di vita a tempo indeterminato? Un problema strutturale, un problema culturale si risolve davvero con una battaglia politica contro quella o questa legge, con la minaccia di scomuniche o le indicazioni vincolanti ai parlamentari credenti? Non rischiamo forse di inasprire lo scontro, di rafforzare il muro di incomunicabilità che si è creato tra credenti e non credenti?

Da cristiani siamo preoccupati non tanto della rilevanza politica o giuridica del Magistero, quanto della dell'anoressia spirituale della Società in cui viviamo. Non tanto della nostra capacità di affermare od imporre ex lege i "nostri valori", ma di comunicare la straordinaria Bellezza del matrimonio, la Felicità e l'energia che produce la relazione gratuita, l'amore disinteressato, quello che sa superare anche la delusione umana, i dolori e le angosce che due persone possono procurarsi Vorremo una Chiesa capace di parlare a questo mondo e a questo tempo.

Ci preoccupa seriamente la riduzione della fede a contenuto morale, religione civile, patrimonio identitario e residualmente difensivo, lo sbandieramento della propria verità che è la negazione della prassi evangelica.

La fede si rivolge al trascendente, "all'assoluto", la democrazia è manifestazione del "relativo". La laicità quindi è uno strumento irrinunciabile, in particolare nel nostro tempo, per cercare di rendere conciliabile questa apparente contraddizione, elemento di libertà e fermento di incontro in ambito religioso, sociale, civile e politico

Certo "la fede non è un bagaglio lieve" come diceva il teologo Pierre Riches ai suoi giovani .

E' per questo che ci preoccupa chi cerca la Certezza nelle radici e non la Verità nel confronto, nella discussione, nei frutti, come ha detto il rabbino di Francia (ma anche secondo lo spirito della nostra Corte Costituzionale): " compito della laicità non è costruire degli spazi svuotati dal religioso, ma offrire uno spazio in cui tutti, credenti e non credenti, possono trattare di ciò che è accettabile e di ciò che non lo è". . La fede che i nostri padri spirituali ci hanno aiutato a scoprire non è un presepe in una scuola, non è un crocifisso in un tribunale nè tanto meno uno slogan in una manifestazione. Ci preoccupa chi pensa di ridurre la Verità ad un copyright, una proprietà intellettuale. Chi cerca di vendere certezze e non di educare alla sfida della Ragione e alla scoperta delle Verità dell'Altro. La nostra fede non è tradizione popolare. Sono persone, volti, dubbi e speranze, di testimonianza ed appassionata ricerca dell'Assoluto di fronte al quale leggi, manifestazioni, slogan rivestono un valore relativo. E' per questo che sabato non scenderemo in piazza.

Osea Giuntella
Francesco Lauria
Dario Continenza

www.larete.ilcannocchiale.it

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