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Rivolta fiscale no
21.08.2007
Rivolta fiscale e consenso politico: un colpo al cerchio e uno alla botte.

Questa storia della rivolta fiscale sta montando oltre misura facendo emergere una serie di assurdità scritte e dette.

Mi limito a due eventi: l’articolo di Edmondo Berselli su La Repubblica di ieri: “L’ideologia del forzaleghismo” e la dichiarazione del cardinale Tarcisio Bertone al meeting di Rimini: “tutti devono pagare le tasse secondo leggi giuste”.

L’articolo di Berselli indica nei lavoratori autonomi, nei commercianti e artigiani, nei professionisti, l’obiettivo di conquista del consenso da parte dell’Umberto Bossi, perché i lavoratori dipendenti e i pensionati le tasse già le pagano mentre le altre categorie evadono assai più facilmente all’obbligo fiscale e temono di essere entrate nel mirino del fisco.

In realtà le categorie maggiormente colpite dall’aumento delle aliquote fiscali sono state proprio quelle che già pagavano le tasse, i già noti al fisco, sui quali peraltro le agenzie delle entrate, tramite gli ineffabili Caf (organismi privati pagati dal fisco per effettuare i controlli sulle dichiarazione degli anni precedenti), si accaniscono con richieste di documentazione di cui il fisco spesso già dispone, per averle richieste in anni precedenti.

Allora, ritengo che le categorie più arrabbiate nei confronti del Fisco siano proprio quelle che già pagavano le tasse, e aggiungo le imprese con obbligo di bilancio fiscale, per l’inefficienza di un’amministrazione incapace di creare un vero controllo di legalità, la mancanza di leggi che stimolino il controllo reciproco tra datori e acquirenti di servizi, la enorme disparità di trattamento tra redditi da lavoro e redditi da capitale finanziario.

Bossi questo lo ha capito molto bene e sa che la sua provocazione unisce e non divide se non quei cittadini che si rendono conto che senza la contribuzione fiscale una democrazia rappresentativa non può sopravvivere (pochi) e quelli che in ogni modo cercano di sfuggire ai balzelli del fisco e hanno imparato a farla franca per quanto poco possano (molti).

La dichiarazione del c. Bertone suona così incongruente da denunciare tutta l’ipocrisia che vi si nasconde, tale da richiamare il plauso del Presidente del Consiglio che non sa più a che santo votarsi per aver rimesso in moto la macchina di un fisco indifendibile e quella del Calderoli di turno, che se ne sente spalleggiato nell’invito alla rivolta fiscale.

In realtà, la frase suona press’a poco la stessa di quella fatidica del Berlusconi: “ognuno deve pagare il giusto, cioè quanto gli dice il cuore”.

Ben altra la risposta di Gesù a chi gli chiedeva se fosse lecito pagare il tributo a Cesare, espressione della potenza occupante e oltremodo repressiva di ogni manifestazione e rivendicazione di indipendenza del popolo di Israele: “Date a Cesare quel che è di Cesare…”, il tributo richiesto dal potere temporale che assicura la legalità e la sicurezza nel territorio. Gesù aveva chiamato a far parte della cerchia più vicina dei suoi discepoli sia un ex esattore delle imposte per conto dei Romani, Matteo, appartenente alla categoria dei pubblicani, ritenuti veri traditori del popolo di Israele, sia uno soprannominato zelota, Simone, cioè una persona animata da spirito di forte opposizione al potere dei Romani.

Per tutti, la stessa risposta.

In un paese democratico, la cui Costituzione include tra i pochi divieti di referendum abrogativo, proprio quello sulle leggi fiscali, la battaglia politica deve incentrarsi sul buon uso delle risorse prelevate dallo Stato non sul prelievo stesso, per il quale vige il principio costituzionale della capacità contributiva. Bossi, come Berlusconi, è fondamentalmente un eversore, la Chiesa Cattolica in Italia continua a ritenersi un potere sovrano in grado di influenzare il voto democratico, purché stia dalla sua parte. Amen

Giorgio Lombardo

Roma, 21 agosto 2007.

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