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Pier Luigi Bersani: «Nel Pd troppi verticismi»
4.08.2007
È preoccupato Pier Luigi Bersani. Guarda al modo in cui si sta lavorando alla fase costituente del Partito democratico e scuote la testa: «Vedo tre rischi, di cui uno molto serio e forse anche mortale se non si pone rimedio». Il ministro diessino per lo Sviluppo economico vede la possibile «sottorappresentazione» di una sinistra che definisce «popolare e di governo», vede il rischio che il «carattere federale» del nuovo partito sia trattato come fatto «burocratico anziché politico» quando è chiaro che «un assetto federale non può essere attraversato senza eccezione alcuna da meccanismi nazionali e verticalizzati nella composizione delle liste e nella scelta delle candidature»: «A livello regionale si deve consentire una certa autonomia nelle decisioni, ci deve essere un margine alla fedeltà sia alle regole che ai candidati e ci possono essere formule anche diverse da regione a regione». Ma soprattutto, Bersani guarda con preoccupazione al «rischio di sovrapporre una fase, che deve essere costituente, alla configurazione materiale di un assetto del partito»: «Il meccanismo trovato fin qui non deve diventare un verticismo a cascata. Abbiamo un livello nazionale, un livello regionale. Ora non vorrei che qualcuno pensasse che partendo dall´alto e scendendo giù per li rami si arrivasse a scegliere segretari e ticket fino all´ultima sezione di quartiere».

Per evitare quello che sarebbe un rischio «mortale» per il Pd, dice il ministro diessino Bersani, c´è solo un modo: «Il giorno dopo l´Assemblea costituente dobbiamo ripartire dal basso, dobbiamo mettere lo scettro in mano al popolo dei democratici».

Eppure, ministro Bersani, il Pd ha registrato una ripresa.

«Questa è la premessa ad ogni ragionamento. Le cose vanno bene, abbiamo un'attenzione larga sul processo, c'è un preludio a una partecipazione alta e anche una riscoperta della possibilità di discutere di politica che non avevamo da tempo. In fondo, anche le incursioni degli ultimi giorni, quelle di Pannella e Di Pietro che sono apparse un po' improprie perché un nuovo partito non è un autobus, testimoniano della capacità di questo progetto di suscitare attenzione».

Dopo la premessa tutta luci, arrivano le ombre?

«Arrivano i problemi, che vedo. Noi abbiamo bisogno che tutto il popolo dei democratici si senta motivato. Anzi, tutto il potenziale popolo dei democratici, che deriva sia dagli antichi partiti che dalle nuove attenzioni. Ora, per come è partita la corsa, per come sono state fatte le mosse d'avvio in termini di meccanismi di candidature e formazione delle liste, si affaccia un problema di possibile sottorappresentazione di una sinistra che definirei popolare e di governo. E questo soprattutto nei luoghi di maggior radicamento di questo popolo».

Lei punta il dito su candidature e liste: Veltroni, Bindi, Letta e, per quanto riguarda le liste che sostengono il sindaco di Roma, lista "istituzionale", lista ambiente-sapere e lista di sinistra. Dov'è il problema?

«Intanto, lei parla di lista "istituzionale"...».

Quella in cui dovrebbero candidarsi i gruppi dirigenti dei Ds e della Margherita, ma chi l'ha definita "lista principale" è stato contestato da chi lavora alle altre due liste.

«Perfetto, ma anche questo neologismo, giustamente virgolettato, segnala che c'è un certo problema. Dopodiché, basta far due conti e si capisce che così andando le cose può esserci un rischio di spaesamento di una parte importante di questo popolo di sinistra».

Il suo sembra un ragionamento che guarda più al passato che al futuro.

«Non è così, prescinde totalmente da idee di fazione o di partiti che non ci sono più. Lo stesso ragionamento varrebbe se ci fossero altre fette di popolo spaesate. E io vorrei che di questo primo problema se ne sia consapevoli tutti quanti, a cominciare da chi lavora sulle liste cosiddette "istituzionali", da chi lavora ad altre liste e anche dagli altri contendenti. Il discorso, che pongo semplicemente alla sensibilità politica di tutti anche se per come è il meccanismo riguarda fattori quasi matematici, riguarda il Pd. E io dico attenzione, c'è una radice molto forte, popolare di sinistra, che deve essere tenuta in conto. Quando sostengo che la parola sinistra non deve essere lasciata incustodita alludo naturalmente ai programmi, alla forma partito, ma alludo anche alle radici».

Diceva "questo primo problema". Vuole dire che non è l'unico con cui ha a che fare il Pd?

«Purtroppo non è l'unico, perché noi abbiamo sempre detto che il Pd dovrà essere un partito a base federale e abbiamo deciso di trattare i livelli regionali come quelli nazionali. Bene, ma adesso che si sta lavorando alle liste questa caratteristica deve avere anche un contenuto politico. Sarebbe cioè curioso che un assetto federale fosse attraversato senza eccezione alcuna da meccanismi di candidatura e di composizione delle liste che fossero nazionali e verticalizzati. Noi dobbiamo invece darci un po' di flessibilità politica».

Che cosa significa?

«Che ci deve essere un margine perché nei livelli regionali la fedeltà alle regole, ai candidati, possa avere anche delle correzioni, delle formule anche diverse. E questo perché abbiamo bisogno di incrociare territorio per territorio anche particolari conformazioni politiche e sociali. In concreto questo vuol dire che dobbiamo essere tutti quanti disponibili, a cominciare dai candidati, a consentire che i meccanismi di elezione dei segretari regionali e di composizione delle liste regionali possano avere anche un carattere di autonomia politica. Non è obbligatorio che in tutte le regioni, siccome si sono candidati Veltroni, Bindi e Letta, ci debbano essere i candidati segretari regionali di Veltroni, Bindi e Letta. Si vedrà sul territorio, senza chiedere a ciascun candidato fedeltà eccessive. Il federalismo è un fatto politico, non burocratico, non riguarda le regole. Altrimenti, diciamolo, abbiamo scherzato».

Eppure già si parla di organigrammi pronti, di segretari regionali già decisi: avete scherzato, ministro?

«Non è così. E però c'è un terzo problema, che per me è dirimente e può essere anche mortale per il Pd. È il rischio di sovrapporre una fase che comunque deve essere costituente alla configurazione materiale di un assetto del partito. Cioè noi facciamo l'Assemblea costituente per progettare il Pd, non possiamo arrivare a ottobre avendo allestito un partito senza aver discusso come farlo».

Dove dice che è stato commesso l´errore?

«Fin qui si è seguito un meccanismo che potrebbe portare ad un verticismo a cascata. In questo si rischia la sovrapposizione di cui parlo. Abbiamo cioè deciso come deve essere il livello nazionale e quello regionale. Bene, si doveva pur partire. Ma adesso temo, e se temo è perché ne ho qualche segnale, che qualcuno stia pensando, forse che tanti stiano pensando, che noi si possa andare avanti a cascata così, cioè che sempre partendo dall'alto, con meccanismi di candidature o di ticket, arriviamo dal nazionale al regionale al provinciale all'ultima sezione di quartiere. Io non sono d'accordo».

La soluzione per evitare un simile scenario? «È assolutamente necessario che il giorno dopo l'Assemblea costituente si riparta dal basso. Il che vuol dire: si sceglie la platea, che può essere sia quella dei votanti del 14 ottobre che una più ampia, la si suddivide per comuni, per circoscrizioni, per quello che si vuole, e si convocano le unità di base».

Dopodiché?

«Attraverso discussioni politiche, di documenti, le unità di base eleggono i loro segretari e formano la platea per il livello provinciale. Cioè, in sostanza, parte una fase congressuale almeno fino al livello provinciale. È chiaro che questo processo potrà farsi solo dopo ottobre, però sarà meglio cominciare a discuterne, perché qui sta passando poco a poco l'idea che noi stiamo facendo non l'Assemblea costituente ma un partito così. E non va bene. Dobbiamo ripartire dalla base, dobbiamo dare lo scettro al nostro popolo».

Insomma dopo ottobre si apre il congresso del Partito democratico?

«Non pretendo tanto, però dico: attenzione ad un rischio di deriva che sta prendendo piede nel senso comune, per cui il meccanismo adottato fin qui lo trasferiamo tranquillamente giù per li rami fino a ogni singola sezione, dove qualcuno si presenta come candidato, gli altri votano e poi arrivederci e grazie. Una cosa del genere non può esistere. Se gli altri due problemi che vedo possono avere dei correttivi politici che in parte si possono ovviare, questo terzo rischio sarebbe strutturale».

L'Assemblea costituente è chiamata a votare lo Statuto e quindi affronterà anche queste questioni, non crede?

«Bene, appunto per questo bisogna cominciare a discuterne. E se lo dico fin d'ora è perché vedo veramente molta preoccupazione in giro. Se vuoi davvero la partecipazione non puoi chiamare i cittadini solo a scegliere tra due persone quando si tratterà di eleggere i segretari delle unità di base. Ognuno vuole sapere se quello che si candida sta parlando di una cosa che si chiama sinistra, sta parlando di una cosa che si chiama nuovo conio o altro. Si dice che facciamo un partito della società civile, molto partecipato. Bene. Ma facciamo un partito politico, dove la partecipazione è essa stessa formazione alla politica. E quindi prima di eleggere questo o quello, visto che sento già parlare di mezzi ticket per fare i segretari di federazione prossimi venturi, apriamo delle discussioni politiche dal basso e cominciamo a dire che cambieremo registro perché la gente non ha solo la mano da alzare ma anche la testa con cui pensare».

Sempre convinto di aver fatto la cosa migliore a non candidarsi a segretario del Pd?

«Cosa fatta capo ha. Ora guardiamo avanti».

Lei si candiderà nella lista cosiddetta "istituzionale"?

«Non ci crederà ma non ci ho ancora pensato. Sostengo Veltroni, con le mie idee come si vede, però con assoluta lealtà e convinzione. Ne parlerò con lui. Sono a sua disposizione, in questo senso».

Simone Collini, intervista su L'Unità del 4 agosto 2007

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