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Vera Governance (di Donata Gottardi) |
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15.06.2007
In questa fase critica che investe l'Unione europea, di confronto
tra proposte che mirano a superare lo stallo della pausa di
riflessione sulla Costituzione, può essere utile fare un
ragionamento sulle riforme necessarie ad adeguare le istituzioni e
le politiche dell'Unione europea all'allargamento e alle sfide
internazionali. Declinando questa riflessione nell'ambito delle
politiche economiche e della governance economica europea, risulta
necessario definire, almeno in termini di analisi, la direzione da
prendere e gli strumenti da mettere in atto.
L'Unione europea si fonda sulla libera circolazione di capitali,
beni e servizi e su un sistema di norme europee per la concorrenza
efficiente, ha una politica comune e si presenta come attore
unitario nel sistema regolamentato del commercio internazionale, si
è data una moneta unica e una Banca centrale europea che definisce
una politica monetaria, ha creato su un mercato pressoché
armonizzato dei servizi finanziari e bancari, ha elaborato una
strategia per l'occupazione e per lo sviluppo di un'economia basata
sulla conoscenza ma - paradossalmente, nonostante tutto questo - non
si è ancora posta l'obiettivo di definire una comune politica
economica, solo il Patto di stabilità ha garantito un minimo di
convergenza delle finanze pubbliche dei paesi europei.
Ciò che pare grave non è tanto che non esista allo stato attuale una
politica economica europea a fronte di una moneta unica ed un
mercato unico, ma che l'obiettivo di una governance economica
europea non sia tra le priorità e le ragioni della necessità di un
trattato costituzionale. Come non rendersi conto che la strategia di
Lisbona per essere realizzabile ha bisogno di una politica economica
europea che definisca gli obiettivi di bilancio, in particolare gli
obiettivi e le risorse per gli investimenti? Come non rendersi conto
che - nel contesto del mercato interno europeo e internazionale - il
livello e lo spazio possibile di un'efficace azione politica per la
crescita economica e l'occupazione è europeo?
Forse gli Stati membri si illudono di poter disporre di autonomia o
spazio di manovra perché mantengono i loro poteri sovrani sulla
politica economica e la fiscalità , ma a quale fine? con quale
efficacia? Non avendo più competenze in termini di politica
monetaria, nessun governo può utilizzare i tassi di cambio e di
interesse per influire in modo strumentale sulla competitività delle
proprie esportazioni e/o di alcuni settori industriali. Avendo dei
limiti chiari da rispettare in termini di deficit, debito pubblico
ed inflazione, quale spazio effettivo e utile resta ai governi
nazionali per determinare politiche economiche adeguate per
rispondere alle sfida duplice della globalizzazione e della
riforma/sostenibilità del sistema sociale? Fino a quando saranno
sostenibili – in termini occupazionali e di coesione sociale - le
divergenze nazionali di crescita, produttività e competitivitÃ
all'interno dell'area euro a fronte di strategie industriali e
produttive che gli attori economici definiscono al di là di ogni
frontiera? E con quali costi, in termini di potenzialità frustrata,
di ricchezza e benessere non realizzati a favore dei cittadini,
delle imprese e dei lavoratori, soprattutto di quelli più esposti
alla concorrenza internazionale (non sempre leale e basata regole
comuni)? Sarebbe davvero illuminante poter disporre di una
valutazione che stimasse le perdite, il costo della non governance
economica europea. Come pensano i singoli governi europei di poter
definire una propria politica nazionale degli investimenti efficace
e rilevante - senza una politica europea per gli investimenti -
quando flussi finanziari e di capitali muovono cifre come 1.7
trilioni di dollari secondo delle strategie di speculazione
finanziaria anziché di investimento economico di lungo periodo?
Il
boom dello sviluppo di Hedge Funds e Private Equities è in atto
anche in Europa, attualmente gli investimenti di buy-out (di
acquisizione e vendita di società ) ammontano al 70% dell'insieme
delle operazioni di acquisizione/fusione in corso a fronte di un 5%
di operazioni di investimento di capitali di impresa. Questo appare
assai preoccupante se misurato rispetto agli obbiettivi di
investimento di lungo periodo fissati con la strategia di Lisbona.
Di fronte alla finanziarizzazzione dell'economia, basata su
investimenti di immediato ritorno finanziario a detrimento di
strategie di investimento di lungo periodo finalizzate alla gestione
sana di imprese e alla creazione di occupazione e ricchezza diffusa,
ci rendiamo conto che la discrasia tra gli obiettivi che l'Europa si
è fissata e gli strumenti che si è data è troppo forte.
La strategia di Lisbona ha definito i giusti obiettivi, in termini
di occupazione, crescita e competitività , di sviluppo dell'economia
della conoscenza, degli investimenti in ricerca e del capitale
umano. La realizzazione di tali obiettivi richiede, però, un governo
economico europeo senza il quale non sarà possibile rispondere in
modo adeguato alle sfide internazionali, delle nuove tecnologie e
della finanziarizzazione dell'economia, senza il quale non sarÃ
possibile riformare e proteggere il modello sociale europeo. E'
necessario prendere coscienza della necessità e dell'urgenza di una
governance economica europea, per dare un senso di marcia allo
sviluppo dell'integrazione europea che sia coerente con le scelte
del mercato unico e della moneta unica e capace di garantire
sviluppo, benessere, sostenibilità ambientale e coesione sociale.
Donata Gottardi, Parlamentare Europeo Gruppo PSE
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