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31.05.2007
Per il sottosegretario alla Giustizia Manconi l'appello è un "paradosso comprensibile" - Tra i 310 firmatari i responsabili dell'omicidio del giudice Livatino e di Giancarlo Siani - Gli ergastolani scrivono a Napolitano "Siamo stanchi. Condannateci a morte"
Alberto Custodero su La Repubblica
ROMA - Meglio morire che restare a vita in carcere.
Trecentodieci
ergastolani si sono rivolti al capo dello Stato chiedendogli di
essere condannati a morte. A Giorgio Napolitano quei 310 detenuti
con sentenza "fine pena mai" hanno spedito altrettante lettere che
si concludono con una richiesta che il sottosegretario alla
Giustizia, Luigi Manconi, ha definito "tragicamente paradossale, e
tuttavia comprensibile". Eccola: "Signor presidente della
Repubblica, siamo stanchi di morire un pochino tutti i giorni.
Abbiamo deciso di morire una volta sola, le chiediamo che la nostra
pena dell'ergastolo sia tramutata in pena di morte". Ecco come i
condannati al carcere perpetuo hanno spiegato la loro
provocazione. "L'ergastolo è l'invenzione di un non-dio di una
malvagità che supera l'immaginazione. È una morte bevuta a sorsi. È
una vittoria sulla morte perché è più forte della morte stessa".
Oltre alla lettera al presidente, i detenuti a vita hanno pure
dedicato una "ballata dell'ergastolano" (sogni che iniziano dove
finiscono/prigionieri per sempre/non ci uccidono, peggio: ci
lasciano morire per sempre), a tutti i senatori che discuteranno il
ddl per l'abolizione dell'ergastolo. Tra quei 310 detenuti rinchiusi
per sempre in prigione ci sono persone che hanno ucciso, fatto parte
di associazioni terroristiche come Prima Linea e criminali come
mafia, camorra, 'ndrangheta e Sacra Corona. Ci sono i condannati per
l'omicidio del giudice Livatino, del giornalista del Mattino
Giancarlo Siani, i killer dello studente sedicenne Donato Cefola,
boss che legano il loro nome ai clan che si arricchiscono talmente
tanto con estorsioni e traffico di droga da comparire al primo posto
nella classifica Eurispes sui patrimoni mafiosi.
Eppure, una volta che con un "mai" si indica la fine della pena a
cui sono stati condannati, per loro inizia "una sofferenza
infinita". Quelli che una volta erano boss temutissimi, malavitosi
pericolosi, killer e assassini spietati, diventano - per usare le
parole scritte nella loro lettera a Napolitano - "esseri non morti,
ma neppure vivi". Perché, spiegano, "l'ergastolo trasforma la luce
in ombra, ti fa morire dentro a poco a poco". La condanna
perpetua "rende inutile la vita, fa sembrare il futuro uguale al
passato". "Schiaccia il presente e toglie la speranza".
"All'ergastolano - raccontano al presidente della Repubblica -
rimane solo la vita. Ma la vita senza futuro è meno di niente. È
piatta ed eterna". E poi ancora, "l'ergastolo è una pena stupida
perché non c'è persona che rimanga la stessa nel tempo".
Per la senatrice Maria Luisa Boccia, Prc, prima firmataria di un
disegno di legge per l'abolizione dell'ergastolo, "il "tragico
paradosso" è dovuto al contrasto fra la Costituzione, secondo cui la
pena è finalizzata al reinserimento sociale, e l'ergastolo, che nega
questa possibilità a chi sta in galera tutta la vita". "Ecco perché -
ha aggiunto la senatrice - nel disegno di legge chiedo che il "fine
pena mai" sia sostituito da una condanna a termine, ad esempio 30
anni". Sulla crudeltà della pena a vita, spiega la senatrice
Boccia, "basti ricordare come il codice penale francese del 28
settembre 1791, pur prevedendo la pena di morte, avesse abolito
l'ergastolo, ritenuto, molto più della pena capitale, disumano,
illegittimo e inaccettabile nella misura in cui rende l'uomo schiavo
in nome di una pretesa superiore ed inviolabile ragion di Stato".
È stato un ergastolano, Carmelo Musumeci, uno dei primi, forse il
primo, ad avere avuto l'idea di invitare i detenuti nelle sue
condizioni a "mettersi d'accordo e smettere tutti insieme di bere la
morte a sorsi". Il tam-tam carcerario ha fatto il resto: la lettera
con la richiesta di trasformare l'ergastolo in pena di morte è
passata di prigione in prigione, di cella in cella, di mano in mano.
E 310 copie firmate da altrettanti ergastolani sono arrivate al
Quirinale e, per conoscenza (come prima firmataria del ddl), anche a
Maria Luisa Boccia. Ha chiesto al Presidente se intendesse
rispondere a quelle missive, la senatrice di Rifondazione, e
Napolitano le ha risposto attraverso il segretario generale Donato
Marra.
"Il Capo dello Stato - si legge nella lettera del segretario
generale della Presidenza della Repubblica - guarda con grande
attenzione ai temi della giustizia e, tra questi, a quelli che
attengono alla libertà delle persone e alla funzione della
pena". "Più volte il Presidente ha auspicato un "ripensamento
dell'intero sistema sanzionatorio e della gestione delle pene". "Le
soluzioni di tali problemi allo stato molto controverse - conclude
la risposta del Quirinale - allo sono, però, di stretta competenza
degli organi parlamentari e di governo che sapranno affrontarli con
lo spirito costruttivo e la tensione ideale che richiedono".
da www.repubblica.it del 31 maggio 2007
Welfare Italia
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