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Partita a scacchi (di Gianfranco Pasquino da www.unita.it)
6.09.2007
È in atto una complicata operazione in più stadi che può condurre alla ristrutturazione del sistema politico e istituzionale e ad un rinnovamento, almeno parziale, della classe politica. Questa operazione, non necessariamente tutta prodotto del processo che condurrà alla nascita del Partito democratico, intreccia referendum e riforma elettorale, formazione delle alleanze e ricambio di leadership. Può avere conseguenze sul governo.

Alcune scadenze sono oramai fissate. Il 14 ottobre si avrà l’elezione del segretario del nuovo Partito democratico. Incidentalmente, leggo che molti dei suoi futuri dirigenti immancabilmente sottolineano che sarà un partito «a vocazione maggioritaria» e, poiché non posso fare a meno di pensare che non sarebbe un’idea brillante quella di creare un partito a vocazione minoritaria, credo che si tratti di uno scongiuro. Prendo atto e capisco che la vocazione maggioritaria potrebbe avere più che un aiutino dall’esito del referendum elettorale. Ma, allora, perché tentare di vanificare il referendum attraverso l’elaborazione di un marchingegno che, deformato da alcune inopinate clausolette, non ha quasi nessuna relazione con la legge elettorale tedesca?

Sembrerebbe che tutto il discorso sulla futura legge elettorale abbia, almeno in questa fase, due obiettivi. Da un lato, in entrambi gli schieramenti i partiti grandi (presumibilmente, entrambi a vocazione maggioritaria) cercano di rassicurare quelli piccoli, ma decisivi: sulla sinistra Rifondazione, sul centro-sinistra l’Udeur, che sempre minaccia crisi di governo, sulla destra la Lega.

Dall’altro lato, si tratta di guadagnare tempo. Veltroni ha bisogno di tempo per strutturare il partito nuovo di cui diventerà fra breve il capo, magari dicendo anche a chiarissime lettere che tipo di partito intende costruire dal punto di vista dell’organizzazione, del radicamento, dei referenti sociali. Prodi è disposto a concedere molto tempo perché in questo modo potrà continuare ad esercitare la leadership di governo. Finché si discute di legge elettorale e, ancora di più, se mai si giungesse ad un accordo bipartisan, qualsiasi crisi di governo è da escludere. Chi non ha tanto tempo da perdere è Berlusconi che, infatti, sulla base dei soliti classici, ma mai del tutto errati sondaggi, sa che sta invecchiando e che non può sperare di essere ancora il leader della Casa delle Libertà nel 2011. Tuttavia, la sua fretta non è condivisa da Fini che, invece, sente che il passare del tempo gli giova. Serve a depurare Alleanza Nazionale da pericolosi residui del passato e anche a cuocere a fuoco lento Casini e Tabacci che hanno affidato praticamente tutta la loro strategia all’approvazione di una legge elettorale proporzionale.

Non è casuale che Berlusconi accetti tatticamente una legge elettorale gradita da Bossi e non sgradevole per Fini (il quale, peraltro, è favorevole anche al referendum), ma strategicamente pensi che la situazione migliore per lui sia di tornare alle urne il prima possibile con la balorda legge vigente appena ritoccata.

Nel frattempo, però, stimolato dalla costruzione del Partito Democratico e consapevole che il premio di maggioranza bisognerà pure conquistarlo sul campo, Berlusconi non rinuncia all’idea di un grande Partito delle Libertà che, nascesse anche soltanto come somma di Forza Italia e Alleanza Nazionale, sarebbe non soltanto «a vocazione maggioritaria», ma quel che più conta diventerebbe assolutamente competitivo con il Partito Democratico. Quanto a Fini, nel nuovo partito porterebbe a compimento la sua strategia di legittimazione complessiva riuscendo persino ad approdare nel Partito Popolare Europeo.

Naturalmente, tutti questi processi incontrano ostacoli e hanno oppositori, i più determinati dei quali, per ragioni diverse, sono Rifondazione Comunista e l’Udc. Poiché le aspettative dei leader sono differenti e spesso conflittuali, continueranno anche le tensioni nella consapevolezza che le ambizioni degli uomini (e, talvolta, anche delle donne) possono talvolta spingere a commettere errori di tempi e di modi. Ad ogni buon conto, la fondazione del Partito Democratico costituirà sicuramente il passaggio più delicato che potrebbe influenzare a cascata sia la ridefinizione degli schieramenti nella sinistra e nella destra sia la riscrittura di alcune regole elettorali e istituzionali.

Delicatissimo è il compito del centro-sinistra: governare e riformare in una fase in cui i suoi assetti politici e le regole del gioco stanno per cambiare creando notevole incertezza e ansia, ma anche significative opportunità, un po’ in tutti i protagonisti politici. D’altronde, il sistema politico italiano ha l’assoluta necessità di intraprendere la strada del cambiamento che, altrove in tutta Europa, ha visto l’emergere di leadership nuove, più giovani e più dinamiche.

Fonte: www.unita.it

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