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Ma il lavavetro è un uomo o un lavavetro? di F.de Notaris
9.09.2007

Ma il lavavetro è un uomo o un lavavetro? di Francesco de Notaris, 31 Agosto 2007 . Sembra che il martellamento fatto di parole come 'sicurezza', 'tolleranza zero' e altre simili, usate a sproposito, ci stiano facendo perdere in umanità.  Mi spiego: il voler dare semplicistica risoluzione a problematiche emergenti e innegabili ci fa perdere di vista la complessità di quelle problematiche, i soggetti, attori di quei comportamenti, che creano in noi ansia, interrogativi, complessi di colpa, paure immotivate e consapevolezza epidermica intorno a fenomeni che desidereremmo non vedere.

Il lavavetro al semaforo non ferma la nostra corsa se il semaforo è verde e non prolunga il tempo del rosso...

Siamo noi che non vogliamo vedere e chiamiamo aggressione l'insistenza, quella si, che nasce dall'esigenza di dover mangiare ogni giorno (come sarebbe normale) e dal dover soggiacere al ricatto di chi esige dai poveri lavavetro una quota del loro misero guadagno.

Ed ecco che qualcuno pensa di mostrare i muscoli abolendo il lavavetro, il mestiere improvvisato del lavavetro.

Ma è un bambino o una madre o un uomo il lavavetro. Ed anche se li costringeremo a non 'darci fastidio' agli incroci, non potremo ignorare che abbiamo a che fare con uomini che hanno bisogno di tutto, anche di essere liberati dal racket, che noi (quelli delle automobili e degli amministratori dal pugno di ferro) permettiamo ci sia.

Siamo in presenza di nuove forme di...caporalato, che tolleriamo in vasti territori del Paese ed in altri settori (agricoltura, edilizia in particolare) e siamo alle prese con povertà vecchie e nuove.

Ma veramente possiamo credere che la evidente richiesta di servizi, di nuovi diritti, di abitazioni, di scuole, di salute possa essere esaudita...con la promessa della denuncia e del carcere per chi tenta di lavare lo specchietto retrovisore della nostra sgangherata e sporca automobile? Si, perchè si lavano le auto sporche e...'siccome sono pulito' diceva Totò, 'non mi lavo'.

Siamo in una società interculturale e la politica dovrebbe accorgersene, finalmente.

Continuiamo a dare spettacolo attraverso provvedimenti sostanzialmente intrisi di stupidità con esibizione di politici alla ricerca di 'visibilità'...per il giorno dopo.

Un bel libro di Monica Simeoni, docente di sociologia all'Università di Roma Tre, 'La Cittadinanza interculturale', ci mette dinanzi ad una sfida, quella dell'immigrazione, che, come afferma Ilvo Diamanti, non è un fenomeno come gli altri, ma 'è la questione'.

Questa epoca storica che pone sollecitazioni enormi vede la crisi della politica.

Il nostro modo di vivere i diritti, il nostro stile di vita, qualunque esso sia, non può costituire un privilegio per chi è escluso.

Tutti coloro che sono sul nostro territorio devono avere le medesime garanzie, gli stessi diritti, gli stessi doveri.

Dove andrà a dormire il lavavetro, e con lui lo zingaro, il bambino che va protetto? E dove e come potrà produrre il sostentamento? E la famiglia...?

Più di me il lettore conosce il mondo che si agita dietro l'immigrato, il barbone, lo straccione e il disperato e il nuovo povero, che non riesce a vivere, che ha perso il lavoro e che non può pagare il mutuo per la casa, che, dopo anni di fatica, aveva acquistato.

Non basta parlare di nuovi poveri, se non li individuiamo.

Non basta moltiplicare Convegni sullo stato sociale, se non partiamo con progetti da realizzare in una società che ha bisogno di senso e progetto.

Non possiamo espellere dall'incrocio il lavavetro e non renderci conto che il lavavetro è un uomo come noi.

In questa società dell'immagine, dove ci piace stare 'in sicurezza' seduti al bar centrale della piazza centrale del nostro paese, abbiamo perso il senso della 'centralità' dell'uomo e, mentre, sempre più in pochi, ci alimentiamo di cibo e divertimenti superflui, alimentiamo odio, violenza e ingiustizia ed offendiamo la nostra stessa umanità.

Il buio oltre la siepe non è soltanto il titolo di un grande film e di un'opera letteraria.

Questi anni segnati da democrazie da esportare con le armi e da scenari di cartapesta hanno ristretto i confini segnati dalle siepi e reso più buio il buio, che non diventerà mai 'luce del giorno' accendendo fari e telecamere.

Forse...consumeremo energia che potremmo usare per illuminare strade e case da costruire per i nostri immigrati.

E la sicurezza non verrà mai dalle corazze di ferro che ognuno di noi indosserà, quando grate e cancelli e cellule fotoelettriche mostreranno...la corda.

La sicurezza nasce dalla serenità con la quale ogni uomo potrà vivere in pace la vita e dalla volontà e capacità di diffonderla, pur in presenza delle difficoltà.

I conflitti, anche quelli interni alle comunità civili, avranno spazi stretti se insieme si lavorerà per la convivenza, per l'accoglienza e non per l'espulsione dei problemi e degli uomini.

La globalizzazione è una sfida, non un argomento per Convegni da interrompere per il pranzo!

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