Corriere della Sera, 23 giugno 2007
Il Cancelliere tedesco e la linea della fermezza
TRAUMI E DELUSIONI di FRANCO VENTURINI
Per cinque volte, nel corso di uno dei vertici più drammatici che l'Europa abbia conosciuto, Angela Merkel ha preso da parte Lech Kaczinsky e ha cercato di convincerlo. Per cinque volte il presidente polacco ha telefonato al gemello Jaroslaw. E per cinque volte l'intransigente primo ministro rimasto a Varsavia ha risposto che le offerte non erano sufficienti, che il sistema di voto andava ulteriormente modificato, che la Polonia era pronta a porre il veto - sola contro 26 - pur di non vedere diminuito il suo potere di blocco delle decisioni comunitarie e di non dare soddisfazione alla presidenza tedesca.
Si è andati avanti così, ieri a Bruxelles, per tutta la giornata e per buona parte della notte. Più i polacchi tiravano la corda e più il pacchetto delle altrui concessioni si arricchiva: prima la cosiddetta formula di Ioannina (se manca poco al raggiungimento della minoranza di blocco la maggioranza riconsidera le decisioni prese), poi garanzie supplementari sulle sue modalità di applicazione, poi ancora il rinvio al 2014 delle nuove regole per consentire a Varsavia di affrontare i due prossimi bilanci della Ue con le regole vecchie (e di ottenere così miliardi di euro in più).
Alla fine, esasperata ed esausta, Angela Merkel ha impugnato lei la spada che i polacchi le agitavano davanti: visto che siamo qui per impostare la conferenza intergovernativa che darà i natali al nuovo Trattato dell'Unione, ha detto, propongo che i lavori si aprano senza la Polonia. Una esplicita minaccia di emarginazione che Varsavia forse non aveva previsto, e che trova un solo parziale precedente nelle maniere forti usate da Craxi con la signora Thatcher al vertice milanese dell'85.
Anche Sarkozy e Blair hanno allora chiamato Jaroslaw Kaczinsky a Varsavia. E così il «gemello cattivo», assediato dalle pressioni e spinto sull'orlo della squalifica europea, ha finalmente autorizzato il «gemello buono» ad accettare le offerte dei Ventisei non prima di aver strappato un ulteriore periodo transitorio sulla disciplina di voto dal 2014 al 2017.
Comprensibilmente è emersa a questo punto la delusione degli europeisti più convinti guidati da Prodi e da Zapatero, consapevoli di dover accettare a denti stretti una lunga serie di compromessi al ribasso che l'Europa non mancherà di pagare in termini di efficienza decisionale e di ambizioni politiche.
Blair, che in questo singolare vertice dei telefoni bollenti ha chiamato più volte Londra per consultare il suo successore designato Gordon Brown, ha aggravato il bilancio già pesante della «sindrome polacca». Sulla cooperazione giudiziaria e di polizia, sull'immigrazione, sulle nuove materie che saranno decise a maggioranza qualificata, la voglia di sovranità britannica è stata accontentata con un ampio ricorso alle deroghe nazionali.
La Carta dei Diritti sarà resa vincolante con un richiamo indiretto, ma non influenzerà la legislazione degli Stati in alcuni settori. Crescerà il peso dei Parlamenti nazionali. Il «ministro degli Esteri» europeo si chiamerà Alto Rappresentante e non avrà alcun tipo di primato sui ministri nazionali, sulla politica degli Stati e sulla loro presenza nel Consiglio di sicurezza dell'Onu. A conti fatti, tra i punti qualificanti della defunta Costituzione sopravvivono la presidenza più stabile e più durevole, l'estensione non per tutti delle decisioni a maggioranza qualificata, la personalità giuridica dell'Unione, un menomato Alto Rappresentante e poco altro.
Sulla visione di alcuni hanno prevalso i fronti interni di altri, come è logico che accada nell'Europa a Ventisette.
Viene da pensare che Angela Merkel, forse, avrebbe fatto meglio a non posare la spada sull'altare di un accordo a tutti i costi.
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