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Le regole per il Pd sono democratiche? |
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26.08.2007
Giovedì scorso c'ero anch'io a Grado, all'incontro con Enrico Letta. Devo ammettere che non ho colto nulla di nuovo che già non si conoscesse. Ho avvertito una sensazione di antico, di già visto. Non è in discussione la capacità di Letta, che considero una risorsa per il futuro Pd e per il Paese, è che sento mancare la discontinuità con il passato. Se la fusione non è fredda, il calore non lo si sente ancora. E questo credo dipenda del mancato coinvolgimento dei cittadini alla partecipazione. In sostanza non c'è la festa, perché la casa comune non è aperta a tutti, devi avere l'invito per entrare.
Mi spiego. Ho sempre pensato, quando tre anni fa davo vita con alcuni amici (con in comune un certo tipo di sensibilità verso la democrazia partecipata) all'Associazione Cittadini di Trieste per l'Ulivo, che avessimo il compito di mobilitare persone, indurle alla partecipazione, di mischiare cittadini e politici locali. Un impegno insomma che portasse alla coscienza collettiva che la democrazia non si esprime solo con il voto, ma anche con la partecipazione. Convincere che la politica riguarda tutti e non pochi, perché decide per noi, per la comunità di cui siamo parte. Quindi la cultura che cresce, la politica che si apre...
In realtà abbiamo imparato che la politica non accoglie, non dà spazi (anche se avevo creduto diversamente, ingenuamente). "Se vuoi spazio, te lo devi conquistare" mi sono sentito dire più volte. Ora la nascita del Partito democratico era (è?) una occasione storica per un cambiamento della politica sotto l'aspetto della partecipazione, ma mi pare che si sia fatto (si stia facendo) di tutto perché questa speranza vada delusa. Sono pure consapevole che alla mia speranza delusa (e non parlo per me, ma per tutti quelli che credevano in una cosa diversa) ne corrisponda un'altra contraria, e aggiungo legittima, di tutti coloro che nella politica già c'erano e che ci vogliono restare. Date le due speranze, le regole del gioco favoriscono le seconde a danno delle prime. Invece della rivoluzione democratica, abbiamo la turbata (o l'ignoranza, che non è meglio) all'italiana.
E allora? Non so. Cosa si può fare, oltre la possibilità di manifestare civilmente la propria critica?
L'ho fatto giovedì a Grado con Enrico Letta, che conveniva con me che il processo di formazione del PD, per quanto riguarda le liste, l'assenza di preferenze, il collegamento al Candidato nazionale, l'accettazione di quest'ultimo delle liste, era tutt'altro che che ispirato alla partecipazione e di conseguenza poco democratico.
Mi ha detto che lui, nei 45, ha votato contro certe regole che non favoriscono la partecipazione. La stessa cosa (il disaccordo con le regole) viene sostenuta Bindi e Veltroni.
E allora perché non si fermano e rifiutano di partecipare alla gara, se non dopo che si saranno cambiate le regole? Sarebbe anche interessante saper chi le ha approvate queste regole, visto le distanze che ne prendono tutti.
A Grado (nel dopo Letta), siccome la discussione con alcuni amici del Pd mi portava verso un tono un pò agitato, che non riuscivo purtroppo a trattenere, mi si è avvicinato un signore distinto che con fare paterno, nell'evidente intenzione di calmarmi, mi si è rivolto dicendo: "Scusa, ascolta me che sono 40 anni che faccio politica...". Il seguito ve lo risparmio.
Antonio Schiavulli
Associazione Cittadini di Trieste per l'Ulivo
+39 335 6056652
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