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la marcia di Veltroni (di Samuele Gronchi)
25.06.2007
Mercoledì si riparte da qui. Si riparte dal Congresso del Lingotto del 2000, quello che Walter Veltroni contraddistinse con lo slogan: “I care”. L’esortazione con cui don Lorenzo Milani incalzava i suoi ragazzi della scuola di Barbiana.

Si riparte da Torino, la metafora di un Risorgimento. La città rinata insieme alla sua Fiat. La Barcellona sulle rive del Po. La città di Sergio Chiamparino, il sindaco in Italia più amato e apprezzato dai suoi cittadini. Si riparte dalla città delle fantastiche Olimpiadi Invernali 2006. La città anche della ritrovata Juventus. Dal palcoscenico di un lavoro che rivendica centralità, dignità e nuove opportunità. Un ponte dal quale dialogare col cosiddetto “cuore produttivo” del Paese. Questa volta si parte dal Nord, il primogenito troppo a lungo trascurato, il cui aiuto richiesto è affetto e attenzione.

Torino come simbolo della modernità e della sfida vinta. Per ripensarsi in una società profondamente e rapidamente mutata. Torino capitale. Come una delle capitali del Nord, quel Nord Italia nel quale è più evidente la crisi di consenso elettorale per il centrosinistra.

Si riparte da “I care”, per testimoniare che il primo impegno riformista è l’occuparsi dello scandalo della disuguaglianza. L’esatto opposto del “me ne frego”. E come Veltroni stesso affermò dalla medesima tribuna del Lingotto: “Dal senso responsabile del sentirsi coinvolti dal punto di vista di chi ha meno ricchezza e meno potere, talvolta né ricchezza e né potere”.

Torino, dunque, è il confine. La frontiera che diventa connessione. Metafora tra il passato, a cui ancorare le fresche radici di un presente ancora esitante, e un futuro a cui affidare le ambizioni di una forza nuova e di un modo nuovo di fare politica. Una buona politica. Ma anche simbolo concreto del cambiamento, perché qui con la Tav, prenderà forma una sorta di speciale accesso Usb: una delle porte ad alta velocità di collegamento, tra l’Europa che corre e il nostro Paese che vorrà tenere il passo. Da Torino, ancora, per tenere fisso lo sguardo sull’unità nazionale.

L’evento è storico e l’attesa è sempre più spasmodica. Poco sarà lasciato al caso e i simboli assumeranno un significato sempre più esplicito. Diventa significativa, mercoledì, anche la coincidenza tra l’investitura per la nuova leadership di Walter Veltroni e l’uscita di scena di Tony Blair. Un passaggio di consegne ideale, che proietta Veltroni verso il vuoto lasciato da Blair sulla scacchiera europea ed internazionale. Con tutte le carte in regola per esserne un degno successore, capace di impostare su nuove basi anche il rapporto con gli Stati Uniti. Soprattutto se l’asse con la Casa Bianca si rinnoverà attraverso le figure familiari di Barack Obama o di Hillary Clinton.

Il sogno spezzato kennediano, da Torino, avrà una sua declinazione tutta italiana. Proverà ad accendere entusiasmi e speranze per un viaggio affascinante da fare insieme, in grande compagnia. La rivisitazione moderna della marcia-icona di un grande pittore piemontese: Giuseppe Pellizza da Volpedo. Sarà una rivoluzione, ma tranquilla e serena.

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