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Teoria e Globalizzazione
17.07.2003
Andrea Micocci
TEORIA E GLOBALIZZAZIONE
Capitalismo è sinonimo di globalizzazione sia da un punto di vista marxista sia per il sistema di pensiero oggi dominante, quello dell’ "economia" tout court. Infatti il mercato è un sistema globale che solo una volta raggiunta dominanza planetaria può funzionare come si deve. Invece il servilismo degli economisti liberisti ha prodotto una riduzione dell’impeto sovra-nazionale che dovrebbe caratterizzare il mercato libero. La così detta economia internazionale ci dice dunque, con David Ricardo (1772-1823), che due nazioni in teoria possono (assumendo per gli stessi beni in ogni paese diversi costi opportunità, cioè i costi relativi alla decisione di produrre una cosa piuttosto che un’altra) trarre reciproco beneficio dall’interscambio concentrandosi sui beni nei quali abbiano un vantaggio in termini di costi "comparati" rispetto all’altro. Tale assestamento aumenterebbe la produzione/produttività di ambedue i paesi, provocando crescita economica nonché innovazione tecnologica. Questo semplice ottimismo è giunto inalterato ai nostri giorni. Oggi lo si chiama Ricardo-Heckscher-Ohlin-Samuelson o costi comparati.

I così detti neoliberisti però trascinano con sé anche tutti gli altri economisti, proditoriamente mischiando all’invito ad aprire le frontiere al commercio del modello Ricardo-Heckscher-Ohlin-Samuelson un misticismo pseudo-Austriaco che attribuisce virtù soprannaturali al mercato. I no-global, e persino i marxisti, non osando criticare il modello dominante si limitano a mostrare empiricamente che la globalizzazione produce sofferenze umane. Ciò è vero, ma fino a che non lo si connetta ad uno schema generale che lo leghi indissolubilmente al fenomeno del libero mercato snocciolare cifre non servirà a nulla.


Vittorangelo Orati ha spavaldamente deciso di criticare il modello dei costi comparati (Globalizzazione Scientificamente Infondata, Editori Riuniti, Roma, 2003, €14). I risultati sono tanto radicali quanto semplicemente inevitabili. Orati dimostra, da un punto di vista teorico ma senza mai perdere contatto con la realtà (del resto ciò è necessario, quando la tradizione marxista sia correttamente intesa), che il teorema dei costi comparati è una pia illusione. Esso non solo non garantisce la tanto sbandierata crescita con innovazione tecnologica: a tale punto non si arriva proprio, perché troppo forti sono i problemi tecnici di base.


Il modello dei costi comparati infatti è affetto da mali fondamentali ed incurabili. Anzitutto, esso commette una "fallacia aggregativa", vale a dire in parole povere che mette insieme cose che insieme non possono stare. Questo è grave, sebbene sia difetto comune a tutto l’apparato della teoria economica. Inoltre, e le due cose sono legate, è un modello statico. Ci racconta una storia come se non si sapesse né volesse sapere come si sia giunti al punto di inizio della storia stessa, e senza saperci spiegare cosa accada dopo, e come accada. Questo è gravissimo, in quanto una delle caratteristiche più fondamentali riconosciute al capitalismo sia dai suoi celebratori sia dai suoi oppositori è il continuo movimento. L’economia invece può solo guardare a tale dinamismo in termini di "stati di equilibrio", cioè di fotografie scattate al mercato teorico in successione ma senza saper connettere le immagini se non attraverso un atto di fede nella teoria. Può dunque il modello del commercio internazionale portarci su e giù per il capitalismo senza affidarsi a necessari atti di fede ricorrenti?


La risposta che Orati dà è che non può. La teoria dominante non spiega niente di quello che tutti, compresi i marxisti, ci dicono avvenire in seguito agli scambi internazionali. Accumulazione, ineguaglianza, innovazione tecnologica, non hanno modo di essere dimostrati. Chi predica l’apertura dei mercati non sa cosa dice, né lo sanno gli oppositori. Orati dimostra come anche celebrati studiosi vicini al marxismo come Emmanuel ed Amin, o allo strutturalismo come Prebisch, siano stati facile preda del modello Ricardo-Heckscher-Ohlin-Samuelson. Per provare che lo scambio internazionale impoverisce alcuni paesi a vantaggio di altri, essi hanno dato per scontata un’idea del commercio internazionale che troppo deve alla vuotezza concettuale del meccanismo dei costi comparati.


Andando avanti nel suo ragionamento alternativo al modello dominante (ma perseguito con le stesse tecniche espressive ed operative) Orati dimostra che quello che facilmente accade è che il paese forte esporta la sua crisi. La crescita di un paese può avvenire a spese di un altro paese se il commercio internazionale è completamente libero. Di qui Orati inferisce l’importanza di un "protezionismo illuminato" come opposizione alle ingiustizie del capitalismo (della globalizzazione), a tutti palesi in pratica ma impensabili in termini del modello dei costi comparati. Il libro di Orati ha anche soluzioni che tentano di risolvere il problema di un’economia dinamica, molto interessanti ma che per il loro elevato livello tecnico non possono essere discusse qui.


Non serve essere economisti per vedere la portata di un libro così. Quello che rimane da fare, sia per chi sia a favore sia per chi sia contro la globalizzazione, è di discutere ed approfondire quanto Orati propone. Se questo non avverrà sarà prova che nessuna delle due parti è seria. Si segnala infine che il linguaggio usato, ed il livello tecnico del ragionamento, rendono la lettura difficile. Questo è forse il maggior pregio del libro: non è un pamphlet ma un tentativo di dire qualcosa di rigoroso. Ciò lo rende imprescindibile.


recensione a cura di Vittorangelo Orati

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